In un discorso, tenuto alla Università di Parma, nel 1995, Giuseppe Dossetti – che, dell’Assemblea Costituente, era stato partecipe e protagonista – rivolse un appello ai giovani: “non abbiate prevenzioni rispetto alla Costituzione del ‘48, solo perché opera di una generazione ormai trascorsa – disse -. La Costituzione americana è in vigore da duecento anni e, in questi due secoli, nessuna generazione l’ha rifiutata, o ha proposto di riscriverla integralmente; ha soltanto operato, singoli emendamenti puntuali, rispetto al testo originario dei Padri di Philadelphia; nonostante che, nel frattempo, la società americana, sia passata, da uno Stato di pionieri, a uno Stato, oggi, leader del mondo…E’ proprio, nei momenti di confusione, o di transizione indistinta, che le Costituzioni adempiono la, più vera, loro funzione: cioè, quella di essere, per tutti, punto di riferimento e di chiarimento. Cercate, quindi, di conoscerla; di comprendere, in profondità, i suoi principî fondanti; e, quindi, di farvela amica e compagna di strada… vi sarà presidio sicuro, nel vostro futuro, contro ogni inganno e contro ogni asservimento; per qualunque cammino vogliate procedere, e per qualunque meta vi prefissiate”. Facciamo nostre queste parole.
In queste parole in molti hanno letto un morbido ma deciso stop alla riforma costituzionale annunciata dal governo: presidenzialismo o premierato che sia. Il silenzio al riguardo di Palazzo Chigi e degli esponenti della maggioranza di governo tradisce imbarazzo per non dire contrarietà. Tutto l’intervento di Mattarella al meeting di Rimini, così come altri recenti discorsi, è stato un continuo e pressante richiamo ai contenuti della Carta Costituzionale e alla necessità di un suo rispetto.
Mattarella, oltre che svolgere in modo impeccabile la sua funzione, ha capito che potrebbe esserci in atto un tentativo fin troppo evidente di revisione costituzionale funzionale non tanto a migliorarne i contenuti, ma ad un surrettizio consolidamento degli equilibri e della linea di governo. Ecco perché Meloni e c. si sentono toccati nel vivo e non aprono bocca: non possono infatti dire di essere d’accordo col Capo dello Stato perché tradirebbero le reiterate promesse elettorali, non possono dire di essere in disaccordo col Presidente della Repubblica perché non avrebbero argomenti da contrapporgli e soprattutto perché ne temono la popolarità e il seguito.
La Carta Costituzionale svolge ancora tutta la sua funzione di pietra d’inciampo per chi vuole farneticare sul piano istituzionale. Probabilmente Mattarella, dal suo punto di osservazione, intravede rischi tali da consigliargli un interventismo dialettico molto ficcante: il timore è che si voglia cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza a prescindere dal merito dei cambiamenti stessi. Il Parlamento non ha lo spessore culturale e l’autonomia politica per guidare il discorso; la Magistratura è troppo puntata sull’autodifesa; la Corte Costituzionale al momento non è chiamata in causa; i partiti non ci sono e se ci sono dormono; l’elettorato non percepisce l’importanza di questi discorsi. Resta solo il Presidente Mattarella per frenare gli ardori di un governo incapace quanto pericoloso.
In un sistema politico così debole, mettere mano alla Costituzione comporta rischi enormi. Spero che il Quirinale riesca a sventare, con eleganza, le manovre che si stanno profilando e che gli italiani si sveglino una buona volta. Su tutto, al limite, si può ostentare noncuranza o disinteresse, sulla Costituzione no.
Mattarella nel frattempo non si lascia condizionare dai rumors di eventuali riforme costituzionali e non cessa di fare il suo mestiere. Intervenendo all’assemblea annuale di Confindustria, nel giorno della giornata internazionale della democrazia ha fatto affermazioni molto interessanti in netta controtendenza rispetto al governo: «Se c’è qualcosa che una democrazia non può permettersi è di ispirare i propri comportamenti, quelli delle autorità, quelli dei cittadini, a sentimenti puramente congiunturali. Con il prevalere di inerzia ovvero di impulsi di ansia, di paura. Due sono i “possibili errori” in cui si rischia di incorrere: “Una reazione fatta di ripetizione ossessiva di argomenti secondo i quali, a fronte delle sfide che quotidianamente la vita ci propone, basta denunziarle senza adeguata e coraggiosa ricerca di soluzioni. Quasi che i problemi possano risolversi da sé, senza l’impegno necessario ad affrontarli. Oppure – ancor peggio – cedere alle paure, quando non alla tentazione di cavalcarle, incentivando – anche contro i fatti – l’esasperazione delle percezioni suscitate”». A buon intenditor poche parole!