Ogni volta accade la stessa scena: davanti a un fatto orrendo proviamo grande pietà per le vittime e rabbia verso gli assassini. Li chiamiamo mostri, scriviamo i loro nomi e cognomi sui social e spesso chiediamo per loro non solo il carcere o l’ergastolo ma la pena di morte. Ci auguriamo che muoiano con le peggiori sofferenze, senza dovere aspettare il processo e la sentenza. (…) Così, davanti a simili orrori, invece che impegnarci a diventare persone migliori e ad aiutare gli altri a esserlo (a partire dai più giovani), veniamo travolti dalla rabbia, dal disagio, dalla paura e dalla delusione per il prossimo. Finiamo senza accorgercene in una sorta di buio, dove il mondo ci sembra popolato solo da mostri. Ovviamente nella realtà ce ne sono. Sarebbe una follia negarlo. Ma pensarli come fossero una maggioranza che può e deve essere sconfitta solo con la violenza non è solo un errore statistico. È un tarlo che, alla lunga, distrugge la fiducia negli altri. Dobbiamo combatterlo. Per noi. Ma innanzitutto per le vittime come Giulia e Thiago. (Gigio Rancilio su “Avvenire”)
Questo pezzo socialmente e individualmente autocritico, scritto di fronte allo sconvolgente fatto dell’uccisione di una donna incinta uccisa brutalmente ed eliminata come fosse un ingombrante rifiuto per far trionfare il proprio spietato e incontrollabile egoismo (nel caso chiamiamolo pure maschilismo), mi sollecita due riflessioni.
La prima riguarda il taglio socio-politico dei commenti scatenati al riguardo. Ci vogliono leggi e pene più severe? Occorre una maggiore vigilanza da parte di magistratura e polizia? È necessaria una più grande ed estesa opera di soccorso da parte della società civile? Tutte cose sacrosante! Ma non illudiamoci che possano bastare. Se una società perde progressivamente l’aggancio ai valori fondamentali, in essa può succedere di tutto. Quando ad un’automobile si rompono i freni può andare a sbattere ovunque. Se non recuperiamo la cultura dei valori siamo spacciati, non tanto la cultura di un tempo, ma quella dei valori di sempre. Qualcuno dirà che sto buttando la palla in tribuna. No, sto solo ipotizzando una lunga e faticosa ripartenza senza l’illusione che il gol possa arrivare da una giocata di classe di Tizio o Caio.
Chiedo scusa a psicologi, criminologi e sociologi: le loro analisi e le loro motivazioni non mi convincono affatto. Mi rifugio nel confronto assai poco scientifico, ma tanto umanamente palpitante, tra i miei genitori. Mia madre così come era rigorosa ed implacabile con se stessa era portata a giustificare chi delinqueva, commentando laconicamente: “Jén dil tésti mati”. Mio padre invece, con arguta ironia non credeva alle assurde giustificazioni riconducibili alla follia di un momento, alla patologia criminale, al delirio psicologico e, in un simpatico gioco delle parti, ricopriva il ruolo di intransigente accusatore: “J én miga mat, parchè primma äd där ‘na cortläda i guärdon se ‘l cortél al taja. Sät chi è mat? Col che l’ätor di l’à magnè dez scatli äd lustor. Col l’é mat!”.
Non mi accontento neanche di buttare la croce addosso alle famiglie, alla scuola, alla società in genere: sono stanco di questo datato scaricabarile sociologico. Certo, le crisi possono creare il brodo di coltura, ma ci vorrà pure qualcuno che cominci a ripulire la pentola a partire dalla propria.
La seconda riflessione è di carattere religioso. Come ho già scritto altre volte, non mi ritengo un fanatico che vede il diavolo aggirarsi nelle nostre strade, ma qualche dubbio atroce mi coglie. Mi risulta che papa Paolo VI, dopo avere dialogato con il professor Vittorino Andreoli, noto criminologo e famoso psichiatra, lo abbia accompagnato cortesemente all’uscita, suggellando in modo inquietante lo scambio di opinioni che avevano avuto: «Si ricordi professore che il diavolo esiste!».
Cos’è che dà un carattere demoniaco a questi episodi. Ce ne sono tante di vicende malefiche, ce ne sono sempre state…Che evoca una presenza demoniaca attiva è la strada senza uscita, una sorta di inevitabile baratro a cui certi fatti conducono. La psicologia, la sociologia, l’antropologia, la criminologia, la medicina, persino la letteratura, ammutoliscono. Ci puzza di zolfo. Il demonio va accanto a chi si mette in condizione di ospitarlo, ma sa giocare anche in proprio.
Non mi sembra una fuga dalle responsabilità umane ed etiche, ma l’ammissione di una debolezza davanti a cui le forze del male vanno a nozze. Il miglior esorcismo credo sia essere coerenti con la propria fede per chi ce l’ha, essere fino in fondo creature umane per chi crede comunque che non siamo su questa terra per fare una folle scampagnata in compagnia dei nostri istinti satanici.