S.o.s Meloni a Draghi, save our sgovernment

Meloni esclusa dalla cena all’Eliseo con Zelensky: “L’ennesimo sgarbo di Macron”. L’entourage della premier punta il dito contro Parigi, ma cresce il timore di essere isolati. Il Pd sottolinea il confronto con Draghi, che invece c’era: anche su Kiev siamo ai margini (La stampa).

Quando Giorgia Meloni, poco dopo il tramonto, vola a Bruxelles per il consiglio europeo, a Parigi sta per cominciare la cena fra Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Volodymyr Zelensky.  Lei, la premier italiana, non è stata invitata. Né il presidente francese le aveva detto nulla di quest’appuntamento l’ultima volta che si erano sentiti al telefono, lunedì scorso (La Repubblica).

C’era da aspettarselo! A livello europeo, con il governo di destra, siamo stati retrocessi in serie B. I francesi non aspettavano altro e gli elettori italiani hanno loro fornito l’occasione su un piatto d’argento. Se da una parte non hanno tutti i torti a diffidare dei nostri attuali governanti, incerti, divisi, inaffidabili e incapaci, dall’altra parte hanno torto marcio, perché l’Italia, nonostante tutto, non merita di essere tagliata fuori dal gioco europeo.

Tedeschi e francesi hanno dovuto sopportare obtorto collo la primazia di Mario Draghi e, quando gli italiani lo hanno mandato a casa, hanno tirato un sospirone di sollievo sicuri di poter giocare al gatto col topo con Giorgia Meloni.

È inutile che Giorgia Meloni giudichi inopportune le iniziative franco-tedesche nei confronti di Zelensky, può anche avere ragione, ma la sua situazione è debole per motivi storici, politici e personali. Non le è bastata la frettolosa conversione al draghismo per riscattare un passato fatto di populismo e sovranismo. D’altra parte anche in Italia la recente legge di bilancio ha sì seguito pedissequamente le orme draghiane, ma non appena è uscita dal seminato dell’agenda Draghi ha combinato autentici disastri sociali, giudiziari e finanziari. All’estero lo sanno e si confermano nei loro dubbi sulla serietà e sulla vocazione europeista dell’attuale governo italiano. Intendiamoci, non è che francesi e tedeschi siano europeisti autentici, ma a loro viene comodo relegarci in una sorta di limbo europeo.

Quanto ai rapporti con l’Ucraina non ha senso la penosa gara meloniana “all’ucrainismo”, anche perché non sono comunque battibili le saghe retoriche del Parlamento Europeo: così facendo il governo italiano non recupera credibilità globale, ma si sbilancia ulteriormente a futura memoria europea ed internazionale. La debolezza congenita del governo Meloni in politica estera ha solo una possibilità di riscatto: puntare e scommettere su una presidenza della Repubblica di Mario Draghi (lui sì che se ne intende!). Il presidenzialismo della destra non è motivato dal punto di vista istituzionale, ma potrebbe essere un escamotage tattico per portare Draghi al Quirinale con un voto popolare innescato dalla destra e ingoiato dalla sinistra. E così per sette anni Giorgia Meloni avrebbe le spalle coperte. Poi si vedrà.

Draghi non sarebbe insensibile a queste sirene, anche se, una volta insediatosi al Quirinale con un larghissimo voto popolare, potrebbe fregarsene altamente di Meloni e Cocomeri per diventare l’asse di equilibrio della politica italiana. A quel punto i partiti che lo hanno tolto di mezzo, lo dovrebbero convintamente accettare in tutto e per tutto, i partiti che lo hanno fin troppo appoggiato non potrebbero che continuare a farlo: si scatenerebbe la gara al draghismo e la politica non so dove andrebbe a finire.  L’operazione Draghi non sarà più chirurgica così come l’aveva impostata Sergio Mattarella, ma esistenziale per almeno quattordici anni. È la fantapolitica o, per meglio dire la non-politica, stupido!