Il dibattito politico diventa sempre più contraddittorio. Mentre a livello europeo si fa un gran dire della vocazione all’insignificanza della sinistra riformista, messa all’angolo dalle pulsioni populiste a cui sembra resistere solo un centro-destra sfaccettato (Fillon, Merkel, May, Rajoi) e articolato su diverse gradazioni di europeismo, su diverse versioni di liberismo, su diverse posizioni nei confronti dell’immigrazione. L’unico Paese europeo in cui la sinistra incarna un’effettiva alternativa al populismo, di destra (la Lega di Salvini) e neutro (i 5 stelle di Grillo) è l’Italia (con il Pd di Matteo Renzi). E qui partono le assurde critiche riconducibili sostanzialmente a due atteggiamenti culturali. Da una parte i vetero-sinistrorsi alla Rossana Rossanda dicono: «Tra il populismo di Grillo e quello di Renzi è come scegliere tra l’incudine e il martello…». È l’onda di ritorno del solito e spocchioso massimalismo, abbinato, come sostiene argutamente Michele Serra, allo “sbalorditivo, paradossale e quasi nevrastenico personalismo di un campo politico (la sinistra appunto) che almeno sulla carta dovrebbe battersi per valori collettivi”. Dall’altra parte sta chi sospettosamente dubita della strategia renziana volta a togliere la terra sotto i piedi al populismo proponendo un riformismo fuori dal palazzo e dagli schemi tradizionali, improntato al rinnovamento della politica ed al recupero dell’antipolitica: della serie “non facciamo la battaglia al populismo diventando populisti”, non cadiamo nell’equivoco di una sinistra di lotta e di governo. Qualcuno (il politologo Piero Ignazi) pensa che “l’offensiva portata dal Presidente del Consiglio sul referendum ‘contro la casta’ solleciti ancora di più quei sentimenti anti-istituzionali che sono il terreno di coltura del grillismo, in quanto il gioco di prestigio di rappresentare e di incarnare fisicamente il potere e, allo stesso tempo, di parlare contro il potere, con convince più e l’estraneità al sistema si è consolidata nell’adesione al M5S e da lì non si muove. Ignazi ipotizza addirittura una trappola per il Pd coinvolto in una pericolosa deriva populista del dopo-referendum in caso di vittoria del Sì: «Il serbatoio di rifiuto e di rivolta, finora, si è incanalato in un ambito iperlegalitario come quello dei 5 stelle. Una vittoria del Sì potrebbe portare questa variegata e indistinta componente, che ha comunque nei giovani e nelle persone di ceto medio-basso il suo tratto identificativo, a considerarsi vieppiù marginale. Spetta all’intelligenza degli eventuali vincitori evitare che le frustrazioni sociali e generazionali non vengano esacerbate dal risultato del referendum».E allora che si fa? La risposta sta nel fatto che stiamo ricadendo nell’ideologizzazione post-ideologica e non siamo in grado di interpretare la politica nel mondo attuale senza ricorre agli schemi del passato. Volenti o nolenti le riforme avviate a livello governativo da Renzi e la strategia del Pd da lui guidato stanno cercando di collocare l’europeismo, il riformismo e lo sviluppo economico in un quadro di compatibilità con le pulsioni sociali dominanti, senza demonizzare o squalificare chi critica l’Europa, chi chiede più sicurezza, chi vorrebbe una risposta più razionale ed equilibrata all’immigrazione, chi pretende priorità al problema del lavoro, chi esige equità e giustizia sociale. Se punta i piedi con le Istituzioni europee per ottenere più elasticità finanziaria, più solidarietà nell’affrontare le emergenze migratorie, più attenzione agli investimenti pubblici, sbaglia perché rischia l’isolamento dagli altri partner europei o perché strizza l’occhio agli antieuropeisti, salvo aver chiesto prima e ripetutamente una politica adulta nei confronti dell’Europa. Se mira a semplificare il sistema riducendo i costi della politica e gli sprechi ad essa connessi, apriti cielo: è qualunquismo, è l’anticamera dell’autoritarismo, è la mera scopiazzatura delle ricette populiste. Se inserisce molte donne nelle istituzioni, lo fa solo per buttare fumo negli occhi alla gente, schierando le belle statuine a suo uso e consumo. E via di questo passo… Poi non lamentiamoci se la sinistra finirà con l’essere un partitino di mera testimonianza e di salottiera memoria storica. Sotto un vestito candido (?) non avrà niente…Il teatrino dell’antituttoIl berlusconismo aveva coperto, sotto la sterile coltre protestataria, le contraddizioni di chi voleva giustamente combattere un fenomeno deleterio e vergognoso, ma non riusciva a scardinarlo, tanto che la sua implosione è stata provocata dall’esterno (Europa) e certificata dal Presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano): una morsa istituzionale che Berlusconi e i più accaniti seguaci continuano testardamente a considerare come un colpo di stato. Finito il berlusconismo (ne rimangono solo macerie assieme a qualche velleità di rinascita affaristica), tutti in libera uscita a sparare bordate persino in casa propria. È arrivato, in modo un po’ sui generis, Matteo Renzi che ha messo a nudo le contraddizioni di un sistema che aveva sì combattuto (giustamente) Berlusconi, ma che, sotto sotto, aveva anche e (forse) soprattutto il desiderio di ricompattarsi e tornare alla prima repubblica. Magistratura, sindacati, forze intermedie, burocrazia, intellighenzia, si sono arroccate per salvare il salvabile demonizzando chi aveva e ha il coraggio di mettere in discussione certi meccanismi: una politica chiusa in un catenaccio difensivo, disposta a convivere con l’antipolitica e l’antisistema grillino, solo però fino ad un certo punto (quando infatti si sono accorti che l’Italicum poteva proiettare i 5 stelle al governo del Paese, hanno storto il naso e preteso una revisione della riforma elettorale). Tutto sommato, per l’establishment della politica (e non solo della politica), sta bene anche fare solo l’opposizione a sua maestà il populismo, l’importante è non cambiare. Il fronte del No, tutto sommato ha rispecchiato e sintetizzato questi umori. Poi si farà la riforma della riforma elettorale per sancire questo schema dei populismi da una parte e dei conservatori dall’altra: ciò che sta avvenendo in Germania, Francia e Spagna. In mezzo, Bersani, D’Alema, e i loro cari a reggere il moccolo. Che tristezza! Diversamente, come scrive Stefano Cappellini, “un Sì vittorioso sull’onda della vulgata anti-sistema rischia di trasformare l’Italia nell’unico Paese in cui la partita si disputa tra due diverse forme di populismo, una distillata e una diluita, con la concreta possibilità che, senza le maschere del S’ e del No a dissimulare la contesa, l’onda di protesta deleghi lo sfogo della propria rabbia alla versione originale, così che del quartiere generale di cui si invoca il bombardamento restino davvero solo le macerie”.Insomma come si muove Renzi sbaglia ed allora… è meglio farlo fuori! Lasciate che gli antipolitica non vengano a me.