Nei giorni scorsi mi è stato chiesto un parere sulla questione Lgbtq+/Orban con relativo e conseguente giudizio sull’atteggiamento del governo italiano e della sua maggioranza, che non ha votato a livello di Parlamento europeo la reprimenda contro l’Ungheria per la sua legge che vieta contenuti omosessuali per i minori.
Cerco di esaminare la questione sul piano etico e sul piano politico, partendo dal 2021, anno in cui fu varata questa discutibile normativa. La riforma approvata a inizio giugno di quell’anno dal parlamento dell’Ungheria, come scriveva il quotidiano “Avvenire”, in realtà è nata per contrastare con più efficacia la pedopornografia integrando alcune norme già in vigore, rischiando tuttavia di equiparare – e questo è il suo limite – orientamenti sessuali omosessuali e condotte e pratiche abiette che configurano veri e propri reati. L’intento della legge è quello di evitare che siano resi disponibili ai minori contenuti non adatti alla loro età o che richiedono una maturità ancora lontana. L’articolo più contestato è il 6/a, che riforma una legge del 1997 sulla “protezione dei bambini”, in cui si legge che «è vietato rendere accessibile alle persone che non hanno raggiunto i 18 anni un contenuto pornografico o che rappresenta la sessualità in modo gratuito o che diffonde o ritrae la divergenza dall’identità corrispondente al sesso alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità».
In un infuocato dibattito al Parlamento Europeo a Strasburgo, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, lanciò parole durissime contro il governo di Viktor Orbán. «La legge – tuonò – usa la protezione dei bambini come pretesto per discriminare le persone per via del loro orientamento sessuale. È una vergogna». Dunque «se l’Ungheria non aggiusterà il tiro la Commissione userà tutti i suoi poteri di guardiano dei Trattati. Dall’inizio del mio mandato abbiamo aperto circa quaranta procedure di infrazione legate al rispetto dello Stato di diritto e se necessario ne apriremo altre». Il governo ungherese reagì e andò avanti imperterrito per la propria strada.
Arriviamo ai giorni nostri in cui quindici paesi dell’Unione Europea hanno deciso di partecipare al ricorso della Commissione Ue contro la legge ungherese anti Lgbtq+. Fra loro Francia e Germania, ma l’Italia non compare nella lista, facendo una netta retromarcia rispetto agli impegni assunti a suo tempo dal governo Draghi.
Torno però sulla materia del contendere dal punto di vista etico. Mi sembra che per uccidere il moscerino del timore dello scivolamento verso una certa ed innegabile confusione sessuale si spari con il cannone dell’intolleranza e della discriminazione verso le diversità: non si può entrare nel negozio di cristalleria della corretta educazione alla sessualità con il garbo di un elefante spaventato dall’omosessualità. Fuor di metafora non è ammissibile nascondere od esorcizzare la realtà con la paura di esserne contaminati. È un approccio retrogrado che oltre tutto finisce per essere un boomerang e creare un clima diseducativo di conflittualità in campo sessuale. L’omosessualità non può essere presentata come una colpa, la transessualità non è un capriccio di pervertiti, parlarne non è pornografia da punire severamente.
Certo, occorre equilibrio e senso della misura, cosa che purtroppo i movimenti Lgbtq+ spesso dimostrano di non avere, lasciandosi andare all’esibizionismo più che al rispetto delle diversità, alla provocazione più che alla costruzione di un clima di tolleranza e di convivenza civile. Il proibizionismo non ha mai avuto effetti positivi sulla coscienza individuale e collettiva: cosa vuol dire vietare di spiegare ai giovani che esiste l’omosessualità e che la sessualità non è una gabbia omologata in cui rinchiudere schematicamente tutto e tutti? Per evitare il peggio si finisce col generalizzarlo e col sovrapporlo al meglio.
C’è però da fare anche un discorso politico. Non è infatti un caso se questi atteggiamenti puritani in campo sessuale si inquadrano in derive autoritarie come nel caso dell’Ungheria e non solo. Occorre riflettere al riguardo per capire come tutti i regimi illiberali usino l’ansia dell’ordine sessuale quale chiavistello per instaurare il disordine democratico. La storia lo insegna. Quindi il governo italiano non si deve chiudere in una sorta di splendido isolamento perbenista (è inutile nasconderlo, siamo nel mirino, vedi censura sul discorso del mancato riconoscimento della cittadinanza ai figli provenienti da famiglie omogenitoriali), rispolverando il concetto del “molti nemici molto onore”, perché non ce lo possiamo permettere. Non si tratta di rinunciare all’autonomia di giudizio, ma come non rilevare che la cattiva compagnia di Orban e c. non ci aiuta affatto all’interno della Ue laddove questi Stati dimostrano totale incapacità di vivere la realtà dell’Unione europea: dall’immigrazione ai meccanismi di solidarietà economico-finanziaria, dai rapporti con la Russia ai diritti civili, si mettono di traverso, funzionando da autentici guastatori.
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei: vale per i nostri rapporti con questi falsi, scomodi ed inopportuni alleati. In conclusione non isoliamoci pensando di trovarci a nostro agio più a Washington (vedi Nato e guerra russo-ucraina) e Budapest (vedi pruriti antieuropei e antistorici) che a Bruxelles e Strasburgo. Siamo in Europa, ci dobbiamo restare convintamente e costruttivamente senza rinunciare al nostro contributo critico, ma anche senza fughe all’indietro. Nel governo Meloni e nella maggioranza che lo sostiene peraltro non tutti sono d’accordo “sull’orbanismo” e sull’isolazionismo di stampo trumpiano. Da sempre Lega e FdI fanno a gara nello smarcarsi più dialetticamente che concretamente dall’UE, mentre i berlusconiani intendono rimanere agganciati al treno europeo (salvo l’imbarazzante putinismo del loro leader). Ma questo è un altro discorso…e alla fine il potere li mette tutti d’accordo (qualche crepa si sta aprendo sulle nomine nelle aziende pubbliche), mentre l’Europa, quella che conta, ci sta a guardare e prima o poi ci presenterà il conto.