Ho un’idea tutta mia (al limite dell’eresia) dell’azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa, quanto meno a livello di gerarchia. Non ci sarebbe bisogno di ricordare al riguardo una gustosa barzelletta, ma è troppo bella e quindi la riporto di seguito.
“Dio Padre osserva, con attenzione venata da una punta di scetticismo, l’attivismo dei cardinali di Santa Romana Chiesa, ma non riesce a capire fino in fondo lo scopo della loro missione. Con qualche preoccupazione decide di interpellare Dio Figlio in quanto, essendosi recato in terra, dovrebbe avere maggiore dimestichezza con questi importanti personaggi a capo della Chiesa da Lui fondata. Dio Figlio però non fornisce risposte plausibili, sa che sono vestiti con tonache di colore rosso porpora a significare l’impegno alla fedeltà fino a spargere il proprio sangue, constata la loro erudizione teologica, la loro capacità diplomatica, la loro abilità dialettica, ma il tutto non risulta troppo convincente e soprattutto rispondente alle indicazioni date ai discepoli prima di salire al cielo. Anche Dio Figlio non è convinto e quindi, di comune accordo, decidono di acquisire il parere autorevole di Dio Spirito Santo, Lui che ha proprio il compito di sovrintendere alla Chiesa. Di fronte alla domanda precisa anche la Terza Persona dimostra di non avere le idee chiare, di stare un po’ troppo sulle sue ed allora il Padre insiste esigendo elementi precisi di valutazione, minacciando un intervento diretto piuttosto brusco e doloroso. A quel punto lo Spirito Santo si vede costretto a dire la verità ed afferma: «Se devo essere sincero, anch’io non ho capito fino in fondo cosa facciano questi signori cardinali, sono in tanti, ostentano studio, predica e preghiera. Pregano soprattutto me affinché vada in loro soccorso quando devono prendere decisioni importanti. Io li ascolto, mi precipito, ma immancabilmente, quando arrivo col mio parere, devo curiosamente constatare che hanno già deciso tutto!»”.
Nel conclave del 2013 lo Spirito Santo prese i cardinali in contropiede e sfruttò una ripartenza sulla base delle preoccupazioni che essi avevano di recuperare consenso ad una Chiesa alla frutta, in grave crisi di credibilità, dovuta agli scandali, in particolare quello della pedofilia. Fece un perfetto assist a Bergoglio, che segnò un gran gol e mise in salvo la barca di Pietro, che faceva acqua da tutte le parti. I cardinali ingoiarono il rospo e lo votarono senza convinzione, ma con curiale opportunismo.
Bergoglio, a modo suo, è entrato a gamba tesa, forse più a parole che nei fatti, nella mentalità clericale e negli equilibri vaticani e ha messo in qualche subbuglio le sacre stanze. Ha ripiegato, si fa per dire, sul Vangelo, trovando in esso la spinta e la difesa per cambiare registro. In parte c’è riuscito, in larga parte no. Lo dimostra la recente apertura degli armadi, dei cassetti, degli archivi della memoria sulla vicenda di Emanuela Orlandi, che, in un certo senso, potremmo definire la madre di tutti gli scandali, perché in essa trovano una probabile e demoniaca sintesi tutte le pecche ed i vizi della gerarchia, dall’affarismo ai legami col potere, dal sesso ai soldi.
Paradossalmente colui che doveva mettere ordine e dare una regolata agli assetti vaticani, sta rischiando di ributtare, a fin di bene, la Chiesa nell’occhio del ciclone: il marciume latente è tale infatti da rischiare di non uscirne vivi. Forse, anzi senz’altro, papa Francesco ha aspettato troppo a fare pulizia e la sporcizia sta venendo prepotentemente a galla, rischiando di travolgere le scrivanie, i pulpiti e finanche gli altari. Il conto aperto con la verità è tale da creare quel clima di discredito che dieci anni or sono si voleva evitare. Il prezzo da pagare è molto salato e va dato atto a Bergoglio di avere il coraggio, anche se un po’ tardivo, di reimpostare “la fallimentare contabilità etica del vaticano”.
Mio padre dava una interpretazione colorita e semplice delle situazioni aggrovigliate al limite della legalità. Diceva infatti con malcelato sarcasmo: «Bizoggna butär in tazér parchè a s’ris’cia ‘d mandär in galera dal comèss fin al sìndich, tutti invisciè…». Se volete, una sorta di versione da osteria della visione affaristico-massonica della nostra società. Se trasferiamo la boutade paterna dal municipio in Vaticano…
Se si va avanti nella ricerca della verità a trecentosessanta gradi, senza fermarsi di fronte a nessuno, ho l’impressione che diventerà difficile ritrovare il filo della matassa per riuscire a recarsi in chiesa alla domenica e nelle feste comandate. Qualcuno sostiene che in fin dei conti non ci sia niente di nuovo che non si sapesse già o si potesse facilmente immaginare. In parte è vero, ma un conto è parlar di morte un conto è morire.
Adesso si capiscono meglio le difficoltà incontrate da papa Francesco, camuffate con le dispute teologiche, con le difese dell’identità cattolica, con la scusa dell’integrità morale, con la pretestuosa salvaguardia della tradizione. L’attuale papa dà fastidio perché rischia di scoprire “gli altarini e gli altaroni”. Non oso nemmeno pensare a quante pressioni riceverà per ammorbidire i toni, per calmare le acque, per stoppare inchieste compromettenti, per salvare il salvabile. Sono più che sicuro che qualcuno gli griderà: “Qui andiamo tutti in malora!”. Spero che lui abbia la freddezza di rispondere: “Avete nel tempo trasformato il Vaticano in un luogo di malaffare, adesso basta!”.
La curia vaticana è sempre furbescamente salita sul carro del pontefice di turno, pensando di poterlo manovrare, condizionare, persino ricattare: a volte non c’è riuscita, perché è entrato in gioco lo Spirito Santo. Non resta che sperare nella tenuta fisica e pastorale di Bergoglio. Spirito Santo pensaci tu!