Il trionfo dei cazzari

La Corte di Cassazione ha disposto la revoca dell’obbligo di dimora per il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, che viene pertanto reinsediato nella sua carica. È accusato di abuso di ufficio e falso nella vicenda degli affidi illeciti, ma può riprendere il suo mandato. “Dopo la revoca delle misure, Andrea Carletti da oggi può tornare a fare il sindaco in municipio a Bibbiano, nel pieno delle sue funzioni”, ha infatti detto il Prefetto di Reggio Emilia, Maria Grazia Forte. E lui commenta: “Lo so, è un solo un primo passo, ma riassaporare dopo cinque mesi il gusto della libertà è una sensazione indescrivibile”.

La vicenda giudiziaria non è affatto chiusa, anche se prende una discreta “sgonfiatina” per quanto concerne le responsabilità penali di questo pubblico amministratore e di una classe politica dirigente a livello periferico. La giustizia fa il suo corso, mentre la politica corre immediatamente alle conclusioni. La strumentalizzazione ha costruito immediatamente il museo degli orrori in quel di Bibbiano a prescindere dall’accertamento giudiziario e definitivo dei fatti. Questo gioco al massacro porta solo confusione, accanimento e discredito.

Intendiamoci bene non sono favorevole al silenzio sepolcrale sulle responsabilità della politica, anche se ho l’impressione che in Italia, come diceva Vittorio Zucconi, si vogliano i servizi segreti pubblici e, aggiungo io, i colpevoli prima dei processi. L’inchiesta sugli “affidi truccati” presenta aspetti inquietanti bisognosi di essere chiariti con la puntuale individuazione di eventuali responsabilità personali. La politica dovrà inoltre accertare se ci sono state omissioni nei controlli e mera acquiescenza ad andazzi speculativi spacciati per conquiste socialmente avanzate. Nel merito di questi discorsi sono già onestamente e obiettivamente entrato in precedenti commenti ai fatti del giorno, a cui rinvio i lettori più pazienti  e attenti.

Qualcuno ha eiaculato precocemente alla vista delle difficoltà dell’indirizzo politico emiliano-romagnolo in materia di assistenza. Quegli stessi che criminalizzano la sinistra rea di portare via i bambini alle famiglie per sostenere l’intrusiva impalcatura socio-educativa pubblica, non hanno preso spunto dagli scandali della sanità in Lombardia per criminalizzare il liberismo affaristico dei governanti di destra. Ma tant’è…

La Lega esibiva il cappio in Parlamento ai tempi della prima tangentopoli, salvo poi allearsi e governare con l’angioletto Silvio Berlusconi. Qualche mese fa durante il dibattito sulla fiducia al governo Conte, al Senato si scatenava la bagarre per una maglietta mostrata da Lucia Borgonzoni con scritto “Parliamo di Bibbiano”. In un clima di provocazioni, cori e insulti, dopo che la senatrice leghista Lucia Borgonzoni aveva esibito una maglia bianca con la scritta “Parliamo di Bibbiano” la seduta era stata sospesa dalla presidente Elisabetta Casellati. Lo stop era durato qualche minuto durante i quali i senatori leghisti si erano alzati ed erano andati a congratularsi con la collega Borgonzoni. Alla ripresa della discussione, i banchi del governo erano ancora vuoti e allora la senatrice che doveva concludere ancora il suo intervento ha ripreso la parola affermando che forse il presidente non voleva che si parlasse di questo argomento perché non gliene importava nulla dei bambini e delle famiglie. Applausi ironici e cori “dignita’, dignita’”, “Bibbiano, Bibbiano” avevano poi accolto il premier che rientrava nell’emiciclo. Ora la Lega si candida a governare l’Emilia-Romagna e il Paese assieme a chi non voleva parlare di Bibbiano (mi riferisco a Forza Italia).

In questi giorni il leader leghista ha rivolto pesantissime accuse al premier Conte definendolo, nella migliore delle ipotesi, un bugiardo e, nella peggiore, un traditore. Il presidente del Consiglio ha chiarito con puntualità e precisione il comportamento suo e del governo, di cui peraltro faceva parte non certo secondaria anche la Lega, ma, anche a livello dell’informazione, è rimasta l’ombra diffamatoria su Giuseppe Conte (della serie l’importante è parlarne, anche e soprattutto male, poi…).

Qualcuno si scandalizza che i cinquestelle governino (non so fino a quando) con il Pd e poi nelle regioni vadano per conto loro. La lega ha governato le regioni con Forza Italia, il che non gli ha impedito di andare al governo coi grillini, gli antiberlusconiani più viscerali e sfegatati. I mali non sono le alleanze ballerine, ma la politica senza etica e rispetto reciproco. Antonio La Russa, storico esponente della destra, veniva burlescamente soprannominato “La Rissa”: ebbene, ha fatto scuola.

Gli esempi potrebbero continuare a dimostrazione che la politica sta diventando un match di pugilato senza regole, dove sono ammessi i colpi sotto la cintura. E gli italiani si divertono a stare a bordo ring. Le “Sardine” hanno abbandonato clamorosamente gli spalti, non hanno accettato la sfida, ma sono andati a giocare in un altro campo, quello della Costituzione e della buona politica. Speriamo abbiano il coraggio di insistere e trovino consenso nei cittadini e udienza dai politici più seri. Vinceranno loro o i cazzari di turno? Purtroppo, mentre nella serata del 10 dicembre le Sardine si troveranno in migliaia a Torino in piazza Castello, sempre a Torino si svolgerà una penosa manifestazione a sfondo religioso (?) per impetrare aiuto e protezione dalla Vergine Maria a favore di Matteo Salvini. Lui sì che ha ben chiaro cosa fare per recuperare la nostra identità nazionale dopo che nel corso degli anni c’è stata una costante e continua perdita dei nostri valori di riferimento. Le Sardine? Mancano di pensiero politico e di idee! Resto basito. Qualcuno (moltissimi) mi urla: “È la politica italiana, stupido!”. Contento di essere stupido.

