Miopia di cuore e di cervello

«Per accompagnare il popolo nel cammino della libertà, Dio stesso attraversa il mare e il deserto; non rimane a distanza, no, condivide il dramma dei migranti, è lì con loro, soffre con loro, piange e spera con loro. Il Signore è con i migranti, non con quelli che li respingono». Il Pontefice ha anche esortato: «Pensate a Lampedusa, pensate a Crotone». Invece, ha lamentato il Papa, «c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave». Perciò, «il mare nostrum, luogo di comunicazione fra popoli e civiltà, è diventato un cimitero. E la tragedia è che molti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati. Non dimentichiamo ciò che dice la Bibbia, il monito “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai”». L’orfano, la vedova e lo straniero sono i poveri per eccellenza che Dio sempre difende e chiede di difendere. (dal quotidiano “Avvenire”)

Il Papa non va certo per il sottile e condanna senza se e senza ma la politica dei respingimenti. Anche i vescovi tedeschi mal sopportano i consensi all’estrema destra emergenti dalle recenti elezioni in Turingia e Sassonia e lo dichiarano senza mezzi termini in una lettera resa pubblica in cui esprimono preoccupazione per la deriva etno-nazionalista: «Nostro dovere difendere la dignità umana».

«Il fatto che le persone con un background migratorio siano ora preoccupate per la loro sicurezza, che molte persone stiano seriamente pensando di lasciare la Turingia o che le aziende stiano mettendo in discussione il loro futuro nel nostro land è inaccettabile». «Faremo la nostra parte per garantire che la Turingia e la Sassonia rimangano länder accoglienti e cosmopoliti. Il nostro compito più urgente è e resta quello di difendere la dignità umana, soprattutto a fianco dei deboli». Quindi un monito molto netto: «Il programma etno-nazionalista dell’Afd non è compatibile con la fede cristiana». Anche i vescovi della Sassonia hanno chiesto di «non dare spazio alle idee estremiste e nazionaliste nel nostro Paese». (ancora dal quotidiano “Avvenire”)

Per i cattolici dovrebbe essere sufficiente ascoltare la propria coscienza, che viene ulteriormente illuminata da pronunciamenti magisteriali inequivocabili. Il mio ragionamento è questo: l’accoglienza ai migranti dovrebbe essere un imperativo evangelico e biblico a prescindere dagli autorevoli pareri espressi dalla gerarchia. Ben vengano anche gli inviti papali ed episcopali se servono a riportare alla ragionevolezza certe derive ideologiche che si stanno facendo sempre più strada.

Fin qui la miopia delle coscienze cristiane e non cristiane.   C’è però un’altra miopia: quella dei cervelli prestati all’ammasso. Ci si illude infatti di risolvere i problemi migratori con i respingimenti e/o i rimpatri, accampando, fra l’altro, il falso argomento della delinquenza cui sarebbero dediti quasi tutti gli immigrati, soprattutto quelli che non lavorano e sono costretti a vivere ai margini della società.

È più che provato che la delinquenza è un fenomeno trasversale, che il saldo finanziario derivante dalla presenza migratoria è positivo per le nostre casse erariali, che solo tramite l’immigrazione gestita con lo scopo dell’integrazione nel nostro tessuto sociale si potrà far fronte alla crisi demografica e alle sue gravi conseguenze.

Quindi dovrebbe bastare usare il cervello per vincere certe assurde prevenzioni, ma non c’è peggior ignorante di chi non vuol imparare la lezione. Il flusso migratorio non si deve fermare per motivi di carattere umanitario, ma anche per ragioni di buonsenso civico e politico. Il cotone emostatico dei respingimenti non serve e non è degno di una convivenza che si voglia chiamare civile. Mettiamocelo bene in testa, anche se c’è chi fa di tutto per soffiare sul fuoco menzognero e sostanzialmente razzista.

Come si possa fare a dormire sonni tranquilli dopo aver espresso certe idee, dopo averle condivise nell’urna, dopo avere sbandierato certi programmi di autentica pulizia etno-nazionalista, non mi è dato di capire. Non facciamo finta che riguardi solo il neofascismo tedesco, francese, ungherese etc. etc. Nella bagarre razzista ci siamo dentro anche noi.

 

Il ministro poco San e molto Giuliano

Travolto dal terremoto mediatico Gennaro Sangiuliano ha provato a gettare la spugna e ha presentato le dimissioni a Giorgia Meloni. Lei però le ha respinte e per ora il ministro resta dov’è. Difficile dire per quanto tempo, perché anche se giura di «non voler ricattare nessuno», la vendetta di Maria Rosaria Boccia somiglia tanto a quella di chi, sedotto e abbandonato, decide di trascinare con sé l’oggetto del suo desiderio. Pare perfino provarci gusto, almeno a giudicare dal suo profilo Instagram, dove questa sera ha postato una confezione di popcorn poco prima dell’intervista del titolare della Cultura al Tg1(con il direttore Gian Marco Chiocci).

Lui, invece, è apparso provato, ha ammesso una «relazione di tipo affettivo», ma ha ribadito «in maniera categorica» che il suo dicastero non ha «speso un solo euro» per i viaggi dell’imprenditrice, affermando di non essere «ricattabile». Poi una serie di precisazioni sulle foto apparse in questi giorni, sui viaggi fatti assieme e sulla decisione «di interrompere il percorso di nomina di Boccia a consigliere per i Grandi eventi». Nessun rischio neanche per il G7 della Cultura perché l’imprenditrice «non ha mai avuto accesso a documenti riservati», al massimo a una «bozza di programma», quindi «non c’è alcun problema di sicurezza» per l’evento. Infine il capitolo più imbarazzante, con la conferma che è stata sua moglie a fare pressioni affinché interrompesse la frequentazione. E a lei che il ministro ha chiesto scusa in lacrime a fine intervista («la persona più importante della mia vita»), prima ancora che alla premier e ai suoi collaboratori. (dal quotidiano “Avvenire” – Matteo Marcelli)

L’episodio in questione (non certo il più grave fra i tanti successi a livello dell’attuale compagine ministeriale) pone innanzitutto il problema del rispetto della vita privata delle persone (comprese, a maggior ragione, quelle che facilmente finiscono nell’occhio del ciclone) e dell’opportunità di evitare l’insopportabile accanimento mediatico che sa tanto dello sbirciare dal buco della serratura.

