E la chiamano politica

È chiarissimo e indiscutibile che il governo Draghi, a prescindere dalle sue effettive qualità e dai suoi concreti risultati, non abbia alternative, certamente fino alla prossima scadenza elettorale, ma probabilmente anche dopo e fino a data da destinarsi.

La politica politicante, almeno nelle intenzioni di Sergio Mattarella, avrebbe dovuto approfittare di questa lunga pausa per una seria riflessione sul suo modo d’essere, che, a giudicare dall’affluenza alle urne, non piace proprio agli italiani. Invece non sta andando così, anzi sta esattamente avvenendo il contrario: la pausa è diventata sempre più una sorta di allenamento parallelo e fuorviante, che non c’entra niente con i problemi, ma tenta disperatamente di impostare un regolamento di conti fra i partiti e all’interno dei partiti.

Il caso più evidente e fastidioso è quello dei cinquestelle impegnati non tanto a verificare se il governo Draghi stia facendo gli interessi dell’Italia (fin qui si tratterebbe di una sacrosanta verifica), ma se appoggiare il governo sia conveniente per le prospettive elettorali del movimento. Marco Travaglio, che si è ritagliato il ruolo di loro mentore politico, li provoca e li istiga ad uscire da una compagine governativa che li starebbe dissanguando, mentre in realtà il sangue lo stanno perdendo per la loro incapacità a coniugare protesta e proposta, lotta e governo, piazza e palazzo. In casa grillina piove a prescindere dal fatto che il governo possa essere ladro.

I pentastellati sono alla disperata ricerca di uno spazio politico e sono logorati dal dubbio che tale spazio possa essere ritrovato uscendo da governo e maggioranza per cavalcare il malcontento così come sta facendo Fratelli d’ Italia, mettendo in subbuglio lo schieramento di centro-destra.

Esercitazioni spericolate di contro-governabilità alle quali credo che i cittadini, più per necessità che per virtù, non prestino molta attenzione. Le emergenze, che si stanno sovrapponendo in un massacro psico-socio-economico fino a diventare la drammatica normalità di vita, inducono la gente ad andare al sodo dei problemi, abbandonando al loro destino le velleitarie risse politiche. L’aria che tira nel Paese sembra essere questa, mentre i partiti si intestardiscono a proseguire imperterriti nei loro stucchevoli giochetti.

Prendiamo ad esempio la questione della riforma della cittadinanza, che ritorna periodicamente nel dibattito politico, basti pensare allo Ius soli, da sempre malvisto dai partiti di destra. Con lo Ius Scholae, però, la situazione è un po’ cambiata, con Forza Italia che si è dimostrata aperta al dialogo sul tema, votando l’approvazione del testo base della legge.

Cosa prevede lo Ius Scholae? A differenza delle proposte riguardanti lo Ius soli, che prevedono l’acquisizione automatica della cittadinanza per chiunque nasca in un Paese (come accade negli Stati Uniti d’America per esempio), lo Ius Scholae prevede che si acquisisca il diritto alla cittadinanza dopo aver terminato un percorso di studi in Italia. Nel caso della legge in discussione, potrebbero richiedere la cittadinanza i bambini e le bambine che, nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni, frequentino per almeno 5 anni le scuole del nostro paese. Trattandosi di un testo base, nel corso dell’iter per diventare legge potranno essere approvati diversi emendamenti che ne cambino l’impianto, ma una riforma sulla cittadinanza è sicuramente necessaria in Italia poiché carente sotto diversi punti di vista.

Ebbene, un problema serio riguardante addirittura i diritti base della persona umana sta diventando terreno di scontro all’interno del centro-destra: un vero e proprio regolamento di conti con la Lega di Matteo Salvini che, tirata a cimento da una baldanzosa Giorgio Meloni, evoca il rischio di una caduta per il governo a causa dello ius scholae. Si tratta di una gara fra aspiranti razzisti, che tenta di cavalcare l’egoismo quale risposta al disagio sociale, una irrefrenabile corsa pseudo-identitaria per recuperare i consensi raffreddati dalla percezione della inconcludenza partitica a latere del governo Draghi.

I grillini cercano di mettere in tilt la politica brandendo l’arma delle non armi all’Ucraina, i destrorsi brandendo l’arma dell’italianità messa in pericolo dai bambini immigrati. In realtà degli ucraini e degli immigrati non frega niente a questi signori, l’importante è battere qualche colpo, alzare la voce per dimostrare la propria (in)esistenza.

Ci dobbiamo rassegnare a vivere o a rifiutare questa politica. Da una parte i sostenitori ante litteram delle prospettive future del governo Draghi, dall’altra i contestatori pretestuosi di questo governo, che fanno finta di sostenerlo o, se volete fanno finta di criticarlo. Non mi piace Enrico Letta, che sostiene Draghi lisciando il pelo alla gente ed evitando accuratamente di ascoltarne i problemi (lo ha detto Romano Prodi); rifiuto categoricamente gli anti-draghiani di comodo che fanno i riottosi per ragioni di mera bottega, mettendo in vetrina la mercanzia che fa sbandare il consumatore sempre più affamato.