La «provocazione» di Kiev continua: siamo al terzo giorno dell’incursione nella regione di Kursk, la prima di un esercito regolare sul territorio russo dalla Seconda guerra mondiale. «La Russia ha portato la guerra sulla nostra terra, e ne deve sentire» le conseguenze, afferma con tono di sfida il presidente Zelensky, rivendicando l’iniziativa. Una operazione a sorpresa che incassa il pieno appoggio dell’Ue, dopo mesi di dibattito a Bruxelles sulla possibilità di usare le armi oltre il confine russo: «L’Ucraina – ha detto il portavoce della Commissione Peter Stano – è vittima di un’aggressione illegale e sulla base di diritto internazionale ha il diritto di difendersi e di colpire il nemico anche sul suo territorio». (dal quotidiano “Avvenire”)
Se si resta in una logica bellica, il discorso di Zelensky non fa una piega, così come il parere espresso dalla Ue. Se, al contrario, ci si sforza di uscire da questo perverso meccanismo, bisogna ragionare. A livello pragmatico occorre ammettere che allargare il conflitto al territorio russo rende ancor più inagibile un’eventuale azione diplomatica: non credo infatti che alla causa della pace serva toccare il fondo della guerra. Sul piano dei rapporti internazionali la posizione sempre più radicale della Ue non favorisce il dialogo, che dovrebbe essere il suo compito costituzionale. Per quanto concerne i principi, questi sviluppi non fanno che avvalorare l’idea di un mondo avente la guerra come suo caposaldo equilibratore e come suo irrinunciabile presupposto involutivo.
Di questo passo dove andiamo a finire? Chiediamocelo, senza nasconderci dietro il fantomatico diritto internazionale che nessuno rispetta e tutti invocano, senza timore di essere idealisti in un mondo che va verso la catastrofe nichilista, senza pudore di essere pacifisti in un contesto in cui i conflitti (non) si risolvono concettualmente e concretamente con le armi belliche della distruzione reciproca piuttosto che lavorare alacremente e pazientemente con le armi pacifiche della costruzione comune.