Parto quindi dal massimo rispetto per le vicende personali di Gennaro Sangiuliano, senza alcuna ironia e senza scadere nel pericoloso gossip in cui si stanno esercitando un po’ tutti: gli fanno ingiustamente notare l’inadeguatezza politica illuminandola con le luci rosa di eventuali avventure sentimentali borderline.

C’è però un punto dolente che non può essere taciuto: fin dove le vicende private possono essere isolate dal contesto pubblico. La Costituzione italiana dà una secca risposta: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore” (articolo 54).

E allora un ministro non può prendersi un’infatuazione per una donna con la quale viene a contatto nella sua complessa tela di rapporti umani? Sì fintanto che questa rispettabile “cotta” non lo espone a rischio di favoritismi o addirittura di ricatti. Qui il discorso si fa delicatissimo e porterebbe a concludere che, se uno vuole impostare una vita sessualmente liberal, deve stare nel suo privato senza ricoprire incarichi pubblici.

È bigottismo? Forse sì, nel senso che è facile scandalizzarsi per le eventuali scappatelle di un ministro mentre tutta la società vive di rapporti sentimentalmente e sessualmente a dir poco criticabili. Nei Paesi anglosassoni si è molto rigidi e infatti le dimissioni vengono rassegnate in fretta e furia.

Si potrebbe dire che la società (condizionata dai media) guarda la pagliuzza nell’occhio dei ministri e trascura la trave nell’occhio del cittadino medio. Qualcuno sostiene che se ci si mette in questa logica del giudicare i politici in chiave moralistica non se ne esce vivi, lasciando intendere che è tale la confusione nei rapporti tra etica e politica da consigliare un velo di pietoso silenzio.

Come se ne esce? Con la dignità degli amministratori pubblici colti in fallo e pronti a farsi da parte. Con la serietà della pubblica opinione a non infierire, sparando, magari a casaccio, sul pianista di turno e tenendo la politica, per quanto possibile, al riparo dalle telenovele imbastite dai media.

Il ministro Sangiuliano mi sembra molto più censurabile per il modo approssimativo di fare politica e di propinare cultura di bassa macelleria che non per una eventuale scappatella extra-coniugale. Lo spirito è forte, ma la carne è debole. Purtroppo nel caso di Sangiuliano ad essere debole è prima e più lo spirito politico-amministrativo che la carne fatta di pulsioni sessuali difficilmente contenibili.

In cauda venenum: non vorrei che alla fine della fiera il governo Meloni facesse pagare a Sangiuliano il conto delle numerose trasgressioni etiche compiute fino ad oggi dai suoi vari componenti. Questo ministro, lo ammetto, mi sta diventando simpatico, perché così politicamente inadeguato da fare compassione e così umanamente fragile e normale da fare tenerezza.

 

L’indignazione dell’ora et dimitte

Ma a deflagrare in Israele è stata la protesta dei familiari dei rapiti. Come ogni sabato sera, migliaia si sono radunati in “piazza degli ostaggi” per chiedere le dimissioni del premier Benjamin Netanyahu e un accordo immediato per riportare a casa i 107 nella Striscia. Con una forma di protesta choc, il Forum dei familiari ha diffuso un video che denuncia la possibilità che le donne stuprate abbiano dato alla luce i figli dei loro aguzzini. Le autorità ne hanno bloccato la pubblicazione integrale: nella versione di 20 secondi, si vedono in bianco e nero l’interno di un tunnel, la sagoma di un corpo femminile e il profilo di un pancione; si odono urla di dolore e il pianto di un neonato. «Queste voci non sono solo nella nostra testa – è il messaggio –. Esistono nelle profondità dei tunnel di Gaza. A più di 9 mesi dal loro rapimento… Devono essere portate a casa. Ora». Con la riapertura delle scuole, stamani molti studenti indosseranno una maglietta gialla, il colore della solidarietà con gli ostaggi. (dal quotidiano “Avvenire” – Anna Maria Brogi)

Non so se l’accanimento terroristico di Hamas abbia raggiunto questi limiti e/o se gli orrori lasciati emergere o immaginare siano un mezzo per giustificare gli orrori reciproci, finendo col rendere soltanto l’idea del tunnel infernale in cui la guerra ci ha introdotto e in cui sembra non esserci possibilità di portare a più miti consigli chi vuole vendicare gli orrori commettendone altri e persino più brutali.

Già violentare una donna presa in ostaggio è qualcosa di orribile, se ci aggiungiamo la conseguente eventuale gravidanza della donna violentata scendiamo nella paradossale disumanità totale: non riesco nemmeno ad immaginare i passi successivi.

In questi giorni conversando al telefono con un mio cugino, persona particolarmente sensibile, non riuscivo a trovare parole sufficienti a descrivere l’orrore per quanto sta accadendo nel mondo nella indifferenza della politica e purtroppo anche di gran parte dell’opinione pubblica. E allora è emersa la principale reazione a come stanno andando le cose: l’indignazione!

Indignarsi non è un atteggiamento di comodo, ma dovrebbe essere il presupposto per reagire attivamente ad un andazzo inaccettabile. Sarebbe interessante vedere cosa si possa fare sul piano politico, sociale, relazionale e personale. Come sosteneva il mio carissimo medico nel suo ambito professionale, c’è sempre qualcosa da fare: vale per la salute fisica, ma forse ancor più per quella umana complessiva.

