Ma il Vangelo non si lascia sospendere

La notifica, firmata dal vescovo, monsignor Luigi Ernesto Palletti, è arrivata il 3 ottobre: la diocesi di Spezia ha sospeso Don Giulio Mignani, 52 anni, prete di Bonassola, Montaretto, Framura e Castagnola, in tutto, forse, 1.500 abitanti. Non potrà più celebrare messa e i sacramenti, e il motivo scritto nero su bianco è che «nel corso degli anni più volte ha rilasciato esternazioni pubbliche, apparse anche su vari quotidiani e interviste televisive, nelle quali ha ripetutamente sostenuto posizioni non conformi all’insegnamento della Chiesa». La notizia si è sparsa, e Don Giulio riceve valanghe di telefonate e messaggi di solidarietà su Whatsapp.

Mi sono documentato su internet, ascoltando soprattutto con grande commozione la garbata intervista che don Giulio Mignani ha rilasciato a “Good Morning Genova”. La vicenda risveglia in me particolari ricordi personali, l’amicizia avuta con don Luciano Scaccaglia e l’ammirazione per i cosiddetti “pretacci”, vale a dire i preti che hanno il coraggio di dissentire dalla linea ufficiale del magistero ecclesiastico per mettere in primo piano il bene delle persone anche a dispetto dei dogmi e dei tradizionali principi astratti.

Di questo sacerdote mi colpisce l’umiltà, la disponibilità al dialogo e al confronto, il rispetto delle opinioni altrui, il fermo ancoraggio al Vangelo e alla propria coscienza, la visione di una Chiesa aperta, pluralista e accogliente. Mi piacerebbe tanto incontrarlo per esprimergli tutta la mia solidarietà. I suoi parrocchiani lo stanno facendo con grande equilibrio e senso di responsabilità.

Riporto di seguito alcuni passaggi di un’intervista rilasciata da don Mignani a Vanity Fair. In essa si vede e si intravede il pensiero di questo sacerdote nel merito delle questioni da lui coraggiosamente affrontate e nel metodo adottato nella sua azione pastorale.

“Tutto è nato dal clamore mediatico dopo la domenica delle Palme del 2021, quando ho scelto di non benedire le palme come protesta per il responsum della congregazione per la Dottrina della fede che aveva vietato la benedizione delle coppie gay. Io mi dicevo: in chiesa abbiamo benedetto di tutto, anche le armi e le guerre in passato. E non vogliamo benedire un amore vero?

Penso che la Chiesa, e l’ho detto anche al vescovo, abbia fondato la sua dottrina nel corso dei secoli, e ormai è datata. Bisogna lasciarci interpellare dalle nuove conoscenze. Per citare una parabola di Gesù, oggi non abbiamo una pecorella smarrita e le altre 99 nel recinto, ma il contrario. Le persone si rendono conto che si tratta di cose superate.

Sono prete da 23 anni, ho formato catechisti e ho fatto catechesi per gli adulti. Nella mia esperienza pastorale, o nelle confessioni, ho raccolto molte di queste perplessità e critiche. Ma ho fatto anche di più. Ispirato dal sinodo di Papa Francesco che parte dall’ascolto delle persone, ho creato un questionario, che poi ho diffuso su Internet, dove alle persone si chiedeva, in forma anonima, di dire che cosa ne pensavano in materia di celibato dei preti, aborto, omosessualità, sacerdozio delle donne, eutanasia. Ho raccolto 434 schede e ho fatto un dossier analizzandole. Proprio perché non volevo fossero solo chiacchiere. L’ho inviato al vescovo, al Sinodo, e anche a Papa Francesco, che mi ha risposto lo scorso 7 aprile. La lettera veniva dalla Segreteria di Stato, non so l’abbia scritta lui. Però mi si ringraziava e si auspicava che continuassi nell’ascolto.

Prendiamo il caso delle coppie omosessuali: la Chiesa non condanna l’omosessualità ma i rapporti omosessuali. Che è come dire a qualcuno che va bene se hai fame, ma non puoi mangiare. L’accoglienza di queste persone non è mai fino in fondo. Gesù ci ha insegnato a non giudicare i peccatori, e va bene se vedo un bambino che ruba al supermercato e lo accolgo. Non se uno ama. Cioè è il paradigma che va cambiato: si considera ancora l’amore omosessuale un peccato, un errore, quando invece è la dimensione fondamentale della vita di queste persone. La Chiesa dice ovunque che non bisogna discriminare le persone omosessuali, eppure un omosessuale non può entrare in seminario. Io sono eterosessuale, ma che differenza c’è tra me e un prete omosessuale se a entrambi la Chiesa chiede il celibato? Siamo i primi che discriminano gli omosessuali.

