Ha suscitato un certo scalpore l’intervento di Mario Draghi al meeting di Rimini: chi lo ha considerato una sorta di testamento politico, chi una lezione impartita alla politica italiana e non solo, chi una fideiussione rilasciata all’Unione Europea e alla Nato, chi una iniezione di fiducia al Paese.
Quanto allo scalpore provocato, non è difficile farsi ascoltare in mezzo all’assordante silenzio dei partiti e dei loro rappresentanti, basta poco per ingentilire e impreziosire la tavola, tanta è la pochezza delle pietanze servite.
Escluderei drasticamente il discorso testamentario: non mi pare proprio che Draghi, politicamente parlando, abbia intenzione di morire, vale a dire di ritirarsi a vita privata. Il suo persino esagerato dinamismo da premier dimissionario porta ad escludere questa eventualità: è in sella e intende rimanervi, perché vi ha preso gusto, il potere è un incentivo fantastico.
Quanto alla lezione offerta ai partiti, i destinatari sono piuttosto recalcitranti e il professore non ha una vera e propria dimensione politica: parla bene da governante, ma la politica non è fatta solo di governo. Riesce ad infiammare (?) la gente parlando al suo cervello, per il cuore è meglio soprassedere. E poi, umiltà e sobrietà sono altre cose…
Draghi parla a nuora Italia perché suocera Europa intenda, lancia a livello europeo un messaggio rassicurante e tranquillizzante sulla continuità dei rapporti instaurati (leggi PNRR), degli equilibri raggiunti (vedi autorevolezza conquistata), della vocazione europeista (inossidabile rispetto agli euroscetticismi, ai sovranismi e populismi in emersione), della scelta occidentale (le scampagnate salviniane sono semplici diversivi dialettici), delle prospettive economiche e finanziarie (debito pubblico e Pil non vanno poi così male…), della forza di un popolo che merita rispetto e considerazione (le troike possono aspettare…). Draghi sta prestando una fideiussione al mondo intero, firmata da lui stesso.
Il Paese, fortemente distratto e fuorviato dalle convulse vacanze in corso, accoglie con favore i fervorini draghiani, salvo rivolgersi politicamente a ben altri personaggi: le contraddizioni sono evidenti. Come facciano ad andare d’accordo la crescente simpatia verso Giorgia Meloni con il forte innamoramento verso Mario Draghi non è dato capirlo. Forse il fidanzato d’Italia è talmente sicuro di sé da sopportare tranquillamente le scappatelle destrorse, pronto ad accogliere i trasgressori dall’alto della sua magnanimità.
Il leitmotiv draghiano assomiglia molto a quello gattopardiano del “cambiare tutto per non cambiare niente”. Sembra dire: “Divertitevi pure con i partiti, poi tanto dovrete venire a mamma, dovrete passare dalle mie parti. Nel frattempo io sono disposto a coprirvi. Semmai facciamo così: finito il divertimento elettorale, prima di fare qualsiasi governo, eleggetemi presidente della Repubblica (Mattarella permettendo). Sarà un modo, forse l’unico, per mettere d’accordo un po’tutti: a destra troveranno un appoggio per non sbandare, a sinistra un appiglio per non tracollare, gli italiani un nonno di lusso su cui contare. E la Costituzione Italiana? Per adesso la lasciamo stare, poi si vedrà. Il presidenzialismo? Lo incarno io con o senza elezione diretta. Non lamentatevi, mi avete voluto e adesso mi dovete sopportare (si fa per dire…)”.