 

Nel sesto mistero doloroso si contempla Salvini

Come scrive Lodovico Poletto su La stampa, Angela Ciconte di 53 anni, impiegata amministrativa dell’Asl, ha lanciato una iniziativa di preghiera. Non ci sarebbe niente di strano: di preghiera abbiamo bisogno, pregare fa bene ai credenti e non fa certo alcun male ai non credenti. Qual è la stranezza? Questa fervente cattolica, che ha fatto volontariato nell’ex Jugoslavia durante la guerra, ha lanciato l’idea di pregare il rosario per il leader della Lega, Matteo Salvini, il 10 dicembre, vale a dire il giorno in cui si aprirà davanti al tribunale di Torino il processo in cui dovrà rispondere dell’accusa di vilipendio dell’ordine giudiziario, conseguente alle sue schermaglie con i giudici durante le note vicende dei blocchi delle navi cariche di migranti.

Alla domanda sul perché si debba pregare per Salvini, Angela Ciconte risponde: «Perché lui è l’unico politico che ha usato la giusta determinazione nel difendere il popolo italiano e i confini d’Italia. Saremo lì a supportarlo, a dargli la forza. Non è un rosario perché venga assolto, ma perché trovi la forza di proseguire nella sua politica che difende valori come libertà, sicurezza e identità nazionale. Se Salvini tira fuori il rosario in pubblico è perché è un credente. Non lo farebbe altrimenti. Non potrebbe farlo. Io, il leader della Lega, l’ho incontrato qualche giorno fa. Sapeva già del nostro flash mob. Mi ha ringraziata e mi ha mostrato il rosario, dicendomi che arrivava direttamente da Medjugorje. Certi gesti non li fai solo per calcolo politico: non porti in tasca il rosario se non sei credente».

È nato un gruppo Facebook, “I cinque sassi”, per raccogliere adesioni per questa adunata orante e sembra stia avendo un certo successo: «Noi non siamo razzisti. Non discriminiamo. Ma in questo nostro povero Paese i veri discriminati sono i nostri figli, costretti ad andare all’estero per lavorare e guadagnarsi il pane. Mentre ai musulmani tutto è concesso. E sa che le dico? Quelli che oggi si dicono integrati, sono pronti a ribellarsi quando avranno la forza di sottometterci. E poi: questo nostro Paese ha sempre accolto tutti. Di tutte le razze: dagli albanesi ai rumeni. Non abbiamo mai discriminato nessuno. Ma adesso è ora di guardare un po’ al bene di casa nostra».

Devo essere grato ad Angela Ciconte: ha spiegato in poche e chiare parole l’attuale deriva socio-politica degli italiani, aggiungendovi una spruzzata di (in)sano bigottismo. Se giriamo la torta dal lato religioso ritroviamo tutto lo storico armamentario clerico-fascista.

Durante una lontanissima campagna elettorale in cui avevo fatto un vero e proprio porta a porta ad uso e consumo della mia candidatura a consigliere comunale nelle file della democrazia cristiana, mi sentii rispondere da una simpatica vecchietta: «Io non voglio sapere niente di partiti e candidati, io voto Gesù!». Intendeva dire che votava la democrazia cristiana, che faceva una croce sulla croce, come si diceva in quei tempi. Non ebbi il coraggio di contrastarla laicamente e non insistetti oltre: non ero Gesù e probabilmente non ottenni quel voto e fu per me, tutto sommato, un bene. Non fui eletto anche se ne uscii con un risultato dignitoso. L’equivoco, anche se non voluto dalla DC, era sempre dietro l’angolo: valle a far capire che ispirarsi al cristianesimo non voleva dire strumentalizzare la fede a fini propagandistici.

Ci voleva solo Salvini per risuscitare il più bieco integralismo cattolico, sposandolo con le moderne ideologie di estrema destra. E la trappola sta funzionando a meraviglia. Mi permetto di aggiungere poche battute, anche se il tutto è così eloquentemente chiaro da far accapponare la pelle. Bisogna essere veramente disperati per pensare di recuperare i valori affidandosi a Salvini. Tutto il ragionamento è falsato dal punto di vista religioso. “Quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (Matteo 6,6). “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo … perché ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,34-35).

Le motivazioni politiche fanno acqua da tutte le parti: gli immigrati non rubano nulla a nessuno, semmai si riprendono un pochettino di quello che noi nei secoli abbiamo loro rubato; gli stranieri non sono la causa dell’emigrazione giovanile, che è da ricercarsi semmai nei meccanismi del nostro sistema capitalistico globalizzato; quanto al rischio di essere sottomessi dagli stranieri integrati, ben venga una società  multietnica, multirazziale e multireligiosa, cresceremo insieme mentre ora siamo solo capaci di farci la guerra. Su Salvini si può (solo) scherzare, mentre i santi bisogna lasciarli stare.

Alla vignettistica riscoperta del totem matrimoniale

Un mio simpatico conoscente mi sussurrò, durante la messa in cui l’omelia affrontava il problema del matrimonio, una confidenziale battuta: “Ormai non si vuole sposare più nessuno, rimangono solo gli omosessuali e i preti”. Osservazione piccante di una realtà in rapida e paradossale evoluzione.

Un amico scrupolosamente religioso all’inverosimile, invitato a partecipare ad un matrimonio celebrato civilmente in municipio, fu preso dal dubbio se aderendo all’invito potesse in qualche modo avvalorare la scelta di snobbare un sacramento e arrivò a chiedere consiglio al suo confessore. Questi, assai meno integralista e molto aperturista, lo fulminò con una risposta tra il serio ed il faceto: “Non preoccuparti, non si sposa più nessuno, almeno questi tuoi amici contraggono il matrimonio dal punto di vista civile: è comunque un impegno da salutare con gioia…”.