L’impegno a tutti i costi!  Ognuno di noi vive una diversa situazione di vita, ma tutti abbiamo il compito di costruire qualcosa di “buono” che è il modo migliore per demolire il “cattivo” che è in noi e fuori di noi. Qualche piccola goccia di pace la possiamo aggiungere per annacquare il mare di guerra che ci avvolge e ci sconvolge.

Sul piano religioso è ipotizzabile che solo Dio possa ricavare il bene dal male che stiamo combinando e allora vale la pena ascoltare cosa dicono gli uomini di Chiesa. L’unica arma per avviare processi di pace è il perdono. Tutti invece pensano solo alla vendetta pur mascherata da ricerca della giustizia. E, cosa ancor più grave, tutti si nascondono dietro la loro religione: vale per i musulmani, ma anche per gli ebrei.

Ha affermato il Patriarca Pizzaballa: «La comunità cristiana deve portare dentro il dibattito pubblico la possibilità del perdono. Forse ora non si può fare. Bisogna attendere e lavorare a livello personale, comunitario e pubblico». E ha aggiunto: «Parlare di perdono in Terra Santa non è un’astrazione. Giustizia, perdono, sono per noi parole importanti, difficili e che toccano concretamente la carne e la vita delle persone». Se questo può apparire astrazione agli occhi di chi non crede, per la fede cristiana non è così: essa «non può essere separata dall’idea di perdono. La fede è l’incontro con Cristo che ti salva e perdona», e Lui «sulla croce non ha atteso che si facesse giustizia per perdonare. Ha perdonato». Certo, «perdonare senza che ci sia dignità e uguaglianza significa giustificare un male che si sta compiendo.

Il perdono chiede dinamiche che vogliono tempo, un processo di guarigione e un tempo di riconoscimento del male e dell’ingiustizia commessa. Il perdono ha bisogno anche di una parola di verità… Non è semplice. Per un palestinese oggi perdonare significa giustificare quello che sta accadendo. Non può farlo. Deve attendere. Ma come pastore – ha concluso Pizzaballa – devo ricordare che la giustizia senza perdono diventa recriminazione. Può diventare vendetta. Lo scopo non è relegare l’altro in un angolo, ma superare questa situazione: e questo lo può fare solo il perdono». Credere nella forza del perdono è proprio di chi nella preghiera ha chiesto e ottenuto perdono da Dio: perciò la preghiera è e resta la grande scuola di umanità, dove imparare tutti ad accoglierci gli uni gli altri, a chiedere e offrire il perdono, a sentirci amati dal Padre di tutti per imparare a riconoscerci uniti dal Suo amore, più grande di ogni nostra misura. Anche così, “c’è rimasta solo la preghiera”, perché la fede sa che solo essa ci potrà salvare! (dal quotidiano “Avvenire” – Bruno Forte)

 

La radice malata impone il trapianto dell’albero

Sono passati parecchi anni da una sera in cui volli leggere la ricostruzione, così come pubblicata dai giornali ed emergente dagli atti processuali, dell’orrendo delitto di Novi Ligure: l’uccisione a coltellate, da parte di Erika (16 anni) e del fidanzato Omar (17 anni), della madre della ragazza e del fratello di 11 anni, un piano criminale in cui era prevista anche la soppressione del padre di Erika.

Ad un certo punto dovetti interrompere la lettura: emergevano elementi di tale ferocia da mettere in crisi anche il più imperturbabile appassionato di racconti horror e io non ero e non sono imperturbabile e tanto meno amante dell’horror.

L’emergenza horror è tornata di grande attualità con l’incredibile omicidio di una giovane donna ad opera di un ragazzo che uccide per motivi non meglio precisabili chiedendo addirittura scusa durante il misfatto e il pluriomicidio dei propri famigliari ad opera di un diciassettenne che non si dà una spiegazione e lascia solo intendere un certo malessere relazionale.

La crudeltà totalmente immotivata, la bestiale violenza omicida ridotta a mero esercizio e riscatto della propria (im)maturità, l’efferata uccisione dei propri famigliari considerata come rimozione di una pietra d’inciampo: cosa può succedere nell’animo delle persone per portarle a simili catastrofi umane?

Sono le domande che anche in questi giorni mi sono rifatto, leggendo ed ascoltando le fastidiose, in quanto insistite e compiaciute, cronache dei suddetti delitti. Emergono motivazioni risibili, molto simili fra di loro e paradossalmente sconvolgenti. Forse sarebbe opportuno fare silenzio, non cercare spiegazioni, provare solamente grande pietà senza imbarcarsi in giudizi temerari.

Allora come ora invece mi sono dato due (non) risposte, legate tra di loro: una di carattere religioso e una di tipo etico. Non sono un fanatico portato a drammatizzare e schematizzare la lotta fra il bene e il male, ma davanti a questi fatti ammetto di pensare con una certa insistenza alla presenza del demonio, che approfitta della debolezza di certi soggetti arrivando ad impersonificarsi in essi e ad agire con una forza distruttiva arginabile solo a monte e non a valle. La seconda risposta, causa/effetto rispetto alla prima, mi porta a ritenere che nel vuoto assoluto valoriale e ideale si possa rischiare di essere posseduti dal demonio ed essere sopraffatti da vampate maligne di ribellione estrema contro chi simboleggia le regole di vita e magari osa ricordarle.

