L’exit poll ideologico

Come riportato da tutti gli organi di stampa Umberto Bossi ha fatto sapere a Salvini che lui voterà l’indipendente di Fi Reguzzoni perché il Carroccio «ha tradito».

È stato molto più di un marginale exit poll, è stato l’annuncio di una catastrofe ideologica della Lega, che ha perso totalmente la bussola e si è instradata in una deriva estremistica purchessia senza capo né coda, al punto da non riuscire nemmeno a sfruttare la scia dell’estremismo europeo che ha trovato un consistente sbocco politico con le elezioni.

Intendiamoci bene in mezzo a tante cazzate Matteo Salvini imbrocca qualche dichiarazione sensata, come quella di considerare Macron un folle guerrafondaio, ma non trova un filo di collegamento con la storia del suo movimento, con le forze sociali di riferimento e con la dirigenza territoriale. Scommettere sul generale Vannacci prestato alla politica è sintomo di pura schizofrenia; rifugiarsi nella autonomia differenziata regionale a costo di aggredire chi sventola in Parlamento il tricolore, a costo persino di dichiarare come ha fatto il parlamentare leghista Crippa che “cantare Bella Ciao è un gestaccio più grave di inneggiare alla Decima Mas”, è segno di totale eresia politico-costituzionale e di tradimento delle proprie origini e della propria storia.

Così come la Lega aveva avuto un grosso successo elettorale alle ultime elezioni europee del 2019 (34%) in quelle attuali ha ottenuto un consenso di mera sopravvivenza, scavalcata dalla rediviva Forza Italia.

Prendo le mosse dal leghismo in crisi per affrontare il disastro emergente dal risultato delle elezioni europee. Se vogliamo, il percorso leghista è emblematico di quello di tutta la politica italiana e non solo, ne può costituire la inquietante ma significativa metafora. Sto tentando di analizzare la realtà introducendo un parallelismo post-ideologico fra Italia ed Europa.

Finite le ideologie, di cui non mi vergogno di soffrire la mancanza, il popolo italiano si è affidato al primo avventuriero di passaggio: vale per Berlusconi, per certi versi anche per Renzi (fatte le debite distinzioni e ammettendo onestamente di avere nutrito qualche speranza in lui), per Grillo (che ha tentato di drenare l’antipolitica trasferendola nelle istituzioni), per Salvini (che ha cavalcato spregiudicatamente le peggiori paure degli italiani) e, da ultima, per Meloni. L’elettorato senza forti legami valoriali è allo sbando (non serve più nemmeno l’antifascismo a riportarlo alla regione). Non è un problema squisitamente italiano, ma europeo e mondiale. Il crescente fenomeno dell’astensionismo elettorale trova nel crollo delle idealità di riferimento la sua principale causa, accompagnata da una politica sempre più bottegaia e incapace di affrontare i problemi. C’è poco da fare: senza i valori di fondo la democrazia muore, la politica perde significato e i cittadini perdono il coraggio di votare. Bene ha fatto Massimo Cacciari a gridare all’inqualificabile giornalista (?) Italo Bocchino di smetterla di dire puttanate, mandandolo a quel paese in modo molto eloquente (era proprio ora che qualcuno lo facesse!): Bocchino, da autentico professionista della mistificazione filo-meloniana, sosteneva che la disaffezione alle urne dipende dal fatto che i cittadini si sentono talmente sicuri della tenuta del sistema democratico al punto da disertare tranquillamente e in massa le urne.

Papa Francesco, parlando della Terra Santa e delle guerre in atto, ha osservato che «le ideologie non hanno piedi per camminare, non hanno mani per curare le ferite, non hanno occhi per vedere le sofferenze dell’altro». Se le ideologie dimostrano questa loro inadeguatezza, anche la politica non trova più riscontro nella realtà, perché non si aggancia ai valori e di conseguenza non vede i bisogni della gente.

Durante le animate ed approfondite discussioni con l’indimenticabile amico Walter Torelli, ex-partigiano e uomo di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta constatavo, assieme a lui, che alla politica stava sfuggendo l’anima, se ne stavano andando i valori e rischiava di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restava che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo facili profeti, con l’aggravante che la politica non è più per il singolo cittadino nemmeno la mera e sbrigativa difesa degli interessi individuali, ma addirittura la fuga mediatica dalle proprie responsabilità.

Mentre la destra riesce comunque a respirare col polmone del potere e/o con le promesse populiste, la sinistra si rifugia in tanti scollegati polmoncini d’acciaio: la destra può fare a meno dei principi, la sinistra no. E pensare che la fame etica è tanta (si pensi al bisogno di pace), che la sete di giustizia è enorme (si pensi alle povertà crescenti), che il desiderio di serenità sociale è fortissimo (si pensi all’immigrazione e alle tante contraddizioni socio-economiche). Cosa impedisce alla sinistra di “cavalcare” questi sentimenti popolari?

Torno indietro nel tempo a costo di essere campanilisticamente italiano.  Probabilmente si è avuto fretta di buttare a mare le due esperienze politiche fondamentali del dopo-guerra: quella comunista e quella cattolica, che non sono riuscite, dopo la lunga contrapposizione, a trovare un indispensabile modus vivendi. In Europa sta succedendo, seppure in tempi più lunghi, la stessa cosa con riferimento alla casa socialista ridotta ai minimi termini e a quella popolare che si difende ristrutturandosi in mera villa conservatrice.

Questo rimane il nodo incompiuto della politica italiana: la morte di Aldo Moro ci ha spiazzato, bruciando l’unica prospettiva seria, quella del compromesso storico preludio alla bipolarizzazione comunisti-democratizzati e cattolici-disintegralistizzati. Siamo rimasti a questo palo e allora la politica ai vertici è diventata, strada facendo, un affare sempre più impellente (dal Caf al berlusconismo), mentre alla base è diventata persino una questione da rimuovere con la scriteriata corsa all’antipolitica. La fine dell’eredità politica di De Gasperi, Adenauer e Schuman sta gettando l’Europa nel panico, nel più bieco dei conservatorismi e nelle nostalgie fasciste e addirittura naziste. Se ad un automezzo togli i comandi e le guide non può che andare a sbattere.

Il ricollocamento politico in Europa non ci ha aiutato, forse l’Europa ci sta aiutando ad andare nel fosso o forse siamo noi che aiutiamo l’Europa ad andarci: ci siamo inseriti malamente nelle famiglie europee, peraltro in gravi crisi, finendo addirittura col ripiegare nell’euroscetticismo o nell’europeismo di maniera. Le ultime elezioni europee ne sono state la clamorosa dimostrazione: siamo rimasti indietro senza cogliere gli insegnamenti democratici del passato, siamo incapaci di guardare avanti perché siamo vittime di equilibri internazionali fuorvianti e condizionanti, stiamo buttando a mare persino la Costituzione…e l’Unione europea.