Un tempo si contavano sulle dita di una mano quanti non si sposavano in chiesa, anche i non credenti finivano, per piaggeria nel confronti del consorte, per non impoverire il cerimoniale, per completare la festa, per opportunismo sociale, col dichiararsi diversamente credenti (in Dio e non nella Chiesa), mettendo il sacerdote in un imbarazzante situazione, generalmente, tranne pochissimi e clamorosi casi a mia conoscenza, avviata su un compromessone religioso del tipo: ministri del sacramento del matrimonio sono gli sposi, quindi, tutto sommato, cavoli loro, se la vedranno col Padre eterno qualora si sentisse preso in giro.

E la proposta di matrimonio? Un tempo avveniva, dopo l’incontro con i rispettivi potenziali suoceri, con tanto di anello, mazzo di fiori e inginocchiamento: almeno così prevedeva il vignettistico ma realistico cerimoniale, che, tutto sommato, aveva un suo fascino ed un suo significato. Gli usi e le consuetudini hanno sempre un fondamento e non vanno mai presuntuosamente snobbati.

Nei rapporti tra politica e religione, il matrimonio è sempre stato un totem: vuoi per la sua indissolubilità, vuoi per la sua celebrazione, vuoi per la sua natura sacramentale, vuoi per tradizione, vuoi per mille altri motivi più o meno seri. La religione sta diventando nel peggiore dei modi un punto d’appoggio per sollevare consensi superficiali. L’uso a dir poco improprio dei simboli, dalle corone del rosario ai crocifissi, è entrato nell’armamentario più squallido da utilizzare per strappare qualche lacrima elettorale. Matteo Salvini si è visto rinfacciare questo comportamento, indirettamente blasfemo, perfino dalla gerarchia cattolica e dal presidente del Consiglio durante il benservito che gli porse elegantemente di fronte al Parlamento.

Evidentemente la Lega persevera “diabolicamente” su questa strada fastidiosamente e strumentalmente bigotta, che mischia religione, tradizione e politica in un vomitevole polpettone, che non ha assolutamente niente a che fare con l’ispirazione cristiana della DC e nemmeno con la vena spregiudicata ed affaristica dei rapporti fra Stato e Chiesa. Come noto, Alcide De Gasperi andava in chiesa per pregare, mentre Giulio Andreotti andava in chiesa per confabulare e brigare coi preti. Fatte le debite distinzioni, entrambi avevano una motivazione “seria”. Oggi tutto è pacchianamente giocato sul filo del ridicolo con l’intento di lisciare il pelo a quel po’ di religione rimasta nelle corde del popolo italiano.

Qualche giorno fa il deputato leghista Flavio Di Muro è intervenuto in apertura di seduta parlamentare sull’ordine dei lavori e a sorpresa ha mostrato l’anello e ha fatto la proposta di matrimonio ad Elisa seduta nelle tribune di Montecitorio. Le cronache dicono di grandi applausi e di un imbarazzato richiamo del presidente Fico (”Deputato Di Muro, capisco tutto, però, usare un intervento per questo…Non mi sembra il caso). Auguri e figli maschi! Quando ho letto questa notizia ho sorriso ed ho rivolto un pensiero benevolo agli interessati, come si fa coi bambini quando escono con qualche simpatica trovata fuori luogo.

Partecipai da bambino al matrimonio di una mia carissima cugina: al momento della foto davanti alla torta, mi misero in piedi sulla tavola. Io ero abituato, in situazioni analoghe a recitare la poesia del momento: non avendone una pronta per l’occasione, recitai spontaneamente quella di Natale, ottenendo un successo enorme da parte degli sposi e dei convitati.  Ero piccolo e poteva starci benissimo.

Flavio Di Muro non è un bambino e non è nemmeno una persona qualsiasi: si è alzato tra i banchi di Montecitorio e ha utilizzato quella insolita tribuna per chiedere a Elisa di sposarlo. Non so cosa abbia risposto Elisa, ma evidentemente dal momento che era presente in tribuna, presumo si trattasse di una scenetta combinata. Ci ho riflettuto: sarà soltanto un caso di infantilismo prematrimoniale, di goliardata parlamentare, di scommessa tra amici, di provocazione tradizionalista? Oppure sarà un’altra trovata del bigottismo etico-religioso sparso dalla Lega, che un tempo attaccava i vescovoni e oggi lecca i cattoliconi?

I partiti frettolosi fanno i ministri ciechi

Qual è il dato politico emergente dal dibattito in Parlamento sul cosiddetto “salva-stati”, vale a dire un accordo europeo per la concessione di aiuti ai Paesi che versano in difficoltà finanziarie? La bile leghista vomitata dal suo leader Salvini e l’imbarazzo del M5S e soprattutto del suo presunto capo Luigi Di Maio di fronte a quanto esposto dal premier Conte: la trattativa con la UE era stata aperta e condotta quasi a termine dal precedente governo, mentre le due forze che lo esprimevano e lo sostenevano affermano di non essere stati informati della cosa e di averne preso le distanze con un documento approvato a babbo morto in Parlamento, che invitava appunto il governo a rivedere la questione.

La querelle viaggia sul filo della comicità. È possibile che ministri e sottosegretari non avessero alcuna informazione e non si fossero resi conto della partita che si stava giocando a livello europeo? Ammettiamo pure che non abbia funzionato il tam-tam ufficiale del governo, ma è credibile che i due vice-presidenti del Consiglio (Di Maio e Salvini), i quali marcavano strettissimo il premier al punto da sembrare autentici commissari, si fossero distratti mentre Conte e Tria discutevano in sede europea i patti su importanti questioni di carattere politico-finanziario? Se ne parlava e se ne scriveva. Al cittadino medio può anche essere sfuggito, a chi siede al governo del Paese e vuole rivoltarlo come un calzino non è ammissibile che sia sfuggito. Con ogni probabilità questi signori mentre stavano al governo, anziché governare pensavano a fare propaganda elettorale sui temi a loro cari e a tirare l’esecutivo per la giacca sugli argomenti a loro preferiti. Non trovo altra plausibile spiegazione.

