Se loro hanno Confucio…noi abbiamo Gesù

A noi arriva un quadro della situazione cinese da fare invidia. Nella prima fase della guerra al coronavirus, abbiamo scaricato sulla Cina molte colpe in merito alla falsa partenza del covid, dai colpevoli e imbarazzati ritardi di regime nell’ammissione della presenza del virus fino ad arrivare alle dolose e fantasiose accuse di essere i responsabili dell’immissione in circolo del virus stesso.

Scrive Marta Dassù in un commento pubblicato da La Repubblica: “La Cina sta però vincendo la seconda fase della guerra al covid. Chi vive nella Repubblica popolare afferma che il coronavirus non è solo sotto controllo, è già stato sconfitto. Con misure da tempi di guerra. Il lockdown a Wuhan è durato quasi cinque mesi, nel resto della Cina tre almeno. Ed è stato realmente un lockdown totale: presenza della polizia e sorveglianza elettronica hanno impedito alla gente di muoversi da casa e consentito di tracciare rapidamente i contagi. Un sistema invasivo di controllo sociale, pensato dal regime per ragione politiche, ha favorito la battaglia sanitaria. Ha avuto un peso, naturalmente, anche l’impronta confuciana della società.  In Cina l’individuo si concepisce anzitutto come parte di una comunità più vasta: i diritti dei singoli possono essere sacrificati alla sicurezza collettiva. Numero stratosferico di tamponi e divieto assoluto degli spostamenti interni hanno fatto il resto, assieme all’esperienza già maturata di fronte alla Sars un paio di decenni fa”.

Un regime dispone di mezzi coercitivi che in democrazia non sono ammessi, anche se la nostra è più una “individuocrazia”, di demos e di civico ha ben poco al di là delle elezioni. Non si scandalizzino quindi i liberisti ad oltranza delle sacrosante critiche contenute nell’enciclica papale “Fratelli tutti” laddove afferma: “La categoria di popolo, a cui è intrinseca una valutazione positiva dei legami comunitari e culturali, è abitualmente rifiutata dalle visioni liberali individualistiche, in cui la società è considerata una mera somma di interessi che coesistono. Parlano di rispetto per le libertà, ma senza la radice di una narrativa comune”.

E allora innanzitutto non dobbiamo essere presuntuosi e provare ad imparare quanto di buono ci può venire dalla Cina: non demonizziamo quel Paese, anche se ha responsabilità enormi passate e presenti. Ad esempio il ricorso ai tamponi è uno strumento che stiamo utilizzando poco e male. Il contenimento degli spostamenti dovremmo cercarlo in tutti i modi possibili, partendo dall’idea che i diritti valgono bene certi sacrifici.

Comunque a far quadrare il cerchio democratico dovrebbe essere la politica con il consenso, con l’autorevolezza, con la credibilità, con la competenza e l’esperienza. Qui casca l’asino. I nostri governanti non hanno le carte in regole e infatti la seconda fase della guerra al covid registra non poche conflittualità fra la popolazione e tutti i livelli di governo. Ad una iniziale aspettativa responsabile e relativamente fiduciosa, sta seguendo una fase che si preannuncia assai conflittuale e sfiduciata da parte della gente nei confronti della politica.

Non torno sulle motivazioni di questa dicotomia più volte commentate. Mi soffermo brevemente sul tentativo di ripristinare il collegamento, rafforzando l’attuale governo Conte tramite un rinnovato ed allargato patto tra Pd e M5S a livello programmatico (vedi soprattutto l’utilizzo del Mes, la massiccia e mirata pianificazione degli investimenti, il varo di misure di sostegno ai soggetti e alle categorie più deboli) e politico (vedi alleanze sul territorio). Basterà a rendere l’idea di un governo compatto e duraturo in grado di gestire un’emergenza sanitaria ed economica senza precedenti? Certo meglio un po’ di concordia e di collaborazione rispetto ad una litigiosità paralizzante e fastidiosa.

Non voglio fare il “benaltrista”, ma credo occorra molto di più per creare un circuito positivo e fiducioso tra le istituzioni ed i cittadini. Non voglio fare il “maanchista”, ma l’ideale sarebbe un governo di unità nazionale guidato e composto da personalità di alta levatura professionale ed esperienziale, però la situazione politica non lo consente, salvo improbabili conversioni da parte delle forze politiche più demagogicamente riottose. Continuo, nonostante tutto, a nutrire grande fiducia nel presidente della Repubblica: Sergio Mattarella sta facendo l’impossibile per tenere agganciato e unito il Paese e per “costringere” i partiti ad un impegno serio e responsabile.

Non so l’effetto che farà su di lui l’appello degli oltre cento scienziati, partito ad iniziativa del presidente dei Lincei Parisi. Personalmente sono rimasto impressionato e mi sono chiesto: possibile che la politica, pur facendo lo sconto alla scienza, che ha dimostrato purtroppo tutti i suoi limiti di conoscenza e di coerenza, resti insensibile a simili sollecitazioni ad agire e ad agire in fretta in difesa della salute pubblica? Non dico staremo a vedere, perché non c’è tempo. Speriamo bene: che i governanti trovino la forza e la sensibilità per farsi carico della situazione e che i cittadini non si perdano in assurde conflittualità e rimangano coi nervi saldi di fronte ai sacrifici che verranno loro richiesti. Sembra un’intenzione da preghiera dei fedeli durante la Messa. Sì, forse bisogna soprattutto pregare (lo dico naturalmente per chi ci crede).

Maccheroniche procedure, molto burocratiche e poco democratiche

Il fascicolo sanitario elettronico dovrebbe essere una modalità sbrigativa di interlocuzione in merito ai rapporti con le Aziende sanitarie locali e allo svolgimento delle pratiche burocratiche relative. Ecco di seguito le istruzioni per attivarlo direttamente da casa tramite il Sistema pubblico di identità digitale.

Per farlo va effettuata la registrazione on line, caricando i documenti richiesti (scansione fronte/retro del documento di identità e della tessera sanitaria in corso di validità) ed effettuando la validazione di numero di telefono e indirizzo mail dichiarati. Va poi chiesto il riconoscimento via web-cam prenotando una sessione audio/video a cui accedere, una volta programmato, tramite link di Google Meet. Con l’identità Spid si può attivare il fascicolo sanitario elettronico.

