Per dualismo si intende la presenza di due principi fondamentali, in relazione reciproca di complementarità o di opposizione, che spesso diventa dissidio, rivalità, antagonismo.
La storia è zeppa di dualismi: nello sport Gino Bartali e Fausto Coppi, nel canto operistico Maria Callas e Renata Tebaldi; nel mondo della canzone Mina e Milva; nel campo cinematografico Gina Lollobrigida e Sophia Loren. Queste contrapposizioni inevitabilmente gonfiate e cavalcate dai media erano comunque basate su due diverse concezioni del ruolo: Bartali era lo sportivo dell’impresa, Coppi il ciclista completo; Callas rappresentava un modo nuovo di coniugare voce, stile e interpretazione, Tebaldi la tradizionale valorizzazione della bellezza vocale; Mina era la regina della canzone aperta al genere spettacolare leggero, Milva la canzonettista impegnata anche in spettacoli più impegnati e impegnativi; Lollobrigida l’attrice bella per antonomasia, Loren l’attrice brava ed eclettica. Non ho mai gradito troppo questi dualismi e non mi sono mai iscritto alle rispettive tifoserie.
Anche la politica italiana è stata spesso caratterizzata da dualismi sconfinanti in personalismi. Ne voglio richiamare due di alto livello: Amintore Fanfani e Aldo Moro nella democrazia cristiana, più tardi Arnaldo Forlani e Ciriaco De Mita. Si basavano su modi diversi di intendere i rapporti sociali e politici e non su questioni di mero potere, anche se lo scontro arrivava fino agli appuntamenti con l’elettorato, alla conta dei voti congressuali, agli organigrammi direttivi e governativi.
Non intendo entrare nel merito, ma soltanto sottolineare con nostalgia la portata culturale e la qualità politica di questi dualismi per metterla a impietoso confronto con la vacuità culturale e il tatticismo politico di quelli attuali. Ne colgo tre, prendendoli rispettivamente da destra, centro e sinistra.
Parto dall’ultimo in senso temporale, scoppiato a destra tra Giorgia Meloni e Marina Berlusconi: la seconda sembra preoccupata di dare spazio e voce in proprio all’eredità paterna, la prima a delegittimare sul nascere l’eventuale ruolo politico della seconda. Due donnette, che si danno rispettivamente arie da statista e da imprenditrice, che interpretano al ribasso il ruolo femminile nella vita attuale, che riducono la politica a lite tra comari seppure di lusso.
Al centro dello schieramento partitico abbiamo il dualismo Renzi-Calenda: due galli nell’inesistente pollaio centrista, che si beccano in continuazione con accuse reciproche pesanti a prescindere da ogni e qualsiasi seria strategia politica. Entrambi sembrano avere una voglia matta di influenza e potere a livello governativo, ma sono costretti a nascondere sistematicamente la mano dopo aver lanciato il sasso. Un balletto osceno da ballerini di quarta categoria.
A sinistra abbiamo il rapporto di odio-amore tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein: costretti a trovare qualche punto d’intesa per non farsi troppo male, pronti a dividersi immediatamente dopo per non perdere una fantomatica primazia elettorale. Il primo sembra un leader indiscusso di un partito discutibilissimo (forse inesistente); la seconda sembra un personaggio capitato per caso a domare e recuperare una gabbia di matti. Conte non ha problemi interni, Schlein ne ha troppi e paralizzanti. Giocano una partita sullo stesso campetto progressista e finiscono regolarmente col pestarsi i piedi.
Tutti questi dualismi hanno un dato in comune: la contrapposizione basata sul nulla culturale, sulla pochezza di idee politiche, sul tirare a campare buttando fumo negli occhi. Forse il mio giudizio critico può essere esagerato sulla sinistra: lì infatti si cade dall’alto e quindi ci si fa più male. L’ultima chicca di Elly Schlein sarebbe il benservito a Gianni Cuperlo alla guida della Fondazione del partito. Mi sembrava l’uomo giusto al posto giusto in grado di dare un minimo di dignità culturale al PD. Invece verrà sostituito da Nicola Zingaretti: una scelta di continuità da chi voleva essere portatrice di discontinuità. La cultura fa infatti da pietra d’inciampo per la politica del finto leaderismo e del facile dualismo.