Allora i casi sono due: o leghisti e pentastellati non erano in grado di assolvere responsabilità di governo per incapacità, incompetenza, impreparazione, inesperienza, oppure intendevano governare non il Paese ma gli elettorati di riferimento, propinando loro ricette virtuali e miracolistiche a prescindere dai veri problemi sul tappeto. Scelgano la versione più adatta, altre sinceramente non ne vedo. Di conseguenza cadono nell’assurdo le accuse a Giuseppe Conte di falsificare le carte e le procedure. La Lega sfoga l’imbarazzo con invettive offensive ed indecenti; Di Maio sembra un cane bastonato accucciato ai piedi dell’attuale governo e pensa di azzannarlo per ricuperare dignità e identità. Lega e FdI si pongono il problema di individuare il mentitore tra Conte, Tria e Gualtieri: in realtà sono loro che stanno raccontando un film partendo dalla fine e non dall’inizio.

Dopo di che nel merito si continua a truccare gli argomenti. La Lega se lo può permettere in quanto ha scelto a priori di duellare sempre e comunque: contro gli alleati di qualche tempo fa, contro il premier, contro l’Europa, contro il PD, etc. etc. Il M5S non se lo può permettere perché è ancora sulla barca governativa, anche se ha una voglia matta di farla affondare, perché è in netto calo di consensi, anche se muore dalla voglia di tornare alle urne, perché si vede scavalcato dalle “sardine”, anche se chissà cosa pagherebbe per metterci sopra il cappello, perché sente di aver bisogno di un bagno demagogicamente rigeneratore, anche se il bagno aprirà ancor più le ferite.

Mentre Salvini ha scelto di cavalcare le paure stando sulla riva e gridando continuamente “aiuto!” (uno strano bagnino), i grillini sono rimasti sulla nave e viaggiano sull’orlo dell’ammutinamento (uno strano nostromo). Mentre la Lega si è spostata sulle piazze e tratta il Parlamento alla stregua di una qualsiasi piazza, i pentastellati si trovano spiazzati e litigano tra di loro sui banchi parlamentari. Tra le due forze non si capisce chi sia più di opposizione. In compenso in questo gioco al massacro li sta aiutando anche Matteo Renzi: in grossa difficoltà, probabilmente maledice il giorno in cui ha deciso di fondare un nuovo partito, che sembra stare sulle palle a tutti.

 

 

Il mes…saggio subliminale

La più importante novità e discontinuità del governo Conte II rispetto al Conte I avrebbe dovuto essere costituita dai rapporti con l’Unione Europea improntati alla fiducia e alla collaborazione: un indirizzo filoeuropeo che sostituiva la linea euroscettica capitanata dalla Lega.

I presupposti sembravano esserci: un ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, convintamente europeista e ben visto a Bruxelles per i suoi trascorsi in Europa; un commissario italiano all’economia, Paolo Gentiloni, introdotto nei meccanismi istituzionali ed in possesso dell’esperienza e della preparazione per ricoprire questo incarico; la presidenza del Parlamento europeo ricoperta da David Sassoli, personaggio di garanzia e di aiuto per un passo avanti nell’integrazione italiana a livello comunitario.

C’era stato anche un fatto propedeutico alla costituzione del governo giallo-rosso: il voto favorevole dei pentastellati nei confronti di Ursula von der Leyen quale nuova presidente della Commissione Europea, al punto da far auspicare a Romano Prodi la formazione di una vera e propria “coalizione Ursula” alla base del governo italiano. Non fu proprio così, ma tutti videro qualcosa di nuovo nell’aria europeista governativa.

A distanza di qualche mese con i nodi che inevitabilmente vengono al pettine, queste fiduciose premesse stanno andando in crisi: è facile infatti essere europeisti a parole, ma, quando si va sul concreto, emergono dubbi, perplessità e incertezze. La trattativa sul fondo salva-stati sta facendo da detonatore, da causa scatenante della crisi nei rapporti fra M5S e PD sulla materia europea. È difficile capire fin dove lo scontro sia un motivo squisitamente politico addotto dai grillini per recuperare visibilità e identità rispetto ai democratici che hanno oggettivamente in mano le leve per governare la presenza italiana nella UE, oppure il ritorno a galla degli storici tentennamenti pentastellati in materia di adesione alla Comunità, sballottati fra la pretenziosa e presuntuosa smania indipendentista e la imprescindibile disponibilità a vivere in Europa.

Fatto sta che nel governo non c’è accordo sul Mes, la tensione è alta e tutto viene rimesso al Parlamento, che dovrà ratificare o meno gli accordi negoziati dal governo e soprattutto dal ministro Gualtieri. Niente rinvii, ma tanto scetticismo pentastellato che potrebbe trovare pericolose sponde nei gruppi parlamentari in costante subbuglio. Non mi convincono le motivazioni di merito sui rischi che la riforma del Mes comporterebbe per la stabilità economica del nostro Paese: certo, se andiamo avanti con la riserva mentale di non ridurre il debito pubblico e di fregarcene altamente delle regole, abbiamo di che temere, ma se invece trattiamo ed agiamo con trasparenza e buona volontà, nessuno avrà interesse a mettere in difficoltà l’Italia. Bisogna scegliere se giocare con le armi della diplomazia oppure bluffare con i messaggi subliminali del sovranismo riveduto e corretto. Dobbiamo essere furbi o fare i furbi? Sembrerebbe la stessa cosa, invece…

Mio padre, nella sua generosa e convinta ingenuità, teorizzava che il tifoso, se si comporta correttamente o almeno evita certi eccessi e certe intemperanze, può recarsi in qualsiasi stadio del mondo senza correre rischio alcuno e senza rinunciare a sostenere la propria squadra. In effetti diverse volte eravamo andati in trasferta, avevamo seguito il Parma in altri stadi, senza soffrire spiacevoli inconvenienti. Era così sicuro della sua teoria che una volta mi consentì di portare la bandiera crociata artigianalmente confezionata con un manico da scopa. Era lo stadio Braglia di Modena, derby di serie B: non riuscii neanche a spiegare la bandiera ed a sventolarla, che il Parma era già sotto di un goal e mio padre, un po’ grilloparlantescamente, mi disse: “A t’ äva ditt äd lasärla a ca’, ch’ l’era méj”. Il discorso vale anche per i ben più importanti derby con i partner europei. A buon intenditor poche parole.

