Troppi maestri per lo scolaretto piddino

Michela Murgia su “La Stampa”: “Caro Letta, dicci qualcosa di sinistra”. L’opposizione tace di fronte al nuovo fascismo governativo, impegnata nel suo Risiko interno. Noi intellettuali siamo rimasti soli e stanchi di fare da supplenti morali a un partito incolore.

Carlo De Benedetti in una intervista al “Corriere della sera”: Perché i dem abbandonino la “borghesia che hanno conquistato” e ritornino ad abbracciare le cause del progressismo, sarà necessario che non siano “schizzinosi” e appoggino la candidata promossa da Carlo Calenda, vale a dire Letizia Moratti in Lombardia.

Sono i due estremi della critica al PD, che rischiano di toccarsi.  La vita politica italiana preferisce infatti snobbare gli inquietanti allarmi che suonano a destra per ripiegare sulla clamorosa inconsistenza della sinistra. Il dibattito è attorcigliato attorno alla sconfitta elettorale del partito democratico ed alla conseguente ed impellente necessità di rivederne identità, strategia, tattica e classe dirigente. Su questo argomento molto gettonato si stanno esercitando fior di giornalisti, commentatori, intellettuali, politologi, imprenditori oltre a politici di sinistra, destra e centro. Tutti vogliono insegnare al PD a fare il PD.

Alcuni partono dalla fine della lezione, vale a dire dal nuovo leader e dal gruppo che dovranno prendere in mano le redini del partito; altri dalla precipitosa tattica elettorale regionale (leggi appoggio alla candidatura  di Letizia Moratti a governatore della Lombardia); altri dalle alleanze parlamentari da tentare per trovare un minimo di coordinamento nell’opposizione al governo di destra (leggi scelta tra essere cannibalizzati dal M5S, meglio dire Giuseppe Conte, oppure essere bacchettati da Italia viva-Azione, meglio dire Renzi-Calenda); altri dall’analisi del retroterra socio-culturale del partito (leggi l’improba gara di rispolverare l’interclassismo democristiano, navigando tra la bonaccia salottiera dell’odierna borghesia e le disperate tempeste conflittuali delle popolari povertà); altri ancora dalla genealogia del partito per verificarne il Dna e le insuperabili tare ereditarie (leggi un partito morto ancor prima di nascere, soffocato nella culla, in costante sala di rianimazione, in sala del commiato, in rinnovata e disperata nuova gestazione).

Quando un soggetto è gravemente ammalato, trova spinta e fiducia se ha intorno a sé una equipe di diagnostici che analizzano le cause della sua malattia, ma soprattutto di medici che prescrivono le terapie appropriate e seguono attentamente il decorso della malattia per verificarne l’andamento e il processo di guarigione. Nel caso del PD, troppi sono gli analisti in contrasto fra di loro e pochi i medici in grado di scegliere i farmaci con i relativi tempi e modi di somministrazione. Di conseguenza il malato si deve arrangiare con il rischio di peggiorare la situazione, oscillando fra i pannicelli caldi congressuali, gli interventi di chirurgia plastica ed estetica e le radicali ed invasive ma incertissime operazioni di chirurgia d’urgenza e generale.

Avevo salutato a suo tempo la nascita del partito democratico come la sintesi della mia esperienza di base quale cattolico democratico dialogante con i comunisti. Purtroppo, strada facendo, da una parte si è appassito l’impegno politico dei cattolici di sinistra, dall’altra parte si è “castizzata” la dirigenza post-comunista: risultato (quasi) finale, un partito incapace di interpretare e rappresentare le istanze progressiste, timoroso della radicale e imprescindibile fedeltà ai valori della sua storia e ricercatore di un improbabile riformismo, inchiodato al pragmatismo emergenziale ed al modernismo comunicativo.

In un simile prato segato, non c’è modo di nascondersi (sarebbe necessario per riprendere il filo socio-culturale) e tutto è possibile (per apparire senza essere). Hanno ragione tutti: Michela Murgia con la sua ansiosa e sacrosanta ricognizione etica, Carlo De Benedetti con il suo impaziente pragmatismo politico. In mezzo Enrico Letta a (non) fare da parafulmine.

In questo momento storico gli italiani non riescono a turarsi il naso e scegliere la sinistra, preferiscono fiutare la destra. Personalmente mi sono rifugiato in una sorta di anosmia politica. Se fossi un elettore lombardo non avrei infatti il coraggio di aderire alla proposta di De Benedetti.  “Per risollevarsi si punti quindi su Letizia Moratti. Almeno sul sostegno, in coppia con il Terzo polo. Anche perché “ha avviato una profonda revisione del suo passato berlusconiano”. Nonostante l’ingegnere – che da ragazzo, racconta, andava al mare nell’hotel di proprietà della famiglia Moratti – abbia “idee politiche da sempre opposte alle sue”, nella ex vicepresidente lombarda ci crede: “Le riconosco professionalità, capacità, onestà, passione, ambizione: tutte qualità”.

Resto fermo al concetto della politica intesa come mediazione ai livelli più alti: pur con tutto il rispetto e finanche l’ammirazione per la candidata non è il caso del compromesso morattiano. Non è però nemmeno la sdegnosa masturbazione culturale davanti agli enormi problemi di chi soffre veramente e non può aspettare l’eiaculazione tardiva di un PD in evidente disfunzione erettile. E allora? Forse saranno i disastri della destra a salvare la sinistra. Forse sveglieranno la sinistra i cortei studenteschi in tutta Italia per una giornata ribattezzata dagli studenti stessi “No Meloni Day”.  Nel frattempo non resta che soffrire…