L’elemento che rende più umanamente inspiegabile questi comportamenti delittuosi, non è tuttavia  tanto la crudeltà (un dato presente in molte vicende umane personali e collettive), non è tanto la futilità dei motivi scatenanti, né la giovane età dei protagonisti, né i legami con i destinatari della violenza (talora stretti, talora inesistenti), ma l’imbambolata indifferenza del dopo-delitto, che si accompagna  alla mancanza di rimorso e di ravvedimento (all’atto della confessione del delitto stesso). È vero che nella coscienza di un individuo non si riesce a leggere, ma tutto lascia pensare alla mancanza di coscienza (qualcuno dice mancanza del senso di colpa). Se un uomo è senza coscienza, non è una bestia perché gli rimane l’intelligenza, è un demonio. È questo che mi induce a considerare demoniaci questi comportamenti, non in senso figurato ma in senso proprio.

Il recupero è sempre possibile e deve essere tentato. Il cammino si presenta molto arduo: qualcuno sostiene che l’unica medicina efficace sia il lavoro, un lavoro duro, faticoso, non una tortura ma nemmeno un breve stage pseudo-professionale. Creare la coscienza in un individuo è molto più difficile che aiutarlo a pulirla, se esiste.

La psicologia, la sociologia, la scienza medica possono trovare per questi episodi tante motivazioni sociali, familiari, ambientali, educative: le conosco, le rispetto, ma non mi convincono. Queste analisi possono servire a responsabilizzare tutti coloro che operano a contatto con i giovani e tutti noi che viviamo in questa società così strampalata. Lasciamo perdere le sbrigative risposte repressive, certe strumentali e vomitevoli analisi pseudo-politiche e anche le argomentazioni del sociologismo datato (tutta colpa della società) e del psicologismo fragile (gli stress della vita moderna).

Chiedo scusa se faccio un balzo nel mio vissuto famigliare. Mia madre, pur partendo dal sostanziale rigore con cui impartiva i suoi pragmatici ma “dogmatici” insegnamenti, perdonava molto, quasi tutto, ai giovani, era inflessibile con le persone attempate cui assegnava un compito educativo imprescindibile. Così come era rigorosa ed implacabile con gli anziani era portata a giustificare chi delinqueva, commentando laconicamente: “jén dil tésti mati”.

Qui mio padre, in un simpatico gioco delle parti, ricopriva il ruolo di intransigente accusatore: “J én miga mat, parchè primma äd där ‘na cortläda i guärdon se ‘l cortél al taja.  Sät chi è mat? Col che l’ätor di l’à magnè dez scatli äd lustor. Col l’é mat!”

Non mi improvviso esperto di teologia, di psicologia e di sociologia, scienze verso cui mantengo un sano atteggiamento di scetticismo.  Rimangono comunque davanti a noi dei comportamenti che temo possano essere riconducibili direttamente o indirettamente al demonio; se la vogliamo dire in senso laico, al gusto di fare il male per il male (se non è demoniaca questa pulsione più che bestiale…gli animali infatti hanno sempre un motivo per i loro attacchi violenti…).

Racconta Vittorino Andreoli, il noto esperto e studioso di psichiatria criminale, di avere avuto un importante e toccante incontro con papa Paolo VI, durante il quale avranno sicuramente parlato non di meteorologia ma di rapporto tra scienza e religione nel campo della psichiatria e dello studio dei comportamenti delinquenziali. Al termine del colloquio il pontefice lo accompagnò gentilmente all’uscita, gli strinse calorosamente la mano e gli disse, con quel tono a metà tra il deciso e il delicato, tipico di questo incommensurabile papa: «Si ricordi comunque, professore, che il demonio esiste!».

Gira e rigira, tutto serve, la sociologia, la criminologia, la psicologia, la psichiatria (ho letto e ascoltato gli esperti: bravissimi…), ma niente risolve. Ricordo un breve dialogo con un mio carissimo collega di lavoro: anche lui si chiedeva i motivi e gli sbocchi di queste derive umane (peraltro giovanili). Non seppi che introdurre la similitudine dell’automobile in corsa senza freni: non si sa dove possa andare a finire. Non resta che fermare la macchina, sottoporla ad una totale revisione e ripartire con obbligo di rodaggio.

Nel Vangelo Giovanni Battista presenta Gesù come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Scrive p. Ermes Ronchi a commento: «Toglie il peccato del mondo, il peccato al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto del mondo, ne sfilacciamo la bellezza. Ma il peccato profondo, la radice malata che inquina tutto. In una parola il disamore. Che è indifferenza, violenza, menzogna, chiusure, fratture, vite spente…».

Ho cominciato la mia riflessione con una disperata ammissione di presenza maligna, la termino con la delicata “rivoluzione della tenerezza” di Dio in Gesù Cristo (papa Francesco).

 

Le destre che cantano per farci affogar

L’ultradestra tedesca conquista per la prima volta il primo posto in un Land, la Turingia. E a raggiungere questo storico risultato è il politico più radicale di Alternative fuer Deutschland, l’estremista Bjoern Hoecke, l’uomo che la giustizia in Germania ha autorizzato a definire “fascista” e che i servizi interni tengono sotto sorveglianza.

 Il leader della ultradestra tedesca in Turingia, Bjoern Hoecke, ha perso l’elezione diretta nella circoscrizione in cui si era candidato. A vincere è stato infatti il concorrente della Cdu, Christian Tischner, con un 43% contro il 38,9% raggiunto dal candidato di punta dell’Afd, il partito che stasera ha trionfato nel Land di Erfurt. Nel tentativo di non perdere la partita sul mandato diretto, Hoecke aveva addirittura lasciato quello di origine, in una circoscrizione molto cattolica, a Eichsfeld, dove 5 anni fa pure aveva perduto. Il leader Afd potrebbe comunque entrare nel parlamentino attraverso la lista di partito.