Dopo aver letto queste “maccheroniche” e, per me, incomprensibili istruzioni, mi è passata la voglia del fascicolo elettronico, che qualcuno mi aveva consigliato di aprire. La burocrazia è troppo forte, vince sempre, anche contro l’informatica, anzi con quest’ultima va di pari passo per complicare le cose. Sono consapevole di essere un vecchio ed ingauribile retrogrado, ma se questa è semplificazione…

Come ho già più volte ricordato – il ripetersi è un altro inequivocabile sintomo di vecchiaia – molto tempo fa il ministro della riforma burocratica Massimo Severo Giannini, dopo qualche tentativo andato a vuoto, vista la difficoltà al limite dell’impossibilità di cambiare le cose, diede le dimissioni preannunciando di voler emigrare negli Usa. Giustamente l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo rimproverò aspramente. Avevano ragione entrambi?! Il primo si arrendeva di fronte alla forza delle procedure e degli apparati burocratici, il secondo strigliava la politica incapace di superare gli apparati.

Sul fatto di fuggire negli Usa abbiamo proprio in questi giorni la conferma che comunque, anche oltreoceano, la politica rischia di impantanarsi di fronte alla burocrazia, anche quella del voto. Gerard Pomper, professore emerito di Scienze Politiche alla Rutgers University del New Jersey, uno dei maggiori esperti di politica americana, è convinto che Joe Biden vincerà il voto popolare con un margine significativo e avrà una maggioranza decisiva anche nel Collegio elettorale, ma le procedure di voto complicheranno e allungheranno la conoscenza ufficiale dell’esito della consultazione creando i presupposti per una battaglia legale in cui probabilmente si rifugerà Donald Trump, deciso a vendere cara la pelle.

Dice Pomper: “Il voto di persona è semplice, la verifica richiede una firma veloce, basta premere pochi (sic!) pulsanti e il conteggio viene automaticamente registrato ed effettuato; il voto per posta invece comporta molti più passaggi, ciascuno soggetto a errori umani e meccanici. Nella maggior parte degli Stati ogni scheda deve essere richiesta, inviata, ricevuta, completata, restituita ai funzionari elettorali, contata e infine inclusa nel conteggio”. Dal momento che il ricorso al voto per posta è assai praticato, ci possiamo preparare alla ripetizione di quanto successe dopo lo scontro elettorale tra Bush e Gore nel 2000 che portò al riconteggio in Florida e alla decisione finale della Corte Suprema, con il dubbio residuo che quelle elezioni le avesse vinte Gore, il quale si dichiarò perdente per carità di patria.

Quindi la fuga negli Usa non risolve affatto il problema della invadenza burocratica nella politica e nella vita dei cittadini, anzi la rende ancor più clamorosa e devastante. Da una parte il sistema è elettoralmente schiavo della burocrazia, dall’altra parte la mancanza di burocrazia ha il prezzo dell’assenza di diritti. In tutto il mondo assistiamo ad elezioni truccate: la burocrazia è sempre una grande chance per chi vuole annacquare a monte ed a valle la volontà popolare, riducendo la democrazia a mera ritualità farcita oltre tutto dal peloso strapotere informatico.

Durante il lungo conclave del 1958  per l’elezione del papa che sfociò nell’elezione di Roncalli quale Giovanni XXlll, in caffè dal televisore si poteva assistere al susseguirsi di fumate nere e qualche furbetto non trovò di meglio che chiedere provocatoriamente a mio padre, di cui era noto il legame, parentale e non, con il mondo clericale (un cognato sacerdote, una cognata suora, amici e conoscenti preti etc….): “Ti ch’a te t’n’ intend s’in gh’la cävon miga a mèttros d’acordi cme vala a fnir “.  Ci sarebbe stato da rispondere con un trattato di diritto canonico, ma mio padre molto astutamente preferì rispondere alla sua maniera: “I fan cme in Russia, igh dan la scheda dal sì e basta! “.

Oggi a guerra fredda ultimata, a democrazia fintamente diffusa, a tecnocrazia imperante, a burocrazia incallita, a informatica scodellata, in mezzo a moduli, procedure, brogli, cliccamenti vari, potrebbe anche ricredersi ed ammettere sconsolatamente ed amaramente che “forsi saris mej fär cme i favon in Russia ‘na volta, parchè adésa ànca lôr i fan fénta d’ésor democratic”.

 

Vangelo lungo e pedalare

È troppo provocatoriamente interessante l’analisi di Marco Marzano su  ilfattoquotidiano.it ripresa da MicroMega per non essere presa in considerazione: riguarda le vicende della Curia Vaticana e il titolo, “Becciu è il malfattore e il Papa l’innocente tradito? La realtà è un po’ diversa”, è tutto un programma. Mi sembra opportuno citarne di seguito integralmente alcuni passaggi.

“Becciu è diventato ormai il sinonimo di Giuda, capace, per qualche denaro, di vendere l’immacolato e purissimo successore argentino di Pietro. Giorno dopo giorno cadono con lui nella polvere altre figure, ma la loro disgrazia non fa che esaltare, nelle cronache, il candore della veste papale, l’innocenza tradita del Santo Padre. Più costoro sono meschini più lui appare diverso da tutti, unico e puro.

È lo schema usato in altre circostanze storiche per descrivere il rapporto tra i sovrani e la loro corte, tra i dittatori e il loro seguito. “Il re e è puro e ama il suo popolo – questo è l’adagio – ma i perfidi cortigiani tramano alle sue spalle e approfittano della sua immensa bontà per compiere il male”. Oppure “il duce è onesto, sono i suoi collaboratori ad essere corrotti”. È questo anche lo schema adoperato all’inizio di Tangentopoli da quei leader politici che cercavano disperatamente di scaricare tutte le responsabilità degli affari illeciti dei loro partiti sui “mariuoli”, sui segretari amministrativi, su chi gestiva i cordoni della borsa.

In questo scenario, la curia romana viene descritta come una sorta di associazione di liberi professionisti indipendenti, in cui ciascuno fa un po’ quel che gli pare mentre il capo pensa solo a pregare e a celebrare messa. Quando si concludono affari di centinaia di milioni di euro quest’ultimo non viene nemmeno consultato.

Ho il sospetto che la realtà sia un po’ diversa. La Chiesa Cattolica è la più centralizzata e gerarchica delle istituzioni esistenti. Il monarca che la guida è dotato di poteri immensi e assoluti e la curia è il principale apparato organizzativo al suo diretto servizio.
Se così stanno le cose, i casi sono due: o Bergoglio si trova nella stessa posizione che fu di Ratzinger e ha perso completamente il controllo della situazione e allora siamo di fronte ad un vuoto di potere che immaginiamo sarà colmato al più presto (casomai grazie a un gesto di responsabilità, un autopensionamento del monarca) oppure il papa regna e governa a tutti gli effetti e allora qualche responsabilità l’avrà anche lui nelle vicende di cui sopra”.

