Sono stato per anni all’interno della Democrazia Cristiana in posizione di minoranza: aderivo alla corrente di sinistra, sindacal-aclista di Forze Nuove, e quindi non mi fa certo impressione l’asprezza del confronto interno al partito Democratico. Quel che trovo insopportabile e censurabile è la velleitaria scarsità degli argomenti della cosiddetta sinistra dem, che si atteggia al nuovo che avanza mettendo in mostra leader da museo, non per l’età ma per le enormi responsabilità riguardo al passato e per il vuoto pneumatico delle loro proposte attuali.Mi riferisco, tanto per non fare nomi, a Pier Luigi Bersani ed alle sue sparate a vanvera, oscillanti fra la puzza di muffa del vetero-comunismo mai sufficientemente digerito e il penoso imbellettamento di una generazione politica che ha fatto disastri ed inesorabilmente il suo tempo e che dovrebbe avere il buongusto di togliersi dai piedi (Massimo Cacciari docet).Invece eccolo lì a pontificare con un accanimento che di terapeutico ha ben poco. Egli mette nel frullatore tutti i luoghi comuni della critica alla sinistra italiana, europea e mondiale e ne tira fuori l’auspicio di un giovane Prodi alla cui ricerca si starebbe impegnando, dando peraltro il ben servito frettoloso al suo amico Roberto Speranza che da tempo scalpita in panchina.La crisi del ceto medio, le scorie velenose della globalizzazione, le disuguaglianze galoppanti, il ciclo tecnologico che toglie lavoro, la riscoperta dei valori protettivi della sinistra, più Stato e meno mercato, abbandono dell’establishment, il ritorno ai diritti del lavoro troppo umiliati, inversione a U rispetto alla vocazione maggioritaria del PD, rilancio del welfare, fine del personalismo leaderistico: questi gli ingredienti della ricetta di Bersani, che gioca a fare il sociologo, toglie il mestiere ai sindacalisti, si pavoneggia ad economista di grido, si lascia andare alla politologia spicciola.Tutto meno che la politica: ho provato a mettere in corrispondenza parallela il contenuto delle due interviste ospitate da la Repubblica, quella a Matteo Renzi e quella a Bersani. La prima discutibilissima (mancherebbe altro…), ma abbastanza concreta ed auto-critica, la seconda vuota ed auto-celebrativa.Bersani dice di essere preoccupato per l’inseguimento di Renzi al centro che non esiste più e lui rincorre una sinistra parolaia ed anacronistica, candidandosi forse a coagulare il sangue sparso nelle storiche emorragie di un massimalismo di sinistra andato tranquillamente a passeggio con i poteri più retrivi, clientelari e sconclusionati (MPS docet), burocratizzato negli enti locali (emilia-romagna e non solo), appiattito sui sindacati (CGIL), imborghesito nei salotti buoni.A proposito di salotti buoni, il mio carissimo amico Walter Torelli, comunista tutto d’un pezzo, durante una delle solite chiacchierate, mi chiese, dal momento che mi sapeva piuttosto informato sulla cronaca politica, di riferirgli dell’episodio relativo a Massimo D’Alema, il quale, in occasione di una sua presenza in un salotto romano, rimbrottò vivacemente il cane di casa che gli era montato sulle scarpe. Ammise snobisticamente che gli erano costate una grossa cifra. L’amico Walter, dopo avermi confessato tutta la sua indignazione, disse con tanta convinzione: «Lé óra chi vagon a ca tùtti». Sono sicuro che lo ripeterebbe di fronte alle più recenti prese di posizione di D’Alema e c., stizzose, altezzose, insopportabili ed incoerenti. Sì, caro Walter avevi ragione tu…e non eri certo un qualunquista di destra.Se Matteo Renzi fa fatica ad interpretare una sinistra moderna ed efficace, Pier Luigi Bersani non fa fatica, proprio non è in grado di candidarsi alla leadership del PD (abbia tale partito una vocazione maggioritaria o una tendenza al rassemblement della incasinata galassia sinistrorsa).Checché ne dicano Bersani e i suoi pochi amici (contano forse ancora qualcosa a livello di iscritti, ma tendono a zero a livello elettorale), a Renzi non c’è alternativa: non so se sia un bene o un male, ma è così. Ma forse a questi signori, che lo sanno benissimo, interessa solo difendere una posizione di potere che in uno scontro duro verrebbe messa in discussione prima a livello di partito e poi a livello delle urne: meglio quindi guadagnare tempo, indebolire la segreteria del partito, arrivare alle elezioni con una legge non troppo drastica, riaprire un’ interminabile avventura ulivista, andare indietro insomma facendo finta di andare avanti.Se devo essere sincero in merito a questi signori la penso esattamente come Roberto Giachetti quando ha detto la verità indirizzando alla minoranza dem una colorita espressione, “avete la faccia come il culo”.Ricordate il film “Bianco, rosso e Verdone” in cui il pedante e pignolo protagonista, lo stressante Furio, telefona al servizio meteorologico al fine di avere informazioni utili per mettersi in viaggio a ragion veduta. Copre l’interlocutore di tali e tante sciocche e assurde domande che, ad un certo punto, questi sbotta alla grande: «Mo va a cagär…». Chissà perché mi è venuta in mente questa gag leggendo l’intervista a Bersani?