Tutte le occasioni sono buone per tirare in ballo la questione del pensiero unico, che sarebbe stato monopolio della sinistra in conseguenza della sua egemonia culturale. La svolta politica di centro-destra starebbe mettendo in discussione questo regime monopolistico culturale dando spazio e voce a persone e movimenti portatori di idee fino ad ora relegate nella cantina del neofascismo o nella soffitta del neo populismo.
La sinistra per sua natura e storia è più acculturata, più ideologica e più valoriale, di conseguenza esercita una certa influenza sul dibattito a tutti i livelli e una notevole ispirazione per le mentalità. Negativo? Direi proprio di no, anzi. E allora cosa ha da recriminare la destra in Italia? Che la sinistra abbia usato il potere per condizionare ed orientare le coscienze e le opinioni? Se restiamo al periodo post prima repubblica, vediamo che la destra ha governato spesso, soprattutto nella fase berlusconiana, preoccupandosi non tanto di promuovere cultura, ma di influire mediaticamente sull’opinione pubblica e di esercitare l’arte dei propri affari. Quindi se pensiero unico riconducibile alla sinistra ci fosse anche stato seppure indirettamente, sarebbe anche per colpa del pragmatismo fine a se stesso della destra. Sarebbe il caso di fare il mea culpa senza bisogno di scomodare il farneticante generale Vannacci per recuperare feeling con la pubblica opinione sulle tematiche più delicate e complesse.
In buona sostanza negli ultimi quarant’anni non si è tanto formato un pensiero unico, ma si è affievolito il pensiero in generale, a destra e sinistra: forse quel po’ che ci è rimasto è indubbiamente più spostato a sinistra, ma non si tratta certo di pensiero unico, presupposto e conseguenza di regimi anti-democratici. Chi non ha pensato vuole abbattere il pensiero altrui non riuscendo ad elaborarne uno convincente ed alternativo se non lisciando il pelo a quello emergente nei bar e nelle caserme.
Per recuperare terreno la destra sta puntando non tanto alla libertà di pensiero e di parola ma all’abuso di pensiero e parola, sciorinando idee al limite della Costituzione repubblicana, andando in controtendenza rispetto all’evoluzione dei diritti delle persone e promuovendo sic et simpliciter un ritorno al passato oscurantista e perbenista, non capendo peraltro che uno dei capisaldi dell’attuale cultura, della quale si vorrebbe fare piazza pulita, è proprio quel consumismo così fortemente spinto dal berlusconismo al limite del regime.
Fa un po’ sorridere la mobilitazione destrorsa in difesa della libertà di pensiero di un generale dell’esercito, che si diverte a fare il politico al punto che qualcuno sembra stia pensando di candidarlo al Parlamento in funzione di una ulteriore riscossa estremista di destra. Ma fatemi il piacere…
Se uno però dice delle cavolate che non stanno né in cielo né in terra glielo si dovrà pur dire: il Vangelo parla di correzione fraterna, la politica dovrebbe usare l’arma del dialogo. Invece non si punta al dialogo, ma a difendere aprioristicamente un signore che spara cavolate alla viva il…. (stavo per dire Duce), facendo un po’ come il lupo che accusa l’agnello di sporcare l’acqua. Parliamo e vediamo chi dice cazzate: il discorso vale non tanto e non solo per Roberto Vannacci, ma per chi gli sta dietro, a fianco, davanti, sopra e sotto. In questo senso la sinistra, invece che scandalizzarsi, dovrebbe recuperare il proprio ruolo culturale e politico e sparare i colpi che da troppo tempo le rimangono in canna.