Su un piano squisitamente politico l’analisi di Marzano non fa una grinza, senonché la Chiesa non è un’istituzione assimilabile tout court ad uno Stato più o meno anti-democratico. Se così fosse non solo avrebbe ragione, ma cadrebbe tutto il discorso o quanto meno si ridurrebbe ad una questione come tante, interna ai meccanismi di funzionamento di un sistema o di un regime. Rimane indubbiamente aperto, diciamo socchiuso, il discorso del potere temporale della Chiesa configurabile nel Vaticano, ma mi sembrerebbe una diatriba piuttosto anacronistica e di scarsa rilevanza. Non ci sarebbe da scandalizzarsi più di tanto e il gran baccano suscitato dai contrasti curiali rientrerebbe, bene o male, nelle normali vicende politiche di una pubblica istituzione.

Mia sorella, quando era impegnata in campo politico, non sopportava le reprimende clericali e reagiva schiettamente rimandando le critiche al mittente: “Prima di guardare la pagliuzza (?) nell’occhio laico della politica, togliessero la trave nell’occhio delle gerarchie cattoliche…”. Aveva perfettamente ragione, ma la partita non si gioca solo su questo terreno, c’è un altro livello in cui si colloca e si complica. “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi …”. Se crediamo in questa “diversa” natura della Chiesa, dobbiamo rifarci alla prima comunità intorno a Gesù: c’era un po’ di tutto. C’erano gli arrivisti («di’ che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno»), c’erano i complottisti (pensavano ad un messia politico che liberasse Israele dal giogo romano), c’erano i traditori (per delusione, per interesse, per paura, per vigliaccheria). Non per questo ci sogniamo di sputtanare Gesù, accusandolo di essere una scimmietta “non vedo, non sento, non parlo” e ancor meno “un re che sopporta i cortigiani corrotti che gli fanno gioco”. Vedeva i difetti dei suoi seguaci, che fra l’altro aveva scelto lui, li bacchettava continuamente, ma non ha azzerato il gruppo né espulso alcuno, al massimo chiedeva loro: «Ve ne volete andare anche voi?».

Senza esagerare, sono d’accordo con chi individua il tratto fondamentale del pontificato di papa Francesco nella assoluta e totalizzante centralità evangelica e quindi in una “pazzesca” sfida a tutti, tentando di “copiare” Gesù. Allora le eventuali contraddizioni del papa attuale non sono tanto a valle, nelle stanze vaticane, ma a monte nella “preferenza per i pubblicani e le prostitute”, vale a dire nel rifiuto categorico del dogmatismo, del clericalismo e del maschilismo. I suoi gesti vanno in questa direzione e non ci dobbiamo stupire se rischiano di rimanere lettera morta a livello istituzionale e strutturale. I limiti di papa Francesco riguardano le titubanze nell’affondare i colpi nel merito delle questioni riconducibili al dogmatismo, nel non riuscire a buttare all’aria il conservatorismo teologico. Papa Ratzinger è rimasto sostanzialmente vittima della sua smania identitaria giocata sul piano teologico (era stato fatto papa per ridare alla Chiesa una forte identità teorica), papa Bergoglio rischia di soccombere rispetto alla sua intenzione di capovolgere la Chiesa in nome del Vangelo e secondo l’esempio di Gesù. Ha alzato l’asticella al massimo per se stesso e per tutti i cristiani: ecco perché sta montando intorno a lui una notevole resistenza, il cristianesimo di comodo è finito.

Termino queste strampalate riflessioni con una similitudine. La pulizia della e nella Chiesa non la si fa tanto e solo utilizzando strumenti efficaci (solo una volta Gesù ha usato il bastone, contro i mercanti nel tempio) e buttando all’aria le scrivanie dei curiali (come mi piacerebbe vedere una scena del genere…), ma riportando il cristianesimo da religione a fede, dalle regole alla carità di vita in tutto e per tutto (Gesù dava più fastidio quando si sedeva a tavola con i pubblicani, quando si faceva toccare dalle prostitute, quando parlava seriamente e dolcemente con le donne, quando mandava assolte le adultere, quando si avvicinava ai lebbrosi, quando rimetteva i peccati agli scomunicati dell’epoca, etc. etc.). Dove ci sta il più, ci sta anche il meno. Togliamo il potere alle curie non con un colpo di stato vaticano, ma con una rivoluzione dal basso: è il metodo che ci ha insegnato Gesù e che penso, pur con inevitabili debolezze, stia portando faticosamente avanti papa Francesco.

 

Al centro del ring e mai a bordo ring

Durante le animate ed approfondite discussioni con l’indimenticabile amico Walter Torelli, ex-partigiano e uomo di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta constatavamo che alla politica stava sfuggendo l’anima, se ne stavano andando i valori e rischiava di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restava che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo facili profeti: da allora più che di bipartitismo (im)perfetto si può parlare di qualunquismo strisciante con le parole d’ordine del “tutti uguali, tutti ladri e tutti stupidi”. Attenzione però, chi dice così, chissà perché alle elezioni vota a destra: se infatti tutti coloro che confondono destra e sinistra fossero coerenti, l’astensionismo a livello elettorale dovrebbe raggiungere vette pazzesche, invece…

Nello schieramento politico italiano c’è sempre stata ed esiste tuttora una forte tendenza ad essere di centro, perpetuando l’equivoco che occupare uno spazio centrale significhi essere equidistanti da destra e sinistra. Per fortuna uno dei promotori di una nuova forza politica in area cattolica, vale a dire “Insieme”, ha chiarito che stare al centro non vuol dire essere centristi, non significa scegliere una concezione immorale che trasforma la politica in un mercato, in cui si cede il proprio progetto a chi offre di più.

Lo stesso discorso vale per il termine “moderato”, che non vuol dire rifiuto dei contenuti forti provenienti da destra e sinistra, ma adozione di uno stile che non parta dai pregiudizi e dalle ideologie, ma dai problemi concreti della società per affrontarli nel dialogo e nel confronto. Non vuol dire solo adottare un linguaggio politicamente corretto (anche di questo c’è bisogno), non vuol dire prescindere dai principi e dai valori (Dio ci scampi e liberi da simili derive culturali), ma mettersi in discussione per trovare soluzioni condivise.