 

 

La tavolozza europea

Ho sempre ritenuto che il partito dei verdi a livello europeo abbia una sua ragion d’essere anche perché riesce a sintetizzare la sensibilità alle tematiche ambientali con una convinta ma critica adesione all’integrazione europea e con una visione socio-economica modernamente di sinistra. Non ricordo con precisione ma per ben due volte alle elezioni europee ho votato per questo partito anche se in Italia presenta solo una pallida e confusa immagine del movimento ecologista.

La storia politica italiana contiene due anomalie rispetto a quella europea: nel secondo dopoguerra nel nostro Paese, a differenza del resto d’Europa, non si è affermata una presenza significativa del socialismo democratico, che ha fatto prima da sgabello al Pci e poi alla Dc, senza trovare una sua ragion d’essere autonoma.

Mio padre, per mentalità e cultura, era un socialista senza socialismo (almeno a livello nazionale) e questo lo si deduceva da come spesso sintetizzava la storia della sinistra in Italia, recriminando nostalgicamente sulla mancanza di un convinto ed autonomo movimento socialista, che avrebbe beneficamente influenzato e semplificato la vita politica del nostro Paese. ma credo fosse stato assai deluso dal vizio storico dei socialisti italiani di legarsi acriticamente al carro comunista prima e di giocare al miglior offerente tra comunisti e democristiani poi.

L’altra più recente anomalia riguarda proprio la scarsa e fragile proposta ecologista relegata nei salotti e lontana dall’anima popolare: una credibilità politica verde ci avrebbe probabilmente risparmiato certo avventurismo protestatario e avrebbe offerto una proposta agibile per il mondo giovanile. Non è un caso infatti che i verdi siano il partito che, europeisticamente parlando, riesce a trovare anche un minimo di continuità positiva con le idealità e le lotte sessantottine.

Niente di strano che a livello di Parlamento europeo i verdi abbiano messo il dito nelle piaghe grilline, rifiutando sdegnosamente e motivatamente un’alleanza con il M5S. Mentre gli italiani sono caduti nella trappola dei vaffa, salvo uscirne alla spicciolata negli ultimi tempi, i verdi hanno perfettamente capito l’antifona delle contraddizioni di un antipartito, che ha tutti i difetti dei partiti tradizionali e nessun pregio. Sono sostanzialmente due i pesanti appunti che vengono fatti ai pentastellati: l’equivoco e condizionante  cordone ombelicale con la Casaleggio Associati fino a rappresentare, come sostiene Jacopo Iacoboni nel suo lucido, disincantato e documentato libro “L’esperimento”, una vera e propria moderna configurazione di partito-azienda; la mancanza di retroterra storico e culturale che li mette in balìa degli “ismi” in voga e che li induce in brutte compagnie a livello, prima interno e poi internazionale.

Stupisce la lucidità con cui da lontano i verdi riescono a interpretare la politica italiana: se in sede nazionale quel che resta del grillismo mantiene un suo seppur clamorosamente calante appeal, fuori dai confini italiani le balle stanno in poco posto e le sue contraddizioni emergono chiaramente. Non è un caso se il M5S non riesce ad accasarsi dignitosamente nel Parlamento europeo: noi pensiamo di essere i più furbi del gruppo, ma invece siamo i più ingenui allo sbaraglio dilettantesco. Le critiche verdi (non provenienti dalla Lega autrice di un vero e proprio scippo cromatico) ci dovrebbero interessare anche se non riusciranno a rigenerare i gialli: il giallo è infatti un colore primario, lo dovrebbero ben sapere i piddini rossi, che rischiano l’arancione.

L’erba dei condannati può essere verde

Come ebbe a dirmi un sacerdote impegnato nell’ambiente carcerario, anche nel più incallito dei delinquenti c’è un filo d’erba, un seme buono da cogliere e sviluppare. Queste parole così piene di misericordia e speranza mi sono tornate alla mente mentre leggevo le cronache di un attacco terroristico a London Bridge, nel pieno centro di Londra, che ha rigettato la capitale britannica, e un po’ tutto l’occidente, nella paura del terrorismo. Un uomo ha assalito alcune persone con un coltello. Poi è stato circondato da alcuni passanti uno dei quali lo ha affrontato scaricandogli addosso il contenuto di un estintore di anidride carbonica.
Alla fine è arrivata la polizia che lo ha ucciso a colpi di pistola tra la folla che filmava con i cellulari l’esecuzione.

Il fatto curioso è che uno di quegli eroi che ha difeso una donna dal coltello dell’aggressore è un assassino condannato per aver ucciso a coltellate una donna.  L’aggressore infatti, prima dell’arrivo della polizia, è stato affrontato e bloccato da alcuni civili. Uno di questi eroi, che si è buttato addosso al terrorista cercando di salvare la vita di una donna, è James Ford, un assassino che da poco ha ottenuto – come il terrorista – la libertà vigilata. lo rivela il Mail online. Uno strano gioco del destino ha voluto che proprio lui, condannato per aver ucciso una donna a coltellate, diventasse eroe per un giorno per aver difeso una donna dal coltello di Usman Khan. Ora 42enne, Ford è stato incarcerato a vita – con una pena minima di 15 anni – nell’aprile 2004 per l’omicidio di Amanda Champion, strangolata e sgozzata: il suo corpo fu trovato abbandonato su un mucchio di rifiuti vicino alla sua casa di Ashford, nel Kent, nel luglio precedente. Aveva 21 anni, ma un’età mentale di 15.

