A sette mesi dall’elezione a segretaria del PD, alla luce dei sommovimenti correntizi e degli smottamenti che si verificano a livello di questo partito è opportuno tentare un bilancino dell’operato di Elly Schlein. La scelta delle elezioni primarie poteva apparire avventatamente interessante: una donna giovane, fuori in tutto dagli schemi tradizionali, capace di interpretare più la piazza che i salotti pur non provenendo da un’esperienza squisitamente popolare, una sorta di coraggiosa scommessa su un rilancio nuovista del PD.
Il punto focale non era tanto trovare la sintesi fra le correnti piddine, ma cercare di tradurre politicamente le sfide provenienti dal mondo, soprattutto giovanile, del cambiamento. Mi riferisco all’ambientalismo, al pacifismo ed al discorso dei diritti sociali e civili.
Per quanto concerne i rapporti internazionali c’era da sperare in una sorta di neo-atlantismo sollecitato oltre tutto dalle emergenze belliche, da auspicare una seria revisione, anche alla luce del dettato costituzionale, del ruolo italiano nel contesto delle alleanze e della realtà europea. Il discorso è finito prima ancora di partire: le armi all’Ucraina non si discutono, la Nato non si tocca, l’Europa va presa con le pinze.
L’ambientalismo e l’ecologia non sono affatto entrati nel dna del PD e non si ha la capacità di concretizzare proposte semplici e precise in questa materia, non riuscendo soprattutto a coniugare il rispetto per la natura con quello per le persone. Sì, perché anche la sensibilità ai discorsi sociali non ha trovato quel pathos che dovrebbe caratterizzare una sinistra degna di tal nome: non basta infatti il salario minimo, occorre scaravoltare la logica liberista e mercatista, senza demagogia ma con tanto coraggio e inventiva. La cartina di tornasole di questa carenza sta nella questione immigrazione liquidata col no ai muri meloniani, ma senza concreti, programmati e gestiti sì all’accoglienza e all’integrazione.
È imbarazzante dover ammettere che tutto o quasi tutto si è risolto nella pur sacrosanta attenzione alle problematiche lgbt, che fa molta giustizia di un passato inconfessabile e discriminante, ma poca apertura ad una vera rivoluzione valoriale generale.
Senza politica è normale che prevalga il correntismo, vale a dire la ricerca degli equilibri di potere all’interno del PD, che non si è fatto attendere e che lega ulteriormente le mani a Elly Schlein. Anche il macigno culturale del rapporto tra cattolicesimo democratico e socialismo non è stato minimamente rimosso e ci si è limitati alle solite definizioni di principio. Ambientalismo, pacifismo e socialità allargata dovevano essere il banco di prova per la fusione calda tra le due sensibilità, invece non si è proceduto in tal senso e si è preferito lasciare sullo sfondo la questione, facendone un alibi per emorragie di tesserati in cerca d’autore, verso quel patetico centro moderato dove tutto (non) si tiene.
E adesso? Il Paese avrebbe bisogno di sinistra anche se finge di accontentarsi di una destra purchessia. Le attese sono andate deluse, non si intravede alcun colpo di reni. Tutto rischia di finire nel problemino dei rapporti col M5S di Giuseppe Conte, nella inconcludente opposizione al governo Meloni, nella difesa di uno striminzito spazio elettorale in vista della ravvicinata consultazione europea. Una sinistra insomma che sa battere solo qualche colpetto che non impressiona nessuno.