La pandemia avrebbe dovuto favorire un clima di moderazione costruttiva nel dibattito e nell’azione della politica, invece purtroppo ha divaricato ancor più le posizioni aggiungendo alla vuota conflittualità politica il gravissimo scontro istituzionale fra centro e periferia, fra Stato e Regioni, fra governo e comuni. Questa pessima immagine toglie ancor più credibilità e autorevolezza alla politica e porta discredito sulle istituzioni democratiche: in questi giorni purtroppo siamo un po’ tutti scriteriatamente e paradossalmente tentati dalle sirene della semplificazione autoritaria. Mia madre quando voleva sferzare il sistema politico parlava di “scemocrazia”. Speriamo di non dover utilizzare il termine “pirlamento”, come ho sentito dire a margine di una lucida e spietata analisi politica formulata da una simpatica anziana signora.

Non ricordo chi fosse, ma un grande personaggio sosteneva che la democrazia si esercita non tanto con le elezioni, ma dopo le elezioni. Questa breve ed eloquente analisi dovrebbe essere messa sotto il naso dei politici, che hanno sempre la riserva mentale del ricorso alle elezioni, con il retro pensiero di incassare a livello di partito un risultato favorevole: il resto non conta niente, i problemi possono aspettare. Uguale e contrario l’atteggiamento ostruzionistico degli esponenti politici preoccupati solo di guadagnare tempo, perché temono di incassare una sonora sconfitta elettorale e quindi tendono ad allontanare il pericolo giochicchiando di sponda. In questo momento la politica, come sostiene acutamente Walter Veltroni, avrebbe bisogno di un bagno di competenza, non per occultare o bypassare principi e valori, ma per dare ad essi una concretizzazione coerente e plausibile. Sarebbe il caso di mettersi “degasperianamente” al centro per guardare a sinistra sulle ali dei valori coniugati con la competenza.

Stiamo aspettando l’esito delle elezioni statunitensi ed è forte la tentazione di attestarsi su un atteggiamento di equidistanza europea rispetto ai contendenti, perché, mai come in questo periodo, la politica americana risulta vacua e incomprensibile, ma allo stesso tempo affaristica, egoistica e chiusa.  Però, come sostiene Carlo Bastasin su La repubblica, ci sono in ballo gli equilibri globali, gli scambi economici, i temi dell’ambiente e dell’agenda digitale. Non si può quindi rimanere neutrali. Io personalmente sono neutrale…ma Donald Trump non mi piace, anzi mi fa letteralmente schifo (se l’ho già scritto, repetita iuvant).

 

Il mondo governato dal totalitarismo economico

Il Nobel per la pace è stato assegnato al Word Food Programme, una delle agenzie dell’Onu, che dal 1961, anno in cui è stata fondata, si occupa di assistenza alimentare: dallo Yemen alla Siria, 17 mila dipendenti sul fronte di 83 nazioni per assistere 90 milioni di persone. Manoj Juneia, vice-direttore esecutivo e direttore finanziario del Fondo premiato dichiara: «Pace e fame sono collegati. Il mondo non potrà mai eliminare la fame se non c’è la pace, e finché c’è fame non ci sarà la pace. Dove c’è fame i conflitti peggiorano. Dove ci sono povertà e diseguaglianze, c’è più disperazione. In 80 Paesi su cento, fra quelli dove dobbiamo intervenire, c’è un conflitto». Sulle modalità di intervento del Fondo spiega: «Oggi il 40% della nostra assistenza è in pagamenti cash: trasferiamo il contante alle persone in difficoltà, solo una piccola parte dei nostri aiuti è in beni alimentari e va nei Paesi dove non c’è un mercato. Noi siamo al fronte. Se la Fao è il ministero dell’Agricoltura di tanti Paesi, noi siamo i vigili del fuoco».

Vandana Shiva, l’indiana scienziata di punta nell’attivismo della sostenibilità, chiede con vigore che il premio Nobel al Word Food Programme sia l’occasione per porre con forza l’obiettivo di garantire a tutte le genti del mondo una sana e corretta alimentazione, oltre che educazione, salute, lavoro e rispetto.

Quanto al collegamento fra le due piaghe della fame e del coronavirus afferma che «chi ha fame si indebolisce e diventa più vulnerabile. Poi, la crisi economica flagella Paesi già poveri che vedono compromesso il delicato ma cruciale equilibrio che avevano faticosamente costruito: produzioni agricole biodiverse ed ecologiche realizzate con criteri di rispetto dell’ambiente e di circolarità delle risorse».  Vandana Shiva aggiunge coraggiosamente una denuncia: «È atroce pensare che un ristrettissimo numero di miliardari sta aumentando la propria ricchezza durante la pandemia e i lockdown. Lo stesso pugno di uomini decide come cibo, salute, educazione devono essere organizzati. Nel mondo con c’è più una democrazia diffusa, ma un totalitarismo economico: è questo il problema centrale su cui concentrarsi; non è più sostenibile che centinaia di milioni di persone debbano fuggire lontano per sopravvivere o vengano spossessate dei loro beni. Siamo una sola umanità e dobbiamo sentirci vincolati da un obbligo di solidarietà. I ricchi aiutino i poveri e tutti mettano da parte i pregiudizi e le divisioni razziali, culturali, religiose. Purtroppo queste fratture vengono amplificate dal “divide et impera” che sembra inestricabile nei governi e negli individui economicamente e politicamente più potenti. Invece dobbiamo difendere i nostri comuni diritti, dal cibo al lavoro».

Finalmente voci autorevoli che ci provocano e ci portano a riflettere seriamente e ad affrontare i problemi al di sopra delle nostre quotidiane bagatelle. Proseguo inoltre nell’utilizzo del pensiero del Papa non tanto per farne una celebrazione o una incensazione che lasciano il tempo che trovano, ma per aggiungere, in diversi casi, chiose che mi mettono in crisi nel modo di concepire la mia vita e quella del mondo in cui sono inserito.

Scrive papa Francesco nella sua recentissima enciclica “Fratelli tutti”: “Molte volte si constata che, di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti. Il rispetto di tali diritti «è condizione preliminare per lo stesso sviluppo sociale ed economico di un Paese. Quando la dignità dell’uomo viene rispettata e i suoi diritti vengono riconosciuti e garantiti, fioriscono anche la creatività e l’intraprendenza e la personalità umana può dispiegare le sue molteplici iniziative a favore del bene comune». Ma «osservando con attenzione le nostre società contemporanee, si riscontrano numerose contraddizioni che inducono a chiederci se davvero l’eguale dignità di tutti gli esseri umani, solennemente proclamata 70 anni or sono, sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza. Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo. Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati». Che cosa dice questo riguardo all’uguaglianza di diritti fondata sulla medesima dignità umana?”.

Il covid sotto il tappeto

La situazione pandemica è gravissima. Sì, ma solo un pochettino. Da una parte siamo bombardati da notizie allarmanti e dati drammatici, dall’altra il governo se ne esce con una ridicola raffica di “provvedimentucoli” che fanno il solletico al coronavirus.

