Generalmente, nelle più tristi occasioni, è la politica a rendersi incredibile al limite del fastidioso: in effetti mentre il dopo-terremoto estivo aveva visto da parte di istituzioni politiche e partitiche una certa dimostrazione di sobrietà, equilibrio e discrezione, nel dopo-terremoto invernale, accompagnato dall’emergenza neve e dalla disastrosa valanga sull’albergo di Ricopiano sulle montagne abruzzesi, si è scatenata, forse a scoppio ritardato, la polemica politica debordante a tratti in vero e proprio sciacallaggio: il malcontento per i ritardi della ricostruzione emergenziale, che forse rimaneva sottotraccia, è venuto a galla col freddo, la neve e le nuove scosse telluriche ed è esploso con l’effetto valanga.Non riesco a capire fin dove la situazione difficile risenta del degrado ambientale e della insufficiente opera di prevenzione, fin dove sia conseguenza dell’oggettiva straordinarietà dei fenomeni naturali tra di essi combinati in modo devastante, fin dove dipenda dalle solite lungaggini burocratiche che caratterizzano da sempre la vita delle nostre istituzioni, fin dove l’ansia, la preoccupazione e la disperazione dei soggetti colpiti tendano a scaricarsi psicologicamente sulle pubbliche istituzioni, fin dove ritardi e inefficienze siano effettivamente da addebitare a incuria o inettitudine dei responsabili ai vari livelli, fin dove influisca chi si dedica al facile e comodo esercizio di soffiare sul fuoco del malcontento.Forse di tutto un po’. Che mi sorprende non è la polemica – ero infatti molto più sorpreso della sua assenza nei mesi scorsi – ma l’improvviso scoppio della stessa, alimentata dai media, che, spesso e volentieri, raccontano solo la parte peggiore della medaglia. Lo scorso agosto mi sembrava che tutti riconoscessero la tempestività e la capacità di intervento della protezione civile: negli ultimi giorni l’aria è cambiata e se ne mette in discussione struttura, funzionalità, consistenza e adeguatezza. Fino a qualche giorno fa sembrava che le Istituzioni avessero svolto e stessero svolgendo il loro compito di vicinanza alle popolazioni colpite e di risposta concreta alle loro esigenze, seppure in un programma non di brevissimo periodo: oggi sono ritornati ad essere tutti “ladri e stupidi”. È scoppiata persino la polemica sull’utilizzo dei fondi raccolti a livello di beneficenza: a cosa serve raccogliere questi soldi se poi non si riesce a intervenire tempestivamente? Siamo alle solite e scontate sparate contro la burocrazia che non spende o spende fuori tempo o spende male i fondi contro i danni e i rischi del terremoto. Al riguardo bisogna ammettere che da una parte si invoca la speditezza delle procedure nell’assegnazione e nella realizzazione dei lavori, salvo poi scandalizzarsi se nella fretta e nella concitazione qualcuno si sia potuto avvantaggiare: la trasparenza negli appalti va sempre d’accordo conla velocità realizzativi? Ho qualche dubbio. Ricordiamoci di tangentopoli e della successiva e formale indizione delle gare di appalto al massimo ribasso con il conseguente scadimento qualitativo dei vincitori degli appalti stessi, delle loro gestioni (inquadramenti previdenziali e fiscali alla viva il parroco) e delle opere realizzate, magari interrotte a metà per il fallimento degli appaltatori.Ho una mia triste idea: credo che il clima sia avvelenato più dal dopo-referendum che dal dopo-terremoto, che la neve copiosa stia seppellendo sotto una coltre piuttosto consistente le prospettive politiche più che le speranze dei terremotati, che il nervosismo imperante sia più da ascrivere alla smania di elezioni anticipate che all’insofferenza verso le lentezze ricostruttive.Non c’è più Renzi e la leadership di governo è molto indebolita; il PD discute sul “sesso” del partito e tende a trascurare le emergenze governative; gli altri partiti sono presi dai loro calcoli di convenienza elettorale più che dalla gravità dei problemi reali. Il clima politico si è allontanato da quello reale del Paese. Era facile immaginarlo, ma dopo Renzi c’è stata la valanga, non solo quella che ha cancellato un albergo seppellendovi sotto i malcapitati ospiti e lavoratori, ma anche quella dell’incertezza politica futura che sta condizionando tutto e tutti.Che sbanda però sono anche altri e parecchi soggetti. Innanzitutto i media con le loro ubriacature e