Le amministrative nell’Est del Paese, in Turingia e in Sassonia, hanno consegnato il terremoto atteso: il trionfo dei nazionalisti, il crollo dei partiti del governo di Olaf Scholz, la deriva della Linke e l’ascesa di Sahra Wagenknecht, con il suo controverso soggetto politico sospettato di ‘rosso-brunismo’. L’unico argine alla deriva populista, nelle regioni di quella che fu la Ddr, è costituito dai cristiano democratici della Cdu, che ora si sentono investiti della responsabilità di governare. Alternative fuer Deutschland resta però isolata, e anche la sera della sua “sensazionale, storica vittoria”, come l’ha definita il leader nazionale Tino Chrupalla, il cordone sanitario eretto dagli altri sembra reggere. Nessuna collaborazione con l’ultradestra, hanno ribadito infatti i cristiano democratici e la stessa Sahra Wagenknchet, la quale però ha anche annunciato che “stabilire che tutto quello che dice l’Afd sia sbagliato per principio, anche quando afferma una cosa giusta, non fa che rafforzarla”. Basta coi tabù, è la linea della donna che ha distrutto la sinistra nell’Est, dal punto di vista degli ex compagni della Linke. Le coalizioni possibili non sono tante: se si escluderà l’estrema destra, la Cdu dovrà comunque governare con Bsw e scegliere fra Linke e socialdemocratici. (ANSA.it)

Non so se il campione tedesco sia significativo di una tendenza generale. Temo di sì e allora mi chiedo: perché la destra tende ad aumentare i consensi in modo addirittura clamoroso? L’unica risposta veramente plausibile la trovo nell’incapacità della politica a dare risposte credibili ai problemi, ragion per cui gli elettori si affidano a chi non dà risposte ma contesta addirittura le domande.

Il quadro si complica anche se le altre forze politiche sembrano sollevare una sorta di conventio democratica ad excludendum nei confronti dell’estrema destra. Fino a quando terrà questa barriera? Temo che col passare del tempo la spinta elettorale a destra possa diventare inarrestabile e tale da legittimare politicamente la destra con tutti i rischi del caso.

In Italia qualcosa del genere sta succedendo e si sta addirittura consolidando. L’indice di gradimento di Giorgia Meloni è in aumento. E la sanità che va a puttane? E i salari che calano? E la miseria che aumenta?

Forse occorrerà aspettare che i problemi si facciano talmente pesanti da essere sentiti sulla pella e costringere i cittadini a passare dalle scorciatoie ideologiche neofasciste alle pur leggere idealità democratiche.  Gli elettori non capiscono nemmeno il pericolo storico di un ritorno al passato: lo ritengono inesistente e/o insussistente.

Gli intellettuali chic sostengono che sia inutile gridare al lupo del neofascismo. E allora cosa si fa? Si aspetta che il lupo si materializzi e cominci a sbranare la democrazia? Si alzano le spalle e si lascia che ci si svegli a tempo scaduto? Provo a rifugiarmi nella musica mozartiana.

Nelle Nozze di Figaro, il protagonista mette in guardia dalle donne, mentre io mi prendo la licenza poetica di adattare la romanza agli elettori nei confronti dei politici di destra: “Aprite un po’ quegl’occhi, uomini incauti e sciocchi, guardate queste femmine, guardate cosa son! Queste chiamate Dee dagli ingannati sensi a cui tributa incensi la debole ragion, son streghe che incantano per farci penar, sirene che cantano per farci affogar, civette che allettano per trarci le piume, comete che brillano per toglierci il lume; son rose spinose, son volpi vezzose, son orse benigne, colombe maligne, maestre d’inganni, amiche d’affanni che fingono, mentono, amore non senton, non senton pietà, no, no, no, no! Il resto nol dico, già ognuno lo sa!”.

Gli smadonnatori raffinati

Due associazioni cattoliche, Marie de Nazareth e La petite Voie, hanno presentato una denuncia al tribunale di Parigi contro il settimanale satirico Charlie Hebdo, accusato di «provocazione e incitamento all’odio religioso». La rivista è finita sotto accusa dopo la pubblicazione, il 16 agosto, di una caricatura della Vergine Maria dipinta con i sintomi del vaiolo delle scimmie e insultata pesantemente. La denuncia è stata presentata contro il vignettista Pierrick Juin e contro Riss, direttore editoriale di Charlie Hebdo.

Anche la Tribune Chrétien aveva denunciato la vignetta parlando di «incitamento gratuito all’odio verso i cattolici di Francia» e lanciato una petizione per ottenere il ritiro della caricatura ritenuta «insultante, provocatoria, incitante esplicitamente all’odio verso la comunità cattolica». La petizione ha raccolto quasi 25mila firme. La caricatura è stata fortemente denunciata anche da alcuni religiosi, in particolare dal vescovo di Bayonne Marc Aillet, che aveva scritto che «la libertà di espressione non può giustificare una caricatura così abietta». (dal quotidiano “Avvenire” – Redazione Esteri)

Come cattolico non mi sento né odiato né tanto meno scandalizzato da questa insulsa e gratuita porcheria. Davanti a fatti del genere, mio padre, nel suo originale, saggio e acuto senso religioso, reagiva ammettendo di provare una grande pena per gli autori di queste provocazioni. «’m fan compasión» diceva e non aggiungeva altro, consapevole del rischio di dare importanza a ciò che non ne ha alcuna. Cerco di imitarlo.