Tutti pontificano sulla difficoltà di contemperare le esigenze della sopravvivenza fisica con quelle della sopravvivenza economica: detto questo è detto tutto e niente. Le difficoltà vanno affrontate e non descritte per poi essere aggirate e/o rinviate.

Ci stanno portando in giro. Forse sarebbe meglio non fare niente, smetterla di ossessionare la gente e lasciare che si ammali ed eventualmente muoia senza funerali anticipati. Dobbiamo ammetterlo: abbiamo una classe politica inadeguata alla gravità della situazione. Non ce la fanno proprio. Stanno offrendo, a tutti i livelli, uno spettacolo indecente. Nessuno pretende miracoli, ma un po’ di decisionismo e soprattutto di impegno serio e continuativo. Mi si dirà che la deriva della politica governante è così in tutto il mondo: mal comune è mezza disperazione!

Non so se la ripresa della pandemia dipenda anche da comportamenti irresponsabili dei cittadini. Certamente esiste anche questo fattore col quale fare i conti, ma che dovrebbe essere almeno in parte prevenuto e ridimensionato da seri interventi a monte di governo e di controllo. Mi sembra stia succedendo esattamente il contrario: l’insipienza dei pubblici poteri favorisce l’incoscienza e la sventatezza della gente. Si sta facendo strada la convinzione che tutto sia inutile e quindi che tutto sia consentito.

Forse sono spietatamente critico, ma, osservando dall’esterno l’attività di chi svolge funzioni pubbliche di un certo livello, ho l’impressione di un girare a vuoto: chiacchiere in una situazione bisognosa di decisioni e di fatti. Non c’è un briciolo di carisma, di personalità, di credibilità, di ascendente, di prestigio. Non vorrei che il virus intaccasse anche il rapporto tra governanti e governati, sarebbe un vero disastro: lo sto sperimentando sulla mia pelle.

Paolo Jannacci, musicista, figlio del leggendario Enzo, in una recente intervista al quotidiano La Repubblica, ha tirato un’amara, emblematica conclusione: “Mi colpisce il blocco dello sport dilettantistico, che forse è quello restato vero sport e non business”. Infatti si tratta dell’eloquente esempio di come venga affrontato in modo blasfemo il rapporto tra salute ed economia. Non solo lo sport messo demenzialmente sullo stesso piano dell’istruzione, ma all’interno del discorso sportivo viene privilegiato il carrozzone affaristico. Mi ero illuso che il mondo dello sport professionistico venisse ridimensionato e costretto nell’angolo. Gufavo pensando che tutto il mal non venisse per nuocere, invece vince sempre il più forte. Sta succedendo a livello mondiale dove i ricchi non piangono, ma fanno affari d’oro; sta succedendo a livello nazionale dove si capisce benissimo come certi interessi non possano essere nemmeno sfiorati.

Strada facendo il covid sta svilendo tutti i nostri pregi ed esaltando tutti i nostri difetti. Sarà questo il significato dello slogan “niente sarà più come prima”? Il governo ha passato la patatina bollente dei lockdown in miniatura ai sindaci, che potranno decidere di chiudere dalle 21 strade o piazze a rischio assembramento: un goffo e vergognoso escamotage per non decidere e scaricare il barile. È pericoloso che non si sappia che pesci pigliare, ma è assai peggio fare i pesci in barile.

 

Speriamo che il papa perda la pazienza

Il segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin (65 anni) non fa più parte della Commissione cardinalizia di controllo sullo Ior. La decisione del Papa è stata comunicata il 21 settembre, tre giorni prima della “destituzione” del cardinale Angelo Becciu. Parolin che era stato nominato il 16 dicembre 2013, sarà rimpiazzato dal cardinale italiano Giuseppe Petrocchi arcivescovo de L’Aquila, che secondo il solitamente ben informato periodico spagnolo Religio Digital potrebbe essere addirittura il prossimo Segretario di Stato. Il Papa ha anche cambiato altri due cardinali commissari dello Ior, con il prefetto di Propaganda fide, il filippino Louis Tagle (considerato come il delfino di Papa Francesco) e con l’elemosiniere pontificio, il polacco Konrad Krajevskj. Due scelte che la dicono lunga sulla volontà del Papa circa la natura dello Ior, l’Istituto per le opere di religione, il cui Statuto è stato cambiato l’anno scorso, e da cui è partita la denuncia che nel luglio 2019 ha dato il via alle indagini della magistratura vaticana sul palazzo acquistato a Londra dal finanziere Raffaele Mincione.

L’indomani della destituzione del cardinal Becciu mi ero chiesto: possibile che il cardinale Pietro Parolin, di cui Becciu era il sostituto, non sapesse niente di niente? Il fatto che anche lui, seppure in modo assai più felpato e parziale, sia stato ridimensionato è una risposta indiretta alle mie perplessità. C’è aria di “pulizie in corso” nella curia vaticana: era ora! Fino a questo momento il Papa ha cercato di circondarsi di uomini di Chiesa affidabili e a lui fedeli: non è infatti possibile che lui in prima persona possa seguire e controllare tutto. Queste mosse fino ad ora si sono rivelate discutibili se non addirittura sbagliate e la nave curiale rimane in alto mare sbattuta dalle onde dell’affarismo. Speriamo che le nuove scope individuate possano scopare meglio.

Il punto debole dei papi da molto tempo si è rivelato quello della curia a cui devono comunque fare riferimento (in parte un falso o almeno relativo problema come dirò più avanti): forse esagero, ma hanno questa spina nel fianco, che li condiziona laddove non ne impedisce addirittura la nomina.

Pio XII era diretta emanazione della Curia e quindi forse non ebbe grossi problemi: la conosceva come le sue tasche e riusciva a dominarla. Puntavano a controllare Giovanni XXIII e invece si sbagliarono di grosso, anche perché lui i meccanismi curiali li aveva presenti e quindi sapeva prevenirli e sopportarli. Papa Montini era stato allontanato dalla curia e promosso vescovo di Milano: poi se lo ritrovarono fra i piedi e non ho mai capito che rapporto fosse riuscito ad instaurare Paolo VI con le stanze vaticane. Giovanni Paolo I, detta come va detta, morì sotto il peso dello Ior e degli scandali relativi. Giovanni Paolo II se ne fregò altamente e andò per la propria strada: non il modo migliore per affrontare il problema. Benedetto XVI, pur facendo parte di questo mondo, se ne stette in disparte, avvertì chiaramente la sporcizia esistente nella Chiesa, ma non mise il dito nelle piaghe, preferendo dedicarsi alle questioni teologiche in cui era indiscusso maestro.

