Credo che nessuno possa negare la necessità di una seria riforma della giustizia in quanto le sue incongruenze, contraddizioni ed inefficienze sono sotto gli occhi di tutti. Il problema quindi non dovrebbe essere “riforma-sì—riforma-no”, ma semmai quale o quali riforme. È l’approccio alla discussione che è sbagliato: da una parte si vuole difendere la politica e i politici di turno dai presunti attacchi della magistratura, dall’altra la magistratura si difende dai presunti attacchi della politica. Il dibattito si svolge fra poteri autonomi dello Stato schierati in campo a mo’ di lumache. Per dirla in riferimento all’attualità, chi tocca Santanché e Delmastro va punito e ridimensionato, chi attacca le procedure a cui vengono sottoposti Santanché e Delmastro è un traditore della Costituzione.
È innegabile che la sinistra in passato abbia lasciato la battaglia contro il berlusconismo e le sue invadenze alla Magistratura e alla parte più tosta della stampa: un errore grave che ha indebolito la politica e sovraccaricato la Magistratura, creando i presupposti per qualche pericoloso intruglio istituzionale. Temo che la situazione sia ancora bloccata in quel senso, con la destra al governo che continua imperterrita a fare il verso a Berlusconi, la sinistra che continua a sfarinarsi nell’antimelonismo di maniera (senza peraltro il coraggio di andarci fino in fondo), la magistratura che si difende ancor prima di essere attaccata.
A quando i veri problemi della giustizia? Il ministro Nordio li conosce e, tutto sommato, li mette sul tappeto. Poi però cominciano gli opportunismi governativi e tutto si blocca o viene falsato da interessi faziosi. O si ha il coraggio di sgombrare il campo dai personalismi e dai giochetti delle parti oppure la giustizia rimarrà quella che è con i suoi pregi e i suoi difetti.
In questo momento Santanché e Delmastro dovrebbero avere il buongusto di farsi da parte e di difendersi a livello personale senza nascondersi dietro il governo di cui fanno parte. Chi nel governo è portatore di conflitti di interesse abbia un rigurgito di onestà intellettuale e li risolva. Se non riesce a convincerli Giorgia Meloni, lo tenti il ministro Nordio che rischia di rimanere col cerino acceso fra le dita della sua ventilata riforma.
I magistrati facciano un atto di umiltà e, per una volta, porgano l’altra guancia, stando zitti proprio in nome di quell’autonomia che intendono difendere. Chi è senza peccato scagli la prima pietra: vale anche per loro. Si consiglino un po’ di più con il Presidente della Repubblica che, fino a prova contraria, è a capo del Consiglio Superiore della Magistratura e potrebbe svolgere questa funzione senza delegarla come avviene per prassi consolidata.
Poi si apra, nelle sedi istituzionalmente previste e con i toni più opportuni e costruttivi, il dibattito, partendo non dai forti che traballano, ma dai deboli che soffrono: mi riferisco ai carcerati in attesa di giudizio e in attesa di scontare la pena in modo umano e rieducativo, alle vittime di errori giudiziari, a quanti non riescono a far valere i propri diritti, a tutti i cittadini che vorrebbero una giustizia giusta e una politica che si occupi di loro e non di sé stessa.
Sono stanco di questo tira e molla fra governo e magistratura, del tifo per le due squadre in campo, della contrapposizione manichea fra giustizialisti e garantisti. In questi giorni è stato aperto il testamento di Silvio Berlusconi che prevede due lasciti dal punto di vista economico, uno a Marcello Dell’Utri e l’altro a Marta Fascina. Non mi riguardano. Temo invece che ci siano parecchi lasciti segreti alla politica, fra i quali si intravede nettamente la “guerra alla magistratura” considerata un inciampo a fare i propri interessi. Mi sembra che il conflitto sia ripreso senza esclusione di colpi, ma, come in tutte le guerre, di aggressione o di difesa che siano, chi ci rimette sono i più deboli.