In pieno e iniziale clima da guerra fredda c’era fra i cattolici democratici chi agiva culturalmente, economicamente e politicamente per una concezione atlantica aperta alla collaborazione coi Paesi emergenti, puntata sul discorso Mediterraneo, non appiattita sulle smanie di potenza degli Usa pur in un corretto rapporto fra alleati occidentali.
Questi signori, che andrebbero rivisitati nelle loro coraggiose intuizioni profetiche, si chiamavano Giovanni Gronchi, Amintore Fanfani, Enrico Mattei, Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira: i padri storici di quella sinistra democristiana a cui mi onoro, nel mio piccolo, di avere a suo tempo aderito. Gronchi e Fanfani rappresentavano il braccio politico-diplomatico di questa impostazione internazionale, Mattei ne fu il protagonista-martire sul piano economico, Dossetti e soprattutto La Pira ne gettarono le basi culturali, interreligiose e dialogiche.
Sgombro subito il campo dall’equivoca strumentalizzazione che la destra sta facendo dell’eredità storica di Enrico Mattei, forzandola spudoratamente in chiave anti-immigrazione: se la mentalità di Mattei fosse stata adottata quando si era ancora in tempo, lo sviluppo del terzo mondo sarebbe avvenuto in modo ben diverso e più equo e non si sarebbe arrivati alle migrazioni bibliche dei nostri giorni. Oggi rispolverare Mattei può avere sapore grilloparlantesco e antistorico, se ne facciamo un uso distorto finalizzato ad una politica sostanzialmente difensiva verso l’emorragia migratoria fermata col cotone emostatico dell’aiuto peloso ai Paesi di origine e di transito.
Torno al neo-atlantismo della sinistra DC per tentare di proiettarlo nel drammatico presente e in un futuro diverso tutto da costruire. Sulla scena internazionale vedo soltanto, in tal senso, il multilateralismo vaticano di cui le recenti peregrinazioni portate avanti dal cardinal Zuppi in nome e per conto di papa Francesco sono un segnale preciso anche se tutto da valorizzare e sviluppare. Cosa aspetta infatti la sinistra, a livello italiano, europeo e mondiale, a darsi una scossa culturale ed una mossa politica verso una visione nuova, che sarebbe oltretutto condivisa dalle popolazioni sempre più sbigottite dall’andazzo bellicista fine a se stesso.
Quello di papa Francesco è l’unico serio tentativo di ridisegnare la geopolitica partendo dal senso umanitario dei rapporti internazionali per arrivare pazientemente a nuovi equilibri di graduale ma vera pacificazione globale. Il cardinale Matteo Zuppi parte dallo scambio dei prigionieri, dal rientro dei bambini oggetto della tratta putiniana, dai corridoi umanitari, dalle esigenze primarie di garantire lo scambio di materie di prima necessità, dalla sostituzione degli aiuti bellici con quelli umanitari.
Si tratta di una base di partenza umile, ma molto importante e decisiva. Un percorso a tappe ed ostacoli per arrivare al dialogo con tutti i protagonisti, coinvolti nella quadratura del cerchio di un mondo basato non tanto sui rapporti di forza militare ed economica, ma prima di tutto su quelli di coesistenza pacifica nello sviluppo globale rispettoso ed equilibrato.
Voglio concludere questa mia breve e semplice riflessione geostorica e geopolitica, per la quale sono partito dal profetico ma purtroppo incompiuto disegno neo-atlantico del secondo dopo-guerra per arrivare all’auspicabile multilateralismo odierno, riportando di seguito quanto scrive autorevolmente Marco Impagliazzo, insegnate universitario di “storia della pace” (è tutto dire!) e presidente della Comunità di Sant’Egidio, sulle colonne del quotidiano “Avvenire”.
“La missione di Zuppi punta prima di tutto ad ottenere qualche gesto umanitario a vantaggio dei più fragili, come il ritorno a casa dei bambini del Donbass sottratti alle loro famiglie dai russi. Ma con la convinzione che dietro quella che, agli occhi di alcuni, può sembrare una missione velleitaria o, addirittura, un cedimento a Mosca, si possa stabilire un quadro diverso per i rapporti tra le forze in campo. E qui è necessario sottolineare che, in questo conflitto, gli attori non sono solo i russi e gli ucraini.
É per questo che, dopo Kiev e Mosca, Zuppi si è recato a Washington. Ma per lo stesso motivo il cardinale, per proseguire la sua missione, potrà, se le condizioni lo permetteranno, recarsi anche altrove. Il pensiero ovviamente va in primo luogo alla Cina. Pechino rappresenta certamente un interlocutore rilevante, non solo per l’influenza che può avere su Mosca ma anche perché è un soggetto ineludibile degli equilibri economici e geopolitici mondiali.
Del resto, nel mondo globalizzato in cui viviamo, ma – si può dire – in tutti i conflitti, anche quelli in cui si affrontano ufficialmente solo due parti, ce ne sono almeno altrettante coinvolte. Basta pensare ai Paesi confinanti e alle conseguenze che una guerra – questa più di altre – può provocare sull’economia mondiale (vedi il problema del grano riemerso in questi giorni). In altre parole i conflitti, anche quelli che coinvolgono direttamente solo due nazioni, devono sempre avere – oggi più che mai – una soluzione multilaterale. È la posizione tradizionale della Santa Sede che si esprime in un forte sostegno alle Nazioni Unite, come mostrano anche gli interventi dei papi da Paolo VI a Francesco al Palazzo di vetro a New York.
Un’attenzione globale che dopo la prima tappa a Washington, non potrà ignorare (pur con modalità diverse tra loro) altri importanti attori primo tra tutti la Cina. C’è poi un grande movimento dei Paesi del Global South che più di altri stanno soffrendo per questa guerra e che già si sono fatti sentire. Per via delle ripercussioni economiche – come si è già detto – oltre che politiche e strategiche che il conflitto in corso sta producendo e che rischiamo di avere un impatto nei decenni successivi. Il Papa lo sa bene, essendo anche originario dal grande mondo del Sud. Per questo immaginiamo che la missione del cardinale non si fermerà a Washington, ma avrà sempre nei suoi passi, uno dopo l’altro – come del resto è da sempre nel dna della Santa Sede e nelle prese di posizione dei papi del Novecento di fronte alle guerre – una visione globale e multilaterale”.