Papa Francesco, per quanto concerne la riforma della Chiesa nelle sue strutture istituzionali e curiali, è arrivato come un dilettante allo sbaraglio al quale si chiedeva tuttavia di scalare il monte Everest: si è dovuto fermare ben prima della cima anche perché costretto a combattere a mani nude contro gente agguerrita, esperta e furba. Dopo sette anni è purtroppo ancora (quasi) al punto di partenza: forse avrà tagliato qualche coda, ma non ha certamente raggiunto la testa. Non lo invidio in questa operazione difficilissima e rischiosa: non è un ingenuo e indubbiamente sa quel che vuole. Ciò non toglie che abbia problemi enormi da affrontare.

Peraltro forse gli ostacoli non gli arrivano solo dalla Curia e dalle segrete stanze vaticane: papa Francesco si trova nel bel mezzo di un tiro incrociato di cui lui è bersaglio. Agli affaristi che brigano e tramano nell’ombra, si aggiungono e temo si affianchino i conservatori, i quali, dietro una difesa di facciata della tradizione e dei principi ad essa riconducibili, nascondono il timore per una Chiesa sdogmatizzata, sregolata, priva di potere, aperta, povera e scomoda.

Però ci sono anche i progressisti (tra i quali mi colloco), i quali, pretendono quasi l’impossibile, come i membri dell’episcopato tedesco: essi puntano ad uno stile sinodale e coinvolgente verso i laici ed hanno nelle questioni del celibato sacerdotale, del presbiterato femminile, delle unioni fra omosessuali, dei divorziati risposati, della morale sessuale in genere, le punte di diamante delle loro battaglie. Qualcuno arriva a paventare un vero e proprio scisma: fino ad ora era l’ala conservatrice, curiale e statunitense, a scalpitare e minacciare, adesso il pericolo verrebbe addirittura da “sinistra”, anche perché la “destra” trova sempre il modo di conservare il potere, mentre i progressisti puntano molto più in alto. Non credo si arriverà a tanto, però il clima è veramente difficile e imbarazzante.

Il papa è lì col vangelo in mano, l’unica arma teologica che si è scelto, e da questo punto di vista nulla da eccepire (mancherebbe altro…). L’altra scelta riguarda lo stile di comportamento, fatto di gesti apparentemente non risolutivi, ma eloquenti e indicativi. Qui c’è spazio per fare qualcosa di più: abbia il coraggio di aprire concretamente su certi temi. Nessuno pretende che sostituisca tutti i cardinali con donne impegnate sul piano ecclesiale oppure che crei altrettanti cardinali fra i laici arrivando ad una sorta di quota paritaria fra sottanoni celibatari e gonne autenticamente femminili o fra clero e laicato. Anne Soupa, teologa e biblista francese si è candidata come vescova di Lione ed è convinta che solo affidando responsabilità al mondo femminile si potrà fermare il declino della Chiesa (sono perfettamente d’accordo!). Questa battagliera fondatrice ed esponente del “Comitè de la Jupe” (comitato della gonna) sostiene che papa Francesco non abbia avuto il coraggio di esprimersi a favore del sacerdozio femminile e il fatto che dia incarichi amministrativi alle donne sia un contentino.

Gesù risorto è apparso prima a Maria di Magdala che agli apostoli: gesto più chiaro di quello… Ho invece l’impressione che Bergoglio tenda a sacrificare certe delicate ma inevitabili questioni identitarie a beneficio delle scelte verso i poveri: un compromesso assurdo, che finirebbe con lo scontentare e disorientare tutti. Della serie: niente sacerdozio alle donne, ma tanta attenzione agli ultimi. Anche la recente enciclica non ha sopito le velleità, ma anzi ha spaventato ulteriormente gli uni (già alla ricerca di liberistici paraventi dietro cui nascondere l’istinto doroteo di conservazione) e solleticato gli appetiti degli altri (ora o mai più).

Mi chiedo in conclusione: è possibile che la Chiesa abbia tali cappe di piombo sulla testa e tali schematismi nel petto? Oltre che pregare, cosa si può fare per rompere questi equilibri che impediscono di vedere un po’ di cielo? Quando nel 2013 fu eletto papa non ebbi il minimo dubbio che quella volta lo Spirito Santo fosse arrivato in tempo utile ed infatti, col suo nome e con i suoi gesti, ha dimostrato di avere un filo diretto con la Trinità. “Non dimenticatevi di pregare per me”: non è un ritornello di maniera, è sicuramente frutto della consapevolezza della gara durissima che sta vivendo e per la quale non è sufficiente partecipare, ma bisogna vincere nel cuore dei cristiani. Auguri papa Francesco! Sto dalla sua parte e aspetto con fiducia.

 

Nel deposito delle occasioni perse

Sono in attesa, come tutti, dei nuovi provvedimenti governativi finalizzati a contrastare la forte ripresa del coronavirus. Mi viene spontaneo però prima di pensare al nuovo, ripensare al vecchio, vale a dire alle occasioni buttate al vento in questi ultimi mesi di relativa tregua. Come afferma l’aforista americano Mason Cooley, rimpiangere il tempo sprecato è ulteriore tempo sprecato, ma non resisto alla tentazione e quindi spero di non cadere nel fastidioso atteggiamento del grillo parlante, di non piangere inutilmente sul latte versato, di non entrare per mettere ordine nel grande deposito delle occasioni perse e degli appuntamenti mancati, di non farmi influenzare più di tanto dalle sacrosante critiche circolanti (quelle del professor Massimo Cacciari in particolare, a cui peraltro faccio riferimento).

Pongo una premessa: le manchevolezze non riguardano solo il governo centrale del Paese, ma anche Regioni e Comuni; non dimentichiamo che le Regioni sono dotate di poteri enormi in materia sanitaria e non solo e rivendicano sempre maggiore autonomia salvo poi dimostrarsi molto spesso non all’altezza della situazione; ognuno ha la sua parte di responsabilità correlata alle proprie competenze. Forse la principale carenza è quella di non essere riusciti a fare squadra a livello istituzionale, rimanendo imprigionati nella confusione dei ruoli, presi dalla preoccupazione di scaricare il proprio barile anziché di farsene carico.

Ma vengo al merito delle questioni e parto dal fondo, dalla struttura assistenziale e sanitaria che ha evidenziato grosse carenze. Pur considerando i tempi stretti e le difficoltà oggettive, si poteva e doveva fare di più, potenziando le terapie intensive, i reparti ospedalieri, il personale sanitario, invece ho la sensazione che l’idea del peggio che sembrava passato abbia creato una sorta di rilassatezza comprensibile ma colpevole.