Ai tempi del delitto la polizia non aveva indizi, la svolta nelle indagini arrivò quando un dipendente dei Samaritani – infrangendo la rigorosa politica di riservatezza dell’organizzazione – confidò alla polizia che Ford (allora operaio in fabbrica e lottatore amatoriale) aveva telefonato decine di volte confessando di avere ucciso una ragazza e minacciando di suicidarsi. Una volta arrestato, non ha mai dato spiegazioni al suo gesto.

I parenti della donna uccisa hanno saputo solo ieri, vedendo i video in televisione, che era stato liberato. Commentando l’accaduto, hanno dichiarato di non considerarlo affatto un eroe, ma un assassino e di essere contrari alla sua liberazione. Non si può certamente pretendere da loro un atteggiamento diverso e immediatamente comprensivo. Gli eventuali percorsi perdonisti hanno bisogno di tempo per maturare, diversamente non sarebbero umanamente e nemmeno religiosamente credibili.

Certamente e inevitabilmente, di fronte a questo atto terroristico commesso da un soggetto in libertà vigilata, viene spontaneo mettere in discussione questo istituto e magari l’uso un po’ troppo disinvolto che ne viene fatto. Però c’è il rovescio della medaglia: non solo la concessione di questo beneficio è stata probabilmente positiva per l’altro soggetto coinvolto nell’episodio, ma ha avuto un effetto drammaticamente benefico sulla società, salvando la vita a una terza persona che poteva venire accoltellata, aggravando ulteriormente il bilancio tragico dell’episodio (due morti e tre feriti fra gli aggrediti, oltre l’aggressore).

Morale della (non) favola: alla fine di tutto e tutto considerato, ciò che può contribuire alla rieducazione di un condannato, anche il più incallito delinquente, non è mai sbagliato, anche se esiste il rischio di ottenere a volte l’effetto contrario. La questione è molto delicata, ma deve essere affrontata con umana comprensione e sociale lungimiranza. Non si tratta di buonismo ad oltranza, ma di scelta costituzionale: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Chi ha inserito questa norma nella nostra carta costituzionale non era un buonista, ma un politico serio ed avveduto.

 

 

 

 

La mortadella qualunquista

Non so esprimere fino in fondo la sensazione che provo di fronte alle risse parlamentari: ultima in ordine di tempo quella scoppiata in conseguenza delle dichiarazioni del ministro dell’economia Roberto Gualtieri con riguardo al tanto discusso e criticato accordo sul fondo salva-stati dell’Unione europea.

Prescindo dal merito dell’argomento: mi sembra una tempesta nel bicchiere scatenata da chi è solo alla ricerca di motivi per screditare l’attuale maggioranza di governo persino su temi oggetto di analoghe posizioni da parte del governo precedente. I politici hanno la memoria corta e purtroppo anche i cittadini non sono da meno.

Prendo in considerazione invece la degenerazione metodologica: le baruffe nelle aule parlamentari. La cosa non mi sorprende, perché è un classico delle democrazie discutere animatamente fino al punto da venire a male parole e finanche alle mani. Succede e il fatto non mi scandalizza: meglio così della pace dei sepolcri parlamentari nei regimi autoritari e dittatoriali.

Pur non trattandosi di eventi esemplari per la vita democratica, rientrano quasi nella normalità: la storia è zeppa di simili episodi scoppiati in concomitanza con la discussione su temi di varia natura. La differenza è che nell’ormai lontano passato segnavano le differenze su argomenti molto importanti a livello interno e internazionale, mentre oggi segnano una infima, strumentale e vuota polemica. Ancor più, rappresentano un tentativo irresponsabile e pazzesco di portare la politica all’osteria, con tutto il rispetto per le osterie, che non pretendono di scimmiottare il parlamento.

Quindi non mi scandalizzo, non mi sorprendo, non mi arrabbio, non riesco a fare dell’ironia o del sarcasmo, vengo preso da un senso di grande tristezza, da una sorta di ribellione interiore, da un nodo alla gola. Penso a quanto è costata la riconquista della libertà e della democrazia in termini di vite umane e di sacrifici personali e di gruppo. Penso a cosa proverebbero, di fronte a simili e vergognose liti, i condannati a morte della Resistenza, quanti hanno versato il sangue per guadagnarci le istituzioni democratiche ed antifasciste.

In questi scontri vedo, da qualsiasi parte vengano scatenati, un’intolleranza che sa di rigurgito fascista, che non ha nulla da spartire con la contrapposizione politica, ma che sminuisce il ruolo parlamentare per praticare scorciatoie populistiche, lisciando il pelo al qualunquismo, nemico principale della democrazia.

Chissà perché mi è venuto spontaneo fare un tremendo parallelo tra le risse parlamentari di questi giorni, precedute e seguite da un dibattito politico penoso, fatto di attacchi insulsi e demagogici, e l’emergente realtà di formazioni partitiche neo-naziste, sintomo di un malessere gravissimo esistente nella nostra società. Qualcuno mi consiglierà di non drammatizzare, di buttarla nel ridicolo, di liquidarla con un’alzata di spalle. Non ce la faccio! Credo nella politica e non accetto che la si deturpi.

Il cappio esibito, la mortadella ostentata, i brindisi provocatori, i cartelloni esposti non mi sembrano il modo migliore per vivere la democrazia nelle istituzioni. Un colpo oggi, un colpo domani, non sorprendiamoci poi se questo gioco consente a qualcuno di fare il nazista o il fascista. Un tal gioco, credetemi, è meglio non giocarlo.

Le uova marce della politica e le frittate della magistratura

Devo ammettere che, durante il periodo del berlusconismo imperante, mi schierai pregiudizialmente dalla parte dei giudici censori della politica: la colpa di questa scelta di campo, drastica e a senso unico, era senz’altro soprattutto di Berlusconi, il quale aveva impostato il tutto come una guerra con la magistratura e più insultava, provocava e tirava a cimento i magistrati, più questi intendevano fargliela pagare in una lotta che non è ancora finita e che ha rovinato forse in modo irreparabile i rapporti tra magistratura e politica.