Come persona informata dei fatti mi sento di inquadrare queste sciocchezze spacciate per trasgressioni culturali nella supponenza francese detentrice del primato pseudo-rivoluzionario a tutti i livelli e in tutte le dimensioni. C’è poco da fare i francesi si sentono superiori a tutti, anche alla Madonna. Anche come bestemmiatori. Chi bestemmia mi dà solo fastidio, ancor più se la sa lunga: preferisco uno scaricatore di porto…

Il ruolo della figura della Vergine col suo bambino nella civiltà europea. Il filosofo Massimo Cacciari, parlando del suo libro Generare Dio, pubblicato nel 2017 dall’editore Il Mulino, nella collana Icone, rispondendo a chi gli chiedeva ironicamente il perché di tanta attenzione alla Vergine da parte di un uomo di cultura dichiaratamente ateo, affermò che preferiva di gran lunga interessarsi di Maria piuttosto che dei politici, lasciando intendere che mentre la prima ha qualcosa di importante da dire a tutti, credenti e non credenti, i secondi non hanno purtroppo niente da dire a nessuno. Dopo di che ci sono diversi modi per approcciare il messaggio mariano: c’è chi ha il coraggio di discuterne seriamente anche se laicamente e c’è chi, come Charlie Hebdo, preferisce ridere e irridere. Questione di gusti… Non mi si dica che questa è dissacrazione: sì, dissacrazione dei cervelli…

Ecco perché in conclusione, come osservatore politico (la politica c’entra sempre!), me la cavo invitando i francesi e i loro maître à penser a lasciar perdere la Madonna e ad occuparsi vignettisticamente del loro presidente della repubblica: si potrebbero sbizzarrire e farebbero anche un ottimo servizio alla cultura e alla democrazia.

 

La sguaiataggine dei governanti e la compostezza dei governati

Ogni speculazione politica sul delitto di Terno d’Isola, adesso che il presunto assassino è stato arrestato, è un’offesa a Sharon Verzeni, una donna che ha avuto in modo assurdo (forse il più assurdo, se vere le prime ricostruzioni) la sua giovane esistenza spezzata, e a tutti coloro che l’amavano, colpiti da un enorme dolore. In premessa, va detto questo: alle vittime dovrebbe essere orientata la maggiore sollecitudine. Ma c’è chi ha subito approfittato di quel nome, Moussa Sangare, dato in pasto ai social media prima ancora che emergessero elementi forti del suo coinvolgimento nel delitto – e in totale spregio della presunzione d’innocenza – per alimentare una meschina polemica sulla cittadinanza.

Sarebbero questi gli italiani che vogliamo?, si è detto in sostanza, soprattutto da parte di esponenti della Lega. Se Sangare risulterà colpevole, dovrà pagare senza sconti il reato abietto compiuto. Ma che c’entrano la sua origine maliana e i documenti italiani poi ottenuti? Che dire allora delle donne massacrate dai loro italianissimi compagni e dei genitori fatti scomparire o dei neonati maltrattati da nativi della Penisola dai caratteri “caucasici”? Ripugna fare questi confronti, ma si deve chiaramente affermare che c’è una vittima da rispettare insieme a un razzismo risorgente da evitare e, se ricompare, da condannare senza alcuna esitazione. (dal quotidiano “Avvenire” – Andrea Lavazza)

La strumentale sguaiataggine del ministro Salvini e c. (che si sono penosamente precipitati a targare la delinquenza) è stata preceduta da una garbata, misurata e toccante dichiarazione alla stampa di Bruno Verzeni, rilasciata poco tempo dopo aver scoperto l’identità dell’assassino della figlia.

Uscito di casa, dove lo attendevano numerosi giornalisti appostati lì da tempo, l’uomo ha indossato gli occhiali e letto un lungo e toccante discorso. “A un mese dalla morta di nostra figlia, la notizia di oggi ci solleva – sono le parole di Verzeni – anche perché spazza via le speculazioni fatte sulla vita di Sharon e Sergio”. L’uomo riserba un pensiero alle forze dell’ordine: “Ringraziamo Carabinieri e Procura della Repubblica di Bergamo per competenza e tenacia dimostrate”. Gratitudine anche nei confronti di legali e testimoni: “Inoltre, un grazie sentito ai nostri avvocati, che ci hanno supportato in questo periodo doloroso. Grazie a coloro che hanno testimoniato e hanno permesso di arrivare ai risultati di oggi”. E infine: Che la morte assurda di Sharon non sia vana e provochi una maggiore sensibilità sulla sicurezza del nostro vivere. Ci affidiamo a Dio per convivere con il nostro dolore. (da V:Notizie)

Non ho niente da aggiungere se non un’amara riflessione socio-politica.

Ogni popolo ha il governo che si merita è molto più di un semplice proverbio. Sembra quasi una sentenza, un modo di dire che è entrato nella dialettica quotidiana e che non ha come significato solamente quello testuale ma anche una versione metaforica che potremmo identificare con ognuno riceve quello che merita.

“Ogni nazione ha il governo che si merita” è una frase celebre che risale intorno ai primi anni dell’800, per essere più precisi è contenuta in una lettera del 1811 e si riferiva al governo zarista. De Maistre era stato inviato come ambasciatore del Regno di Sardegna a San Pietroburgo, per le sue idee conservatrici e giudicava il governo russo troppo aperto alle idee illuministiche che proliferavano in Europa.

Ebbene, Bruno Verzeni ha smentito categoricamente De Maistre, dimostrando che il popolo, da lui autorevolmente e credibilmente rappresentato, non merita i governanti che si ritrova. Potremmo addirittura capovolger il suddetto proverbio: i governanti leghisti (e non solo loro) non meritano di rappresentare quella che dovrebbe essere la loro base popolare. La famiglia Verzeni non vive forse in quel Nord-Italia così male interpretato da Salvini e c.?

Già che ci sono aggiungo che la famiglia Verzeni ha dato una lezione di stile e di serietà anche verso i media che l’hanno torturata con basse insinuazioni e speculazioni. Troppa e cattiva informazione si sta facendo sui casi drammatici di cronaca: questa informazione inflazionata e drogata fa bene solo a chi la vende!

 

E la chiamano Unione…

Tensione nell’Unione europea sulle dichiarazioni dell’alto rappresentante Josep Borrell che propone di togliere le limitazioni sull’uso delle armi occidentali inviate all’Ucraina e di sanzionare i ministri di Israele che “hanno lanciato messaggi d’odio, incitazione a commettere crimini di guerra contro i palestinesi”.