con i loro sbalzi d’umore: Renzi, bene o male li teneva in soggezione, non per sua invadenza ma per loro piaggeria, una volta fattosi, seppure momentaneamente da parte, li ha indirettamente messi in libera uscita; quindi si sono sfogati politicamente sul terremoto e si sono scatenati editorialmente con chiacchierate non stop, ben lontane da una informazione tempestiva e corretta, da un serio approfondimento dei problemi e da un servizio effettivo dovuto alla comunità nazionale. Colpisce la generalizzata e spettacolare superficialità con cui affrontano la situazione: sguinzagliano turbe di giornalisti (?) alla rincorsa della propria inesistente professionalità (queste delicate occasioni mettono a nudo un po’ tutti…). Si parte con la stucchevole e macabra conta del numero delle vittime; dopo avere detto pesta e corna dei soccorsi, ci trascinano nella retorica e lacrimosa celebrazione di quanti danno una concreta mano e mentre questi scavano sotto la neve e le macerie alla ricerca dei sopravvissuti, i media vanno alla spasmodica ricerca dell’effettaccio sentimentaloide fine a se stesso o della reazione sconvolta di parenti e amici. Mentre si è ancora storditi dalla catastrofe partono i salotti dei grilli parlanti, di quanti si sbizzarriscono nella comoda e spannometrica individuazione dei capri espiatori: tutti sputano sentenze, gli esperti in primis, capaci di prevedere, prevenire, programmare, costruire e ricostruire; tutti lo avevano detto, tutti lo sapevano, tutti sarebbero stati capaci di evitare il disastro. “Méstor mi, méstor vu e la zana d’indò vala su?” direbbe mia nonna: erano due ingegneri che si scambiavano complimenti, ma che si erano dimenticati l’uscio nella porcilaia. Le catastrofi naturali fanno spettacolo e audience mentre la fame e le miserie fanno pubblicità: non voglio essere troppo dissacrante, ma guardando la TV si passa continuamente dalle immagini di macerie da terremoti, tormente di neve, valanghe e slavine alle immagini di bambini sofferenti o agonizzanti per denutrizione e malattie contenute negli spot a favore delle varie organizzazioni umanitarie (?). Non si tratta di seri impegni divulgativi orientati alla cultura della solidarietà, ma di pietistiche manifestazioni spettacolari e chiacchierone. Tutto quanto fa spettacolo, audience e cassetta: dai femminicidi ai fatti di sangue in genere, dai disastri naturali ai soccorsi umanitari.Poi la magistratura tira fuori la bacchetta magica delle inchieste, che non portano a nulla di concreto. Si aprono fascicoli più per battere un colpo che per dovere d’ufficio. Si tratterebbe di inadempienze a livello di allerta, di omissione di soccorso, di comportamenti omissivi colposi. Mio padre che, nel caso di alluvioni, ironicamente derubricava ironicamente simili reati a mancata installazione “ed j èrzon äd cärta suganta”, nel caso in questione avrebbe forse ipotizzato il reato di mancata costruzione dei muri di gomma contro cui rimbalzerebbero anche le valanghe. Abbiamo perso ogni e qualsiasi capacità di piegare il capo di fronte a certe calamità non per subirle passivamente ma per affrontarle seriamente e non dedicandosi al facile sport dell’assegnazione delle colpe: tutti hanno le loro responsabilità, ma questa spasmodica ricerca non mi convince e non mi interessa perché la ritengo uno sterile esercizio del senno di poi, se non un facile e penoso gioco allo scaricabarile. Leggendo gli editoriali del giorno dopo (mi interesserebbero molto di più quelli del giorno prima) si intuisce chiaramente che non si sforzano di interpretare culturalmente il senso di un avvenimento tragico, ma hanno solo la preoccupazione di buttare la croce addosso a qualcuno, possibilmente al loro nemico politico, facendo rientrare il tutto nella loro faziosa tattica editoriale. Si è detto che l’Italia ha reagito con grande dignità a questi eventi catastrofici purtroppo ricorrenti: sì, nonostante molti abbiano fatto e facciano di tutto per soffiare sul fuoco delle sterili polemiche e delle assurde ricostruzioni. Oltretutto siamo davanti a una materia che non si sa obiettivamente da che parte prendere: la scienza parolaia, la politica balbettante, la storia con i suoi errori, la necessità di mezzi finanziari enormi non mi convincono sulle effettive possibilità di prevenire veramente gli effetti calamitosi. Sarò un fatalista…