Il tempo ha sollevato la polvere e, pur confermando molte responsabilità gravissime del cavaliere nel tremendo mix politica- affari-sesso, pur rimanendo inalterata la responsabilità di fondo di voler piegare la politica istituendone i rapporti col malaffare, pur ammettendo l’assurdità di criminalizzare i giudici rei di disturbare il manovratore, hanno cominciato ad emergere alcuni gravi difetti della magistratura riconducibili alla smania di protagonismo, all’accanimento giudiziario, all’intromissione nell’andamento delle vicende politiche, alla mancanza di equilibrio e di indipendenza. Fino ad un certo punto sono stato portato a giustificare questi atteggiamenti debordanti come comprensibili reazioni difensive alla messa in discussione dell’autonomia giudiziaria e agli attacchi volgari e sistematici rivolti alla magistratura.

Poi la questione ha preso una brutta piega e tutt’ora la situazione non è delle migliori: le ingerenze esistono, le inchieste ad orologeria pure, i dubbi aumentano. Quando un politico raggiunge un certo livello di protagonismo, parte qualche avviso di reato che rischia di distruggerlo: magari il tempo dimostra che le ipotesi di reato erano infondate, ma ormai la frittata è fatta. Il discorso riguarda soprattutto il finanziamento illecito dei partiti e la corruzione dei politici.

Il quadro legislativo risente degli scandali clamorosamente scoppiati a carico dei partiti e dei loro esponenti della cosiddetta prima repubblica. Effettivamente la corruzione aveva raggiunto livelli di guardia e la pentola debordò invadendo le aule giudiziarie, ma anche i cervelli dei cittadini irrimediabilmente disgustati. Niente più soldi pubblici alla politica: un modo per consegnarla definitivamente alle lobby e ai mestieranti più o meno prezzolati. Fatta la legge fatto l’inganno: ecco i rimborsi elettorali che altro non sono se non soldi pubblici malamente elargiti a piè di lista. Poi spuntano le fondazioni che rischiano di essere equivoche lavanderie dei soldi privati in odore di sfruttamento dei favori della politica. Tutto mentre il bambino ha comunque continuato a vivere nell’acqua sporca, perché la corruzione vera e propria non è diminuita ed è addirittura peggiorata nel senso della sua personalizzazione a scapito dei partiti.

Questa è la situazione in cui si dibatte il finanziamento della politica, che non può fare a meno dei soldi e di cercarli dove sono. Ogni tanto parte la retata e qualcuno resta impigliato, non è detto che sia il peggiore o il più scorretto, spesso è il più in vista del momento. A prescindere dalle reali responsabilità legali ed etiche che senza dubbio possono esistere, la politica viene genericamente ed ulteriormente squalificata e si fa strada l’antipolitica, su cui gravano gli stessi dubbi inerenti i giri finanziari: è un gatto a più code, che se le morde a rotazione.  Ora è il turno di Matteo Renzi, domani a chi toccherà? Sotto la cenere stanno covando dei fuochi e mi sembra tanto che le prime galline che cantano abbiano fatto o stiano facendo le loro uova. Le frittate si susseguono e la politica scende sempre più in basso con la magistratura che fa ben più del suo fondamentale e indispensabile mestiere.

Si intuisce spesso che dietro certe indagini verso pubblici amministratori ai vari livelli c’è poca sostanza: se vogliamo, assieme alla malafede di pochi esiste il pressapochismo di molti deputati, senatori, sindaci, assessori, consiglieri, etc., ma anche molto accanimento da parte dei giudici. Finirà come avvenne in certi periodi nella storia biblica del popolo ebreo? Il potere ai giudici e nessuno li potrà controllare e giudicare. Oppure i giudici espressione del potere politico? Già visto e vissuto in tanti periodi e in tante parti del mondo.  Oppure la politica direttamente connessa al giudizio del popolo? Va molto di moda. Il rapporto tra politica e magistratura è assai delicato e lo stiamo affrontando, il discorso vale per tutti, con il garbo dell’elefante nel negozio di cristalleria.

Sia ben chiaro che non intendo negare l’esistenza insistita ed arrogante della corruzione, tanto meno sto auspicando di mettere la sporcizia sotto il tappeto, ancor meno di chiudere gli occhi e assolvere tutti perché tutti sbagliano (era la difesa di Bettino Craxi ai tempi dello scandalo milanese). Vorrei soltanto che chi deve fare pulizia non sparga “il rudo” a vanvera e non lo butti addosso al primo che capita a tiro. Buona politica e buona pulizia!

I populisti nostrani confabulano con Cina e Russia

Qualcuno arriva a sostenere che il Movimento 5 Stelle sia una scatola cinese. Mi riferisco alla versione di Annalisa Chirico sull’agenzia editoriale “Formiche”, alla cui maliziosa, ma obiettiva, analisi mi riferirò di seguito. Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Nel caso dei rapporti fra pentastellati e Cina di indizi effettivamente ne esistono parecchi.

In novembre il leader del movimento Beppe Grillo ha svolto presso l’ambasciata della Repubblica popolare cinese in Italia una doppia visita: una cena con l’ambasciatore cinese Li Junhua, seguita da un incontro di oltre due ore nella sede diplomatica cinese a Roma. Cosa ci faceva in quella sede e a che titolo era lì: non penso lo avessero invitato per tenere alto il morale del personale dell’ambasciata.

Recentemente il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è stato ospite d’onore a Shangai dove ha brindato con il presidente Xi Jinping: ha parlato di Hong Kong come di un affare interno cinese. Si rende conto il nostro ministro di non essere un semplice turista alla ricerca di foto originali da mostrare agli amici? Il governo è d’accordo nell’alzare i calici con simili personaggi? Non ci si rende conto della inaccettabile strategia cinese?

Durante il periodo del primo governo Conte, Di Maio ha firmato il memorandum d’intesa per la Via della Seta: l’Italia è l’unico Paese fondatore dell’Unione europea ad aver sottoscritto un accordo che la stampa cinese ha celebrato come un successo geopolitico nazionale e che per l’Italia ha già comportato qualche vantaggio a livello commerciale. A che gioco giochiamo? Qui le responsabilità si allargavano al governo, titubante e chiaramente in difficoltà davanti ai partner europei.