“Le restrizioni all’uso delle armi date all’Ucraina devono essere revocate, ci deve poter essere pieno utilizzo per colpire obiettivi militari in Russia in linea con le regole internazionali”, ha detto l’alto rappresentante Ue Josep Borrell accogliendo il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba a Bruxelles per il consiglio informale esteri.

L’Unione Europea “ha iniziato a trasferire all’Ucraina” i proventi dei beni russi immobilizzati e a finanziare direttamente gli Stati membri per fornire armi a Kiev, ha detto Josep Borrell. “Abbiamo già trasferito 1,4 miliardi”, ha precisato.

 I limiti per Kiev per quanto riguarda le armi italiane ‘restano’ e l’idea di sanzionare esponenti del governo israeliano è ‘irreale’, replica il ministro degli Esteri Tajani.

“Proposte sconsiderate da Bruxelles sia sull’Ucraina che sul Medio Oriente. La pericolosa furia dell’Alto Rappresentante deve essere fermata. Non vogliamo altre armi in Ucraina, non vogliamo altri morti, non vogliamo un’escalation della guerra, non vogliamo un’escalation della crisi in Medio Oriente. Oggi continuiamo ad adottare una posizione pacifica e di buon senso”. Lo scrive in un post su Facebook il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó.

Un’alta fonte diplomatica europea, intanto, dice all’ANSA che ‘sono possibili negoziati Kiev-Mosca prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti’, anche perché ‘i ritardi negli aiuti forzano Zelensky a trattare’.

“Abbiamo discusso delle sanzioni ai due ministri d’Israele, oggi non c’era l’unanimità, ma io proporrò lo stesso al Consiglio queste misure ristrettive, poi decideranno i ministri come sempre, prendendo una decisione politica, dopo aver analizzato con attenzione le ragioni a sostegno di questa proposta”. Lo ha detto l’alto rappresentante Ue Josep Borrell al termine del Consiglio Esteri informale. (ANSA.it)

Prescindo dal merito delle proposte formulate dall’alto rappresentante Ue Josep Borrell: avrei molto da dire contro quelle riguardanti la liberalizzazione dell’uso delle armi da parte ucraina e a favore di quelle inerenti le sanzioni ai ministri di Israele. Mi limito invece a due riflessioni sul modo di essere e di operare delle istituzioni europee.

Le posizioni in politica estera sono a dir poco diversificate: ne esce un’immagine sconcertante assieme alla certezza della irrilevanza europea nello scenario internazionale. Una politica estera europea non esiste ed è lasciata ai singoli Stati membro: una gravissima sostanziale rinuncia!

La seconda riflessione riguarda la inadeguatezza di Borrel, che spara a vanvera sconvolgendo e confondendo i piani istituzionali: è impegnato a spararle grosse a livello mediatico per poi fare penose marce indietro. Roba da dilettanti allo sbaraglio.

Tutto ciò finisce con l’essere funzionale al mantenimento degli scenari di guerra. Credo che i padri ideatori e fondatori dell’Unione europea avranno di che scaravoltarsi nelle loro tombe, mentre le vittime delle guerre in atto avranno di che chiedere vendetta al cospetto di Dio. È una vergogna. Che i ministri degli Esteri dei Paesi Ue non riescano a trovarsi d’accordo per pronunciare qualche parola di vera pace e per assumere qualche iniziativa diplomatica concreta è cosa incredibile. Non posso che indignarmi. E la chiamano Unione…

 

I capponi di Elly

La situazione politica nel campo della sinistra italiana, a prescindere dai contenuti (e questo è già un controsenso, un’autentica bestemmia procedurale), è tormentata da due dubbi “atroci”: l’eventuale accoglienza da riservare al rientro a casa di Matteo Renzi e l’attenzione da riservare alla contesa pentastellata fra Grillo e Conte. Si tratta di due questioni anacronistiche.

Matteo Renzi ha incarnato una fase politica ormai morta e sepolta pur avendo suscitato a suo tempo qualche interesse (anche da parte del sottoscritto). Si è trattato di un’implosione dovuta sostanzialmente a due motivi: la mancanza di un gruppo dirigente, col ripiegamento su una selezione autoreferenziale, operata dal capo per garantirsi la comoda sopravvivenza; la mancanza di legami col territorio sostituiti da una visione centralistica e personalizzata. Una strategia che parte su questi binari morti non può che restringersi a tattica di brevissimo periodo anche se gonfiata e spinta al massimo della scommessa politico-istituzionale.

La rivoluzione grillina ha avuto un successo iniziale esagerato proveniente dall’antipolitica, che l’ha messa immediatamente alla prova governativa, miseramente fallita con ben due esperimenti di segno politico opposto: l’alleanza fra due antipolitiche che non poteva fare una politica; il rientro in una logica riformista che sapeva tanto di strumentale conversione. Del movimento cinque stelle rimangono le macerie, le ossa inaridite e nessuno sembra in grado di rivitalizzarle: Conte vivacchia a sinistra succhiando il sangue al PD, Grillo non sa che cazzo fare, ma cerca di dirlo bene.

Tutto qui. Siamo di fronte a cadaveri in cerca di rianimazione. Se il Pd vuole resistere e coltivare qualche prospettiva politica seria, ammesso e non concesso che ne abbia la capacità, non si deve assolutamente far imbrigliare in questi giochini. Elabori una strategia e poi chi ci sta ci sta. Non faccia prima la verifica degli aderenti al progetto per poi rimanere paralizzato dai veti e penalizzato nei voti. Non faccia i conti con le aprioristiche pretese di chi vuol soltanto riciclarsi e sfruttare le ruote altrui.

