Trovo semplicemente agghiacciante (anche se non sorprendente) quanto sta succedendo nella campagna elettorale americana: il miliardario Musk non si sta facendo scrupolo di comprare voti in favore di Trump tramite vere e proprie lotterie milionarie. Trump da parte sua non sta nascondendo l’intenzione di favorire spregiudicatamente l’impero economico di Musk. Un gioco al massacro democratico in cui è rimasta impigliata recentemente anche Giorgia Meloni: forse col riconoscimento che le hanno assegnato, l’hanno iscritta in pole position nell’albo del disonore dei già tanti estremisti del potere per il potere.
L’iniziativa mira a raccogliere almeno un milione di elettori negli stati in bilico, citati esplicitamente come gli unici in cui si potrà partecipare alla lotteria. Sono: Pennsylvania, Georgia, Nevada, Arizona, Michigan, Wisconsin e North Carolina. Chi firma la petizione deve fornire oltre al nome e al cognome anche un indirizzo e un numero di telefono, attraverso i quali potrà poi essere contattato non solo in caso di vincita, ma anche per ricevere sollecitazioni per votare per Trump. Come aveva già annunciato in precedenza Musk, ogni firmatario riceverà 47 dollari per ogni persona che convincerà a firmare la petizione, sempre negli stati in bilico. Tutti i partecipanti sono automaticamente iscritti alla lotteria, che assegnerà il premio giornaliero da un milione di dollari fino al 5 novembre. (il post)
Che la politica fosse inquinata, anche e soprattutto negli Usa, da forti collegamenti con gli affari, era cosa nota, ma forse stiamo raggiungendo l’impensabile. Da tempo mi chiedo fino a che punto un elettore, quando si reca al voto negli stati democratici occidentali, sia libero.
In Moldavia e Georgia sono in atto gli inquinamenti elettorali putiniani: la mafia post-comunista è all’opera per difendere con le unghie e coi denti i suoi miseri resti imperiali e sottrarli all’Unione europea, ricostituendo un velleitario blocco di coccio fra i blocchi di ferro (Usa e Cina) e/o proponendosi come Paese componente dei cosiddetti Brics (una sorta di anticapitalista resto del mondo).
Nel mondo occidentale la musica non è migliore. I media, controllati dal potere economico e/o da quello politico, condizionano l’elettore in modo pesante. Il dibattito politico è sostanzialmente inesistente. Le candidature vengono calate dall’alto. I partiti sono personalizzati. Qualcuno dirà che, tutto sommato, è preferibile la trasparente americanata del binomio Musk-Trump alle subdole manovre dei voti di scambio. Gli americani sono soliti fare le cose in grande quindi… Dobbiamo prendere atto che la democrazia, così come la si intende in occidente, è molto cambiata ed è molto inquinata. Bisogna accontentarsi oppure impegnarsi a costruire dal basso minimi percorsi di partecipazione, ricominciando tutto daccapo. La strada è in salita e la tentazione di astenersi è sempre più forte. L’astensione è funzionale alla fuga democratica e viceversa. Il gatto si morde la coda e i gatti diventano sempre più aggressivamente accattivanti o irritanti.
Alla luce del giorno il controllo del Paese più influente del pianeta è stato messo all’asta e verrà deciso dal più alto offerente. In piena trasparenza, i cittadini americani, dopo aver venduto per due spiccioli (uno sconticino qui, un abbonamento gratis là) i loro dati personali, hanno cominciato a cedere il loro voto per 47 dollari, 100 se hanno la fortuna di vivere nella decisiva Pennsylvania. Se non stupisce che Musk ci provi, stupisce quanto sembri tutto assolutamente normale. Forse 15 anni di contributi multimilionari ai candidati hanno svuotato di significato il gesto del voto. Forse l’era di YouTube e degli influencer ci ha insegnato a monetizzare tutto quello che possiamo, dai follower alla – perché no – preferenza elettorale. Ma la sensazione fastidiosa di queste ore è che senza fanfara gli Usa abbiano superato la soglia che separa la democrazia da qualcosa di infinitamente più infido. Il dizionario la chiama oligarchia. (dal quotidiano “Avvenire” – Elena Molinari)