Di Maio, promosso alla guida della Farnesina nel Conte II, ha nominato come capo di gabinetto Ettore Sequi, già ambasciatore italiano a Pechino. Non c’è di per sé niente di male, ma puzza tanto di eccessiva attenzione verso la Cina. Ettore Sequi sarà sicuramente un diplomatico di grande livello, ma proprio su di lui, condizionato da un certo curriculum, doveva cadere la scelta. Di tutti mi sembra l’indizio meno consistente, ma inserito nel contesto fa pendere la bilancia verso una pelosa attenzione filo-cinese.

Il 14 novembre scorso il ceo di Huawei Italia (Huawei è una società cinese impegnata nello sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti, di sistemi e di soluzioni di rete e telecomunicazioni. È stata fondata nel 1987 e ha il quartier generale a ShenzhenGuangdong, in Cina), Thomas Miao, ha pronunciato il discorso di apertura dell’evento “Smart company” organizzato a Milano dalla Casaleggio associati, la società di Davide Casaleggio che, in quanto presidente, tesoriere e amministratore unico dell’Associazione Rousseau, gestisce la piattaforma informatica e incassa ogni mese trecento euro da ogni parlamentare grillino (per un totale di circa 700mila euro nel 2018). Il manager Miao è lo stesso che ad ottobre, in occasione della inaugurazione dei nuovi uffici romani del colosso cinese delle telecomunicazioni è comparso in una photo opportunity con il sindaco della capitale Virginia Raggi, accorsa in loco per celebrare l’evento. Si dirà che gli affari sono affari e che non è vietato dialogare con i manager di importanti società: quando però i fili di questi contatti legano gli affari a soggetti vicini o dentro alla politica, gatta ci può anche covare.

Il 15 novembre il blog di Grillo, silente sulle proteste di Hong Kong, ha ospitato un intervento negazionista sulla repressione cinese contro la minoranza uigura, turcofona e di fede musulmana, nella regione dello Xinjiang. Eppure un dettagliato report dell’Unione Europea del gennaio 2019 evidenzia “le profonde preoccupazioni dell’Ue sui diritti umani nello Xinjiang, anche in relazione alla detenzione di massa, alla rieducazione politica, alla libertà religiosa e alle politiche di sinicizzazione”. Per non parlare delle numerose segnalazioni da parte delle Nazioni Unite e di organismi come Amnesty International che mostrano come il governo cinese abbia trasformato la regione in “un enorme campo di internamento avvolto nel segreto”. Grillo e i grillini non sono i soli a starsene zitti di fronte alle latenti violazioni di diritti umani da parte della Cina, ciò non toglie che onestamente un bel vaffa dovrebbe andare anche in quella direzione.

Mentre i grillini sembrano fare la corte alla Cina, Salvini non riesce a sgravarsi di dosso i seri dubbi su un flirt sovranista con la Russia di Putin, sorti soprattutto dopo l’inquietante vicenda riguardante una trattativa per finanziare la Lega con tangenti ricavate da affari petroliferi fra azienda italiane e russe con l’intromissione di un faccendiere, tal Gianluca Savoini, assai accreditato come consulente salviniano e personaggio facente parte dell’entourage leghista. Il discorso è aperto sul piano giudiziario, ma costituisce un bruttissimo e probabile, anche se non provato, marchio di inaffidabilità politica.

“Matteo Salvini non può più tacere sui rapporti della Lega con la Russia. Ieri ‘Report’ ha raccontato i legami tra il suo partito e Mosca, ricordando ulteriormente come l’affare del Metropol non sia una questione di secondo piano, ma potrebbe rientrare in un progetto politico più ampio. A favore dei russi e contro l’Europa da abbattere a colpi di sovranismo. Del resto il ruolo di Gianluca Savoini nella Lega era già noto come ‘ambasciatore russo’. È trascorso oltre un anno dalla visita dell’allora ministro dell’Interno a Mosca: un chiarimento è necessario e non più rinviabile”. Lo dichiara la segretaria di Possibile, Beatrice Brignone, dopo la puntata di ‘Report’ sui rapporti tra Salvini e Savoini. “Finora da Salvini – aggiunge Brignone – sono arrivate solo battutine sui rubli che non si trovano. Un comportamento che alimenta più di qualche dubbio. Gli elogi a Putin non sono mai mancati: di per sé è già un fatto preoccupante. Noi ogni giorno rinnoviamo l’appello affinché dalla Lega giungano risposte serie alle domande poste in questi mesi”.

Non sono appassionato di dietrologia e quindi non mi sento di gettare manciate di fango, nemmeno su chi non si fa scrupolo di esercitare sistematicamente questo mestiere e su chi vuol far credere di essere un moralizzatore ed un innovatore della politica italiana. Mi limito a prendere atto di elementi piuttosto inquietanti e ad esprimere il mio disappunto sulla politica estera ondivaga e spregiudicata portata avanti da due forze politiche così tanto votate dagli italiani. Sembrano andare a gara nel tessere pericolosi rapporti con Stati al di fuori delle nostre tradizionali alleanze: lo facevano quando erano entrambe al governo, lo fanno ora dal governo e dall’opposizione.  Vogliono questi signori, mi riferisco a Grillo, Di Maio e Salvini, chiarire cosa stanno combinando: se stanno giocando a fare gli statisti, la smettano e tornino a giocare nei loro cortili; se le stanno combinando grosse, vadano vergognosamente a casa dopo averci rotto abbondantemente i coglioni. Se il premier Conte ha conquistato autonomia e credibilità, veda di chiarire ulteriormente i rapporti italiani con Russia e Cina, non tanto per fare un piacere a Trump, che ne sta combinando una più di Bertoldo, ma per stare correttamente in Europa e nelle alleanze storiche tessute dal nostro Paese. Questo era il più serio input del suo nuovo governo e allora…