Io non ho ancora capito se Elly Schlein sia all’altezza del compito, ma certamente non si deve bloccare su Renzi e Conte, peraltro molto simili ai capponi di Renzo. Sono entrambi disperati e, come noto, salvare chi sta affogando è impresa assai rischiosa. Questi potenziali alleati non hanno storia, non hanno tradizione, non hanno collegamenti sociali, non hanno più voti, non hanno idee, non hanno prospettive.

È a dir poco patetico che alle feste dell’Unità si discuta sulla credibilità del ritorno di Renzi e sulla affidabilità di Conte (peraltro indebolito dagli attacchi grillini). Posso dire che il Pd è già di suo in gravi difficoltà, se proprio vuole andare in malora del tutto, presti attenzione a queste sirene del cosiddetto campo largo, laddove si potrà giocare in scioltezza ma in amichevole certezza di perdere.

Alle ultime elezioni politiche, perso per perso, valeva la pena provare qualche patto di desistenza. che magari avrebbe sortito qualche interessante effetto. Oggi siamo fuori tempo massimo. Lasciamo perdere e, se ci riusciamo, guardiamo avanti.

 

Il derby delle caricature

Dopo la “tregua olimpica” vera o presunta della politica francese, a Parigi torna a animarsi la battaglia istituzionale, ed è nuovamente ripartito il braccio di ferro tra i partiti transalpini e Emmanuel Macron. Il presidente sta lavorando per isolare politicamente il Nuovo Fronte Popolare, primo ma senza la maggioranza assoluta al voto del 30 giugno e 7 luglio scorso che ha ridefinito l’Assemblea Nazionale. Ma ad oggi il tentativo di Macron sembra risolversi in un boomerang.

Nella giornata di lunedì 26 agosto Macron ha formalmente rifiutato di concedere l’incarico di primo ministro alla candidata di bandiera della coalizione di sinistra, Lucie Castets, economista dell’amministrazione municipale di Parigi vicina al Partito Socialista. E questo, nei limiti delle prerogative presidenziali, non è di per sé qualcosa di inatteso. Più complicata, però, la contromossa del presidente, che ha destato polemiche: Macron ha invitato a consultazioni i membri di Ensemble, la sua coalizione presidenziale imperniata sul suo partito centrista Renaissance, assieme a una sola parte del Nfp. Convocati per martedì 27 all’Eliseo i socialisti, i Verdi e il Partito Comunista di Francia. Esclusa, invece, la prima forza del Nfp, La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. 

Una mossa che nell’ottica del presidente avrebbe dovuto fornire la base per una negoziazione volta a creare una coalizione. Con le sinistre attratte dall’ipotesi della stanza dei bottoni e gli alleati del presidente, come il partito Horizons dell’ex premier Edouard Philippe, chiamati a far da pontieri col centro-destra per chiudere il cerchio. Mossa che nei fatti, però, si è rivelata un autogol. La sinistra ha rifiutato la mossa di Macron, accusato di confondere la carica di presidente con quella di leader di coalizione.

“La Repubblica è nata dal rifiuto del potere personale”, ha affondato il segretario socialista Olivier Faure. Il leader del Pcf, Fabien Roussel, ha rincarato la dose: “Si apre una crisi molto grave per il Paese” dopo la scelta di Macron. Parole che hanno ricompattato la coalizione attorno al rifiuto del veto su Melenchon, per il coordinatore del cui partito, Manuel Bompard, Macron avrebbe addirittura sfiorato la deriva autoritaria: “In nessuna democrazia al mondo esiste il diritto di veto del presidente della Repubblica sui risultati delle elezioni”, ha notato. (Inside Over – Andrea Muratore)

Non conosco il sistema partitico della Francia e quindi faccio una certa fatica a capire cosa stia succedendo. Mi ero sinceramente compiaciuto dell’esito elettorale conseguente alla coraggiosa alleanza resistenziale contro l’avanzata della destra che sembrava ormai a due passi dal potere.

Non avevo però fatto i conti con Macron: dopo aver convocato le elezioni e averle perse ottenendo però il blocco della destra, ha cominciato a fare il pesce in barile e sta tuttora continuando a giocare una partita molto equivoca e pericolosa per la democrazia, al limite dei poteri costituzionali che detiene.

Macron teme di varare un equilibrio politico nuovo che potrebbe finire col metterlo alle corde costringendolo alle dimissioni ed allora non trova di meglio che fare il prestigiatore: una deriva presidenziale alla faccia del parlamento e degli elettori. Se questo è il presidenzialismo o il semi-presidenzialismo, come dir si voglia, mi tengo fino alla morte il parlamentarismo con tutti i suoi difetti.

Sul piano politico non vedo niente di serio se non la volontà macroniana di protagonismo a tutti i costi: è vero che i partiti non sono certamente all’altezza della situazione, ma di qui a bypassarli con trucchi e tatticismi di bassa lega…

Sconfitto alle elezioni europee, Macron ha tentato il colpaccio di aprire quella porta su cui tutti spingevano, sperando di salvarsi, facendo miseramente cadere gli oppositori: non è andata così e allora il sistema francese è diventato un susseguirsi di porte che vengono aperte improvvisamente per fare un gran casino su cui si potrebbe ergere il pur penoso salvatore della patria. Un gioco al massacro le cui conseguenze non si fermeranno alla Francia. E pensare che avrebbe potuto nascere un laboratorio compromissorio di un certo livello, tale da ispirare anche la politica italiana. Una volta tanto che i francesi non avevano fatto gli “stronzoni”, il ruolo di stronzo se lo è accaparrato tutto il presidente. In buona sostanza, quando si dice i piccoli…, mentre noi in Italia abbiamo in Giorgia Meloni la caricatura del presidente del Consiglio, i francesi in Emanuel Macron hanno la caricatura del presidente della Repubblica: per ora in materia di macchiette istituzionali ci battono, ma col premierato siamo sulla buona strada per sorpassarli.