Fin dall’inizio si era capito che non funzionava il meccanismo dei tamponi: ebbene a distanza di otto mesi si registrano code interminabili e ritardi inammissibili. Riuscire a diagnosticare per tempo e in breve tempo la malattia è certamente un importante punto d’attacco: se il nemico non lo vedi e non lo individui con una certa precisione, come fai a combatterlo efficacemente?

A livello di prevenzione bisognava puntare sull’evitare gli assembramenti. La riapertura delle scuole ha impegnato tutti nella ricerca affannosa di personale, di locali e di strutture. La questione dei banchi è diventata un autentico tormentone, mentre si intuiva facilmente che il problema non sarebbe stato dentro le scuole ma fuori dalle stesse: mi riferisco soprattutto ai trasporti che non sono stati sufficientemente potenziati e che riguardano non solo gli studenti ma tutte le persone che hanno ripreso pienamente le loro attività. Il nodo dei trasporti è stato purtroppo sottovalutato e affrontato in modo sbrigativo e semplicistico.

Per evitare gli assembramenti occorreva anche concentrare, orientare e razionalizzare i controlli in tal senso, invece, come lucidamente osserva Massimo Cacciari, si sta facendo un gran casino creando allarme e panico dove occorrerebbe calma e serietà.

La gente è in balia di un’informazione carente, reticente, contraddittoria e sconclusionata da parte dei media, che proseguono imperterriti il loro macabro balletto, ma anche da parte degli organi istituzionali e scientifici che non affrontano con chiarezza gli snodi fondamentali della situazione. Non se ne può più di chiacchiere inutili, allarmistiche, illusionistiche: sono auspicabili poche, univoche e significative indicazioni almeno da parte di chi ci dovrebbe guidare e di chi supporta scientificamente i pubblici poteri.

Ritorno in conclusione alla premessa: si continua a legiferare in modo confuso e contraddittorio, ogni istituzione va per la propria strada più o meno giusta, si sente la mancanza di autorevolezza e affidabilità da parte di chi ci governa ai vari livelli. Gli italiani hanno capito la difficoltà enorme della situazione, tutto sommato hanno apprezzato l’impegno profuso dai governanti, hanno snobbato le sterili, inconcludenti e irritanti critiche delle opposizioni, hanno generalmente collaborato in modo oserei dire insperato, ma ora cominciano a sentirsi confusi e spaventati, trattati come “cani perduti senza collare”.

Mi sembra giusto riprendere testualmente quanto afferma incisivamente il professor Cacciari: “Basta, basta! Basta con questo delirio normativistico assurdo, con questo controllismo fuori senso. Sono un animale razionale e intendo essere trattato come un animale razionale!». Vale per lui, vale per me, vale per tutti.

Le streghe finanziarie spadroneggiano

Seguo con un certo interesse la collana edita dal Corriere della Sera sui “Grande delitti nella storia”. Sto leggendo il libro di Alessandro Visca dedicato a Martin Luther King dal titolo “Il sogno spezzato”. Barbara Biscotti conclude amaramente l’introduzione scrivendo: “Il suo assassinio fu il gesto, calcolato o viscerale, di chi pretendeva di poter arrestare quella marea (il movimento per i diritti civili degli afroamericani contro il segregazionismo, per i diritti umani in generale, un movimento di riforma e per una vera e propria rivoluzione pacifica). Un gesto sicuramente di successo sul piano economico, se si considera che nell’anno dell’assassinio di King (e di Bob Kennedy) l’indice Standard & Poors 500 della borsa statunitense chiuse con un rialzo dell’undici per cento. E non si tratta dell’unico caso nella storia statunitense in cui a eventi drammatici ha corrisposto un successo del mondo finanziario”.

Usando questa spregiudicata chiave di lettura della storia si ha la sensazione di vivere in un mondo di favola a rovescio, in cui le fila sono tirate dalla strega cattiva e in cui le fate, le belle addormentate e i principi azzurri non hanno scampo. Più che mai in questo momento storico si hanno le più tristi ed emblematiche conferme.

Su tutto grava come un macigno il gravissimo inestricabile nodo del rispetto dei  diritti umani e delle regole democratiche: eliminazione di esponenti dell’opposizione o di loro sostenitori, mire egemoniche ed espansionistiche ai confini, populismi cavalcati senza scrupoli, rapporti internazionali strani e complessi, sanzioni economiche che vanno e vengono, bombardamenti al di fuori degli schemi, ampi consensi interni conquistati con paura, nazionalismi, giustizia addomesticata e informazione controllata.

Si dovrebbe chiamare realpolitik. Un mio collega, raccontando i retroscena di certe gite scolastiche in odore di corruzione tangentizia, aggiunse ironicamente: e lo chiamano libero mercato… È sempre lo stesso libero mercato che la fa da padrone: sì, perché le più squallide vicende hanno purtroppo il tornaconto finanziario e affaristico. La realpolitik ulteriormente asservita alla realeconomik.

D’altra parte a ben guardare abbiamo i destini del mondo nelle mani dei più squallidi personaggi. Non è che in passato la scena fosse dominata da graziose mammolette, ma tutto ha un limite. La realpolitik del passato ci ha portato alla situazione pazzesca in cui ci troviamo, staremo a vedere dove ci porterà quella attuale riveduta e (s)corretta. Putin, Trump, Xi Jinping, Erdogan, Kim Jong-un, Bolsonaro, Duterte, etc. etc.: un’autentica gang mafiosa che gioca sui destini dell’umanità. E non se ne vede una seppur piccola via d’uscita.

Putin è un post-comunista della peggior specie mafiosa. Trump è un affarista perfetto a fronte del quale il nostro Berlusconi sembra un boy scout in piena regola. Erdogan prende per il sedere tutti o meglio fa comodo a tutti. Il leader nord-coreano rappresenta il volto paffuto e bonario della peggiore dittatura. In Cina hanno trovato il modo di miscelare il peggio del capitalismo e del comunismo. È il caso di dire che i populisti Bolsonaro e Duterte spopolano e fanno seguaci ovunque. Si potrebbe continuare, ma preferisco constatare che, di fronte a tanta vergognosa politica (?), l’Europa, con le sue pallide stelle, sta a guardare. Forse è ancor peggio: sta brigando con l’uno e/o con l’altro interlocutore di cui sopra.

Paolo VI sosteneva giustamente che la politica è la forma più alta di carità. I fatti lo smentiscono categoricamente: la politica, in questo caso mi riferisco al livello internazionale, sta diventando sempre più la forma più bassa di egoismo. E sempre in nome della libertà. Che schifo!