Per quanto concerne l’eutanasia, ho partecipato a un convegno a Genova con Marco Cappato, anche perché nel famoso dossier c’erano varie domande sul fine vita. Io stesso mi sono posto la domanda: è lecito essere d’accordo da credente? Io penso di sì, anche perché la scelta proviene da una visione spirituale e non materiale della vita. Se la vita è un dono va rispettato e sacro ma che cos’è la vita umana? Solo la vita biologica? Esiste una vita spirituale, e ciò che la caratterizza è la sua capacità di autodeterminazione. Devo rispettare allora chi, di fronte a una sofferenza enorme, vuole viverla fino in fondo, ma anche chi non ce la fa. Una dottoressa palliativista diceva proprio in quel convegno che possono servire, ma non sono sufficienti in tutti i casi. È la persona stessa che sa e può decidere per il suo meglio.

Cinque anni fa avevo già le valigie pronte, avrei voluto lasciare il sacerdozio. Non solo la gerarchia non mi voleva come sono, e c’era anche una parte di fedeli, che io reputo minima, che pure non mi voleva così come sono. Ero scoraggiato. Ma poi non potevo lasciare sole le persone che mi contattavano, e che mi dicevano che le mie parole le aiutavano, gente che è venuta da lontano per incontrarmi e dirmi il bene che avevo fatto loro. Se la bontà dell’albero si vede dai frutti, per usare un’immagine biblica, vedevo tanti frutti positivi. E poi non volevo dare ragione a chi voleva una Chiesa omologante, ci sono tanti modi di avere fede. Io non mi dimetto.

Mi hanno contattato diversi prelati totalmente d’accordo, ad esempio, sulle coppie omosessuali. Ma la maggioranza non lo dice, perché sa che se esternasse verrebbe sospesa come me. Dicono allora che aiutano senza clamori, persona per persona, senza prendere posizione pubblicamente. “Se siamo dentro aiutiamo, se siamo fuori no”, dicono. Eppure a volte bisogna prendere posizione davanti a tutti, per dare una nuova direzione. É triste il tappare la bocca, il non voler cambiare, non accettare voci diverse all’interno della Chiesa. Poi però penso: se questo rumore è un balsamo per alcuni, ben venga il clamore mediatico. Ho un sogno: che un giorno l’accoglienza dell’amore omosessuale la dicesse un Papa. Quanto sarebbe potente?”

A questo punto credo che il miglior commento a questa vicenda lo si possa lasciare alle parole del Cardinale Carlo Maria Martini, morto da diversi anni, ma vivo nel cuore pulsante della comunità cristiana. Grande studioso della Bibbia, pastore e profeta. Sulle orme di Gesù, partendo dalla giustizia quale conseguenza della fede, era aperto alle persone, non facendosi mai imprigionare dagli e negli schemi,  con una grande attenzione ai non credenti, ai poveri, ai malati, agli indigenti, agli stranieri, agli omosessuali, alle coppie di fatto, ai divorziati risposati, ai detenuti, financo ai terroristi; affrontava serenamente il dialogo con le altre religioni, si poneva, a cuore aperto, davanti alle problematiche sessuali, alla bioetica, all’eutanasia, all’aborto, all’accanimento terapeutico, all’uso del preservativo, al sacerdozio femminile, al celibato sacerdotale. Sempre pronto all’incontro con gli “altri”, con tutti. (Così lo ricordava don Luciano Scaccaglia e penso lo ricorderà anche don Giulio Mignani).

«Io vedo nella Chiesa di oggi tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore?».

«Non è male che due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili».

«Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale: la Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura dei media?».

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Tre strumenti contro la stanchezza della Chiesa:

  • Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento.
  • Il secondo è la Parola di Dio: è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti. Né il clero né il diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo.
  • Il terzo strumento sono i Sacramenti. Non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita… Io penso a tutti i divorziati, alle coppie risposate, alle famiglie allargate… hanno bisogno di una protezione speciale».

«Una donna abbandonata dal marito trova un compagno che si occupa di lei e dei tre figli. Il secondo amore riesce. Questa famiglia non deve essere discriminata. L’amore è grazia, l’amore è dono. La domanda se i divorziati possono fare la comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei Sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

In cauda venenum, poco caritatevole ma molto spontaneo: Monsignor Luigi Ernesto Palletti, il solerte vescovo di Spezia, se fosse coerente, dovrebbe sospendere a divinis la memoria del cardinal Martini. Gara dura! Boccaccia mia statte zitta!