Mio padre, ogni volta che ascoltava notizie sullo scoppio di qualche focolaio di guerra reagiva auspicando una obiezione di coscienza totalizzante: “Mo s’ pól där ch’a gh’sia ancòrra quälchidón ch’a pärla äd fär dil guèri?”. Con questo interrogativo, molto più profondo di quanto possa sembrare, sintetizzava il suo pensiero in materia bellica. Da ragazzo lo considerava un sognatore, oggi lo ritengo un maestro di vita ed i suoi insegnamenti, giorno dopo giorno, diventano sempre più importanti e attuali, quasi profetici.
“Ucraini e russi sono entrati in guerra ammalati dei loro particolarismi, di nazionalismo orgoglioso gli uni, di imperialismo brutale gli altri. Per due, tre mesi questi particolarismi e l’odio che la sofferenza fa crescere nei confronti del nemico, di chi ha aggredito e specularmente di chi, ostinato, non si arrende, resiste, mi uccide, sono stati sufficienti per motivare i combattenti, per sorreggere la propaganda. Ma a contatto delle verità eterne e immutabili che la sofferenza sociale della guerra rimette ferocemente in luce giorno dopo giorno, gli uomini nelle trincee del Donbass e di Cherson sentiranno che il cerchio del loro orizzonte impedisce loro di pensare e di agire, li soffoca in una atmosfera assassina di morte e di inutili volontà. Il senso della vita, della morte, dell’infinito, del dolore li fa guardare oltre i limiti delle cose, oltre gli slogan degli uomini che li hanno condotti alla guerra e li vogliono rinchiudere fino alla sempre più remota vittoria. La guerra infame farà loro sentire il sapore della carne e del sangue, della miseria umana e scopriranno che la guerra deve finire. La fine rivoluzionaria di questa guerra criminale avverrà quando i combattenti si ribelleranno, insieme, alla sofferenza. Sono loro che gettando contemporaneamente i fucili possono rompere il cerchio dei pregiudizi, degli interessi dei simboli vani, delle bugie. Sono loro che rifiutando di combattere spazzeranno, con il soffio del loro possente respiro di vittime, di sacrificati, il cerchio degli interessi che a Mosca e a Kiev non sono i loro”.
È quanto scrive Domenico Quirico in una sua profonda analisi sulla guerra in Ucraina, pubblicata sul quotidiano La stampa. Mio padre non aveva l’eloquenza di questo giornalista, che ama andare contro corrente o meglio contro il pensiero unico che ci propone la guerra come male necessario, ma sostanzialmente la pensava così: non si aspettava la pace dalle conferenze dei potenti e/o dagli intrighi dei diplomatici, la esigeva dalla ribellione degli uomini coinvolti loro malgrado nei massacri reciproci. Mi permetto di ritenere che si tratti di qualcosa di più rispetto al pacifismo classico, vale a dire la dottrina diretta a dimostrare la possibilità, l’utilità e il dovere dell’abolizione della guerra. È il rifiuto atavico, personale, umano, religioso, etico della guerra: un atteggiamento che va addirittura oltre o per meglio dire previene gli appelli alla pace.
“Papa Francesco, come il suo predecessore che, durante la Prima guerra mondiale invocò invano re e presidenti perché fermassero l’inutile strage, sbaglia i destinatari dei vibranti, sempre più sconsolati appelli alla pace. Non sono Putin e Zelensky, o Biden, che possono spezzare il cappio della guerra. Gli uomini di buona volontà a cui deve rivolgersi, scavalcando, ignorando i capi, sono gli uomini disperati, sporchi, esausti, straziati delle trincee. Il popolo della guerra. Dopo mesi di sofferenza, di avversione alimentata tra loro, ora ucraini e russi hanno una cosa in comune: la sofferenza. Ora non credono più a quello che è accaduto, sanno che ancora una volta tutto è avvenuto per un errore di calcolo criminale. Tutti poi hanno giocato una parte, aggressori e aggrediti, guerrieri e pacieri”.
Quirico offre qualche utile suggerimento al Papa, l’unico personaggio dotato di credibilità in materia. Gesù che predicava la non violenza, anzi l’amore per i nemici, alle folle e non ai potenti di turno, dando per scontato che non fossero in grado di accogliere i suoi inviti: fu persino equivocato dalla gente che lo contestò come finto Messia mentre gli affaristi della guerra lo mettevano in croce. Forse nella sua ansia di andare sul posto, vale a dire in Ucraina e in Russia, sta proprio il desiderio impellente del Papa di appellarsi alle persone per distrarle dal criminale gioco al massacro in cui vengono coinvolte loro malgrado.
A ben pensarci non è un caso che il segretario generale dell’Onu sia stato beffeggiato dai potenti: Putin, tanto per gradire, gli ha inviato una bomba, Biden, tanto per non essere da meno, gli ha risposto picche stanziando carri armati a più non posso. Forse nel Papa la gente e i combattenti coglieranno la condivisione e quindi gli riserveranno un’accoglienza diversa di cui anche i potenti saranno costretti a tenere conto.