Dalle sabbie mobili in cui stiamo sprofondando emerge papa Francesco, che con la sua recente enciclica “Fratelli tutti” ci allunga una vigorosa e credibile mano. Ne cito di seguito alcuni passi, tenendo fede all’impegno che mi sono proposto di adottarla spesso come vademecum etico per dare risposte impegnative alle situazioni drammatiche in cui viviamo.

“Mi permetto di ribadire che «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia». Benché si debba respingere il cattivo uso del potere, la corruzione, la mancanza di rispetto delle leggi e l’inefficienza, «non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale». Al contrario, «abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi». Penso a «una sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose». Non si può chiedere ciò all’economia, né si può accettare che questa assuma il potere reale dello Stato.

Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricordo che «la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione» e ancora di più in un progetto comune per l’umanità presente e futura. Pensare a quelli che verranno non serve ai fini elettorali, ma è ciò che esige una giustizia autentica, perché, come hanno insegnato i Vescovi del Portogallo, la terra «è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva».

Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità. Perché un individuo può aiutare una persona bisognosa, ma quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel «campo della più vasta carità, della carità politica». Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ancora una volta invito a rivalutare la politica, che «è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune»”.

 

 

 

 

I deliri da covid 19

Col suo solito stile tranchant Massimo Cacciari ha nitidamente fotografato la situazione pandemica in Italia all’insegna del delirio: nelle norme, nei controlli, nell’informazione. Con una espressione simpatica ed eloquente ha affermato di sentirsi trattato come un deficiente. Egli parte dal rifiuto stizzito e categorico della semplificazione sulla ripresa della pandemia che sarebbe dovuta al fatto che ci siamo troppo distratti e divertiti l’estate scorsa, mentre la motivazione seria riguarda la ripresa dei rapporti interpersonali a livello economico, sociale ed educativo.

In secondo luogo le cose fondamentali che erano state promesse, vale a dire il rafforzamento delle terapie intensive, l’adeguamento delle strutture ospedaliere e il potenziamento dell’assistenza territoriale, sono state regolarmente “cannate”: i reparti di rianimazione sono già vicinissimi al collasso, negli ospedali si sta tornando all’anormalità, sul territorio basta vedere le interminabili file per farsi fare un tampone.

Aggiungiamoci pure (questo lo dico io) il discorso delle scuole: era lapalissiano che il problema non sarebbero stati i banchi e forse nemmeno le aule, ma il “casino” dei trasporti, delle entrate e delle uscite. Mi è capitato di girare in automobile per le strade cittadine nell’ora di punta: nessuna differenza rispetto agli ammassamenti esistenti in era anti-covid.

Cacciari se la prende anche con i controlli effettuati a vanvera, in modo assurdo per non dire demenziale, senza alcuna razionalità e senza alcuna efficacia, ma solo per dare l’illusione di avere la situazione sotto controllo. Prima ancora però esiste, a suo dire, il delirio normativo che guarda la pagliuzza delle feste in famiglia e trascura la trave dei bus e dei treni stracolmi.

Il discorso più criticamente interessante è però quello riferito ai dati sparati alla viva il parroco, senza alcun senso scientifico: nessuno spiega le patologie delle persone che non hanno retto al virus; nessuno analizza il rapporto fra tamponi effettuati e contagi riscontrati; nessuno chiarisce quale sia il rapporto fra contagiati asintomatici e contagiati in sofferenza, fra curati a casa e curati in ospedale, etc. etc.

Morale della favola: c’è da perderci la testa, da sentirsi becchi e bastonati, da farsi prendere dal panico. Cacciari conclude con un assioma (quasi) filosofico: non mi mettono in grado di ragionare e quindi mi fanno passare da deficiente.

A Massimo Cacciari ha fatto eco Alessandro Vespignani, 55 anni, uno dei massimi esperti di epidemiologia computazionale, che osserva l’evoluzione del contagio in Italia e la strategia messa in campo dal governo. A Boston dirige il «Laboratory for the modeling of biological and Socio-technical Systems», alla Northeastern University.

«Che il virus abbia ripreso a correre non è un certo una sorpresa. Lo sapevamo tutti che l’epidemia avrebbe ripreso forza in autunno, con la riapertura delle scuole, la ripresa delle attività e così via. Ora serve sangue freddo e giocare d’anticipo contro il virus, direi “a zona” per usare un’espressione calcistica. Innanzitutto le misure prese dal governo vanno poi declinate a livello territoriale. Il Covid va stanato regione per regione, città per città, quartiere per quartiere. Occorrono restrizioni mirate, non servono le misure a tappeto. E più che al numero dei positivi in generale, dobbiamo guardare alla situazione negli ospedali, alla saturazione dei posti nelle terapie intensive».

Quanto al senso delle misure governative Vespignani afferma: «Qui c’è un problema di comunicazione. Immagino che il governo abbia adottato quelle misure sulla base di dati scientifici. Però ora le deve spiegare e rispiegare ai cittadini. Non ho avuto modo di vedere tutte le carte, ma restiamo sull’esempio degli invitati a casa. Immagino che il comitato tecnico-scientifico abbia raccolto segnali importanti che il coronavirus si trasmette nei contatti con persone estranee al nucleo famigliare, identificato, per stare larghi, con una media di sei persone. Però tutto questo ragionamento va spiegato, altrimenti nessuno capisce l’importanza della misura. Un altro caso: perché il calcetto no e lo sport delle associazioni giovanili sì? Probabilmente perché il calcetto è praticato da milioni di persone, mentre le associazioni giovanili forse coinvolgono 3-400 mila ragazzi e ragazze e quindi sono più controllabili».

In conclusione l’epidemiologo dice: «Abbiamo perso molto tempo a discutere sul virus. Non possiamo fare finta di niente e neanche aspettare, sperando che la situazione migliori da sola. Non succederà. Dobbiamo tornare a essere uniti. I numeri di oggi non sono confrontabili con quelli di marzo, ma abbiamo davanti almeno 5-6 mesi durissimi».

Ho messo a confronto due pareri peraltro abbastanza concordi: di un uomo di pensiero e di un uomo di scienza. L’ho fatto per respirare in mezzo alla valanga di cavolate che ci opprime e che è direttamente proporzionale alla perniciosa voglia negazionista ed alla pericolosa tentazione riduzionista. L’ho fatto per tornare a ragionare in mezzo alla confusione in cui tutti i gatti sono bigi e in continuo agguato politico, scientifico e mediatico. L’ho fatto perché il mio spirito critico rimane intatto e penso sia il modo migliore per rispondere positivamente ai richiami al senso di responsabilità.