Uno dei punti più discussi in materia di riforma della giustizia è senza dubbio quello riguardante la separazione delle carriere: non ho mai capito perché la maggioranza dei magistrati sia pregiudizialmente contraria, probabilmente non tanto per una rigorosa difesa della propria indipendenza, ma per una castale maggiore flessibilità di esperienze e di carriere. Il centro-destra da parte sua annette molta, forse troppa, importanza a questa innovazione, illudendosi sul “divide et impera” che indebolirebbe il potere giudiziario sottraendolo alle intenzioni di condizionare la politica col rischio però di portare di fatto i magistrati inquirenti nell’orbita del potere esecutivo (come del resto succede in parecchie democrazie).
Non essendo esperto in materia faccio riferimento ad un illustre parere dell’ex senatore Giorgio Pagliari, insigne giurista. Egli afferma: «La separazione delle carriere appare, nel quadro attuale, l’unico rimedio possibile per creare le condizioni di un’effettiva indipendenza tra la magistratura inquirente e la magistratura giudicante, così da assicurare un vaglio vero da parte di quest’ultima delle richieste dei PM, troppo spesso oggi senza un filtro vero».
Resto però molto perplesso allorquando l’attuale governo, che ha tra i suoi ministri un autorevole ex magistrato, Carlo Nordio, il quale sta elaborando una riforma dell’ordinamento giudiziario, si scandalizza davanti al Gip che dispone l’imputazione coatta per il sottosegretario Delmastro (il reato se non erro sarebbe quello di rivelazione di segreti d’ufficio) in contrasto col Pubblico ministero che aveva deciso l’archiviazione dell’indagine. Mi sono chiesto se questo non sia proprio un caso di indipendenza tra magistratura inquirente e giudicante. E allora? La coerenza, come spesso accade, diventa un optional, resta soltanto la voglia di difendere la casta della politica.
Leggiamo cosa scrive al riguardo Giuseppe Panissidi su MicroMega: «L’invocata panacea di tutti i mali, la separazione delle carriere, neanch’essa sembra soddisfare i suoi veementi assertori. Tanto vero che, anche quando la giurisdizione la realizza di fatto, nei termini e nelle forme della normale dialettica processuale, l’Olimpo del garantismo a buon mercato e a senso unico insorge, a prescindere. Ogniqualvolta, comunque, si vada in giudizio. Se, vedi caso, l’ufficio del pubblico ministero propone l’archiviazione delle accuse nei riguardi di tal Delmastro, mentre il tribunale, nella figura del giudice preliminare, terzo e indipendente, assume la decisione opposta, vale a dire ingiunge alla procura di formulare l’imputazione, secondo una specifica previsione del vigente codice del rito accusatorio, anche tale prova di “separazione” sostanziale tra procura e tribunale viene fatta oggetto di vigorosa, controintuitiva, contestazione. Stranezze. Non è, dunque, la separazione la materia del contendere! Il problema vero, il male per nulla oscuro, si manifesta, al contrario, nell’anelito alla costruzione di una prospettiva ‘politica’ di concordanza ‘sistemica’ tra giudici e pm palesemente finalizzata a porre fine ai procedimenti sgraditi. Altrimenti, entra in azione, di diritto, per usare una parola nobile, il vincitore elettorale, il legislatore penale di turno. E via col vento, mano alla… separazione! In buona sostanza, intercala Johnny Stecchino, e in memoria di Manzoni, il processo non s’ha da fare, né domani, né mai, quando riguarda i padroni del vapore. Il giusto processo nei loro confronti è il processo che non si celebra, non si deve celebrare, considerato il numero di assoluzioni che viene sbandierato a ogni piè sospinto».
Mi sembra quindi che il dibattito in corso sia falsato da due opposte strumentali intenzioni: la Magistratura si chiude a riccio ed ha paura persino della propria ombra o forse, sarebbe meglio dire, dell’ombra del governo per difendersi preventivamente e pregiudizialmente dagli attacchi alla propria autonomia, mentre il Governo vuole comunque appioppare un colpo a tale autonomia considerandola un alibi per operare impunemente invasioni di campo.
Se questi sono i presupposti ed il clima, il conflitto è garantito e la riforma scivolerà inevitabilmente verso un pericoloso scontro fra i poteri dello Stato. Non invidio il Presidente della Repubblica che, prima con la cosiddetta moral suasion e poi con l’esercizio delle sue prerogative, dovrà mettersi di mezzo in difesa della Costituzione e delle aspirazioni dei cittadini verso una giustizia giusta ed efficiente. Non rimane comunque che sperare in lui, nel suo equilibrio, nella sua obiettività e nella sua rigorosa e operosa fedeltà alla Carta Costituzionale.