I sogni del ratzingerismo calante e del bergoglionismo crescente

Morto un papa cambia la Chiesa! Forse potrebbe succedere proprio che, paradossalmente, l’evento scatenante nostalgie passatiste diventi invece il punto di rottura verso un futuro imprevedibile quanto rivoluzionario.

La morte di Joseph Ratzinger, checché se ne dica, costringe la Chiesa a voltare pagina, andando addirittura ben oltre le già importantissime novità introdotte da papa Bergoglio: il papa ritornerà vescovo di Roma, una sorta di primus inter pares, ben lontano dal tradizionale e infallibile tuttologo; finirà il pur affascinante e travolgente dogmatismo per lasciare spazio alla ricerca di modi nuovi di incarnare il Vangelo nella vita; i cardinali lasceranno spazio e ruolo ai vescovi, i veri interlocutori del popolo di Dio; il clericalismo verrà quanto meno ridimensionato, un po’ per necessità un po’ per virtù e sostituito da una crescente responsabilizzazione del laicato; il presbiterato prescinderà finalmente dall’obbligo celibatario; il ruolo della donna diventerà fondamentale in una Chiesa rivoltata come un calzino; l’apertura al sociale sarà sempre più la cifra caritatevole della comunità ecclesiale (la linea Bergoglio prenderà sempre più piede) ; crescerà l’insofferenza sul piano pastorale verso la rigidezza mostrata sui temi d’etica sessuale («vogliono mettere tutto il mondo in un preservativo», si dice che così commentasse Bergoglio con gli amici alla vigilia del conclave che elesse papa Ratzinger).

Può sembrare il libro dei sogni di un povero cristiano, ma può darsi invece che, stranamente, l’esaltazione della tradizione, concomitante alla morte di Ratzinger, possa diventare la tomba della conservazione intesa come difesa a denti stretti del passato. L’azione dello Spirito Santo non consiste forse proprio nel buttare all’aria gli schemi?

Il sinodo che tende a vivacchiare ed a splendere di luce riflessa potrebbe rappresentare l’occasione per innescare meccanismi partecipativi e decisionali almeno innovativi se non rivoluzionari. Paradosso dei paradossi: un sinodo che nasce dalle ceneri di un papa emerito conservatore. Non fu forse così per il concilio Vaticano II? Non nacque dalle intuizioni di un papa vecchio, emerito nelle intenzioni di chi lo aveva scelto, che doveva essere manovrato e riservato alla mera transizione?

Innanzitutto è auspicabile che sia finita la visione unilaterale e verticistica del “papacentrismo”: la Chiesa Cattolica è una comunità ed al suo interno esistono carismi (servizi) fra i quali c’è anche quello del Vescovo di Roma. A tutti i livelli, la Chiesa deve esprimere, all’interno e all’esterno, la piena e totale adesione allo stile evangelico, liberato dalle incrostazioni della tradizione e dai lacci dell’esercizio del potere. Quindi la procedura della scelta e l’impostazione dell’alta funzione papale nonché di quella episcopale devono essere rivisti sostanzialmente e formalmente in un bagno di partecipazione e condivisione coinvolgente: bisognerebbe partire dall’assoluto primato della dimensione  pastorale rispetto a quella istituzionale; al centro dello stile ecclesiale si dovrebbe porre la collegialità; la vita dell’istituzione e la stessa pastorale andrebbero “sclericalizzate”, liberate dall’affarismo, ridotte all’essenziale in senso economico ed organizzativo e subordinate alle esigenze evangeliche; occorrerebbe puntare al forte coinvolgimento del laicato ed alla imprescindibile valorizzazione della presenza femminile.

Occorre, anziché autocompiacersi della santità sbandierata ad ogni piè sospinto, prendere coscienza della fragilità cronica di una Chiesa incapace di leggere i segni dei tempi e di andare incontro ai problemi dell’uomo, della donna, della società, del mondo. Il vero dramma è una Chiesa che si piange addosso, che si guarda l’ombelico, che arranca rispetto alle sfide del mondo contemporaneo, che si rifugia nello sterile dogmatismo e nel penoso rigorismo, che si limita a rammaricarsi della scarsità degli operai nella vigna e della propria appassita capacità all’impegno evangelico, che vive spesso di campanilismo ecclesiale o di retrograda contrapposizione alla modernità, che non rispetta la laicità dello Stato, che si compromette col potere, che difende ipocritamente la vita con i principi irrinunciabili senza condividere i drammi delle persone.

Occorre finalmente raccogliere le provocazioni del Concilio Vaticano II: la collegialità vissuta come partecipazione di tutti, la centralità del Popolo di Dio, l’apertura al ruolo della donna nella pastorale e nei sacramenti, una visione nuova e gioiosa della sessualità nel rispetto delle tendenze personali e intime e, soprattutto, una Chiesa povera, trasparente a livello economico, esperta in comprensione, quella di Gesù, e non in condanne e anatemi.

Non si può evitare di toccare gli aspetti più scabrosi della vita della Chiesa: gli scandali della pedofilia riconducibili a comportamenti molto diffusi tra i sacerdoti in diverse parti del mondo e alle inchieste sull’omosessualità viziosa e mercenaria praticata nelle strutture curiali. Il discorso sta nel rapporto tra magistero ecclesiale e sfera della sessualità. Sono stati creati assurdi imbarazzi e mantenuti storici pregiudizi: dalla colpevolizzazione della masturbazione a livello adolescenziale alla esorcizzazione dei rapporti prematrimoniali, dalla condanna del divorzio con la conseguente emarginazione sacramentale dei divorziati, alla demonizzazione dell’aborto sempre e comunque, dal rifiuto aprioristico del controllo delle nascite a quello paradossale  dell’uso del preservativo anti-aids, dalla sottovalutazione delle unioni di fatto alla demonizzazione dell’omosessualità, dalla testarda difesa del celibato sacerdotale alla visione formalistica e statica del concetto di castità. Parecchi Padri della Chiesa aborrivano la sessualità, ne erano inorriditi e terrorizzati. L’atto sessuale era follemente bollato nella sua esecrabile impurità, la riproduzione doveva avvenire senza provare alcun piacere, come atto razionale e scevro da ogni passionalità. Una storia simile spiega molte delle gravi devianze, anche attuali, da parte di uomini di Chiesa. Sessuofobia fa rima con sessuomania e con viziosa omosessualità, purtroppo di casa in Vaticano e ambienti collegati. La forte ed ingiustificata ostilità verso l’omosessualità dichiarata e vissuta in una tensione sentimentale copre la sporca indulgenza verso l’omosessualità dell’intrigo e del favoritismo mercenario. Occorre quindi ripartire da un concetto aperto della sessualità vissuta come dono di Dio, come espressione di amore e dono, come talento da impiegare al meglio secondo coscienza. Basta con gli assurdi e vessatori codici di comportamento!

La forte presa di coscienza ed il coraggio del dialogo interno ed esterno saranno il miglior viatico per un processo che sappia promuovere un rinnovamento di metodo e di merito. La Chiesa ha bisogno di cambiare Non basta pregare e tacere. Credere e obbedire. Ogni cristiano ed ogni comunità devono portare il proprio contributo critico alla vita della Chiesa. All’attesa si devono accompagnare la riflessione, la provocazione, la protesta, la proposta, l’impegno, la testimonianza, la condivisione.