In questi giorni ho avuto modo di confrontarmi separatamente con due amici di idem sentire sulla situazione globale del nostro mondo. Il più anziano dei due mi ha saggiamente e pessimisticamente consigliato di rassegnarmi ad un andazzo fuori dalla nostra portata valoriale e generazionale: cerchiamo di chiudere la nostra testimonianza esistenziale nel migliore dei modi senza illuderci di poter influire sugli andamenti che vanno oltre il raggio della nostra mente e del nostro cuore. L’altro mi ha spinto ed assecondato in un’analisi (quasi) apocalittica del susseguirsi delle piaghe, che ci stanno sconvolgendo, da cui si esce disorientati e sconfortati.
Il motivo di fondo dell’imbarazzo non sta tanto nella gravità delle ferite inferte all’umanità in questo incredibile periodo storico, ma nell’assenza, a tutti i livelli, di medici adeguati alla diagnosi e cura di queste malattie esplosive. In poche parole non si sa a chi fare riferimento per uscire dal tunnel in cui siamo sempre più drammaticamente infilati: le disgrazie si accumulano, si sovrappongono, si collegano in un crescendo di cui non si intravede la via d’uscita. Mi riferisco alle pandemie che si susseguono, alle guerre che scoppiano a ciliegia, ai disastri ambientali che si stanno profilando, alle carestie che ci sconvolgono, alle crisi economiche che mettono in discussione il nostro modo di lavorare, produrre e consumare, ai fenomeni migratori che stanno cambiando la demografia mondiale, alle mine vaganti di conflitti sociali devastanti.
A fronte di tutto ciò si tende a chiudersi nel proprio guscio egoistico, magari contando gli anni che più o meno restano da vivere, oppure si prova a trovare il bandolo della matassa che più aggrovigliata di così non potrebbe essere, l’ago nel pagliaio del casino totale. Chi cerca trova e io, cerca oggi cerca domani, qualcosa ho trovato: la totale inadeguatezza delle classi dirigenti a governare le situazioni emergenti. Per dirla in parole povere e brutali, siamo in mano a nessuno: si salvano solo papa Francesco e Sergio Mattarella, che, manco a farlo apposta, sono materialmente depotenziati anche se carismaticamente rinforzati.
Volete due eloquenti esempi tratti dalla più becera attualità politica? Parto dal livello nazionale: davanti alle enormi responsabilità di affrontare la sanguinosa escalation della guerra russo-ucraina, una delle tante ciliegie a cui si faceva prima riferimento, non si trova meglio da fare che scatenare risse politiche da cortile per tirare l’acqua al proprio mulino partitico, nascondendosi ipocritamente dietro questioni etico-umanitarie. Per essere esplicito: dell’enorme e delicatissimo problema delle armi da produrre per la propria difesa (?) o per la difesa (?) degli aggrediti non si fa un esame di coscienza prima che di geopolitica, ma il pretesto per regolamenti di conti (nel caso sarebbe meglio dire di Conte), ridicolmente tragici nella loro pochezza di visuale esistenziale. Sia ben chiaro: non mi scandalizzo affatto del dubbio atroce se inviare armi all’Ucraina, ma dell’uso delinquenziale che si sta facendo di questo dubbio, mettendolo artificiosamente e strumentalmente alla base di astrusi calcoli politici, di perversi assetti correntizi e di penose spartizioni pseudo-elettorali.
Passo all’altro esempio di livello locale: dal ballottaggio tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte si passa a quello nostrano fra Michele Guerra e Pietro Vignali.
Mia nonna Ermina cadeva in un clamoroso e simpatico strafalcione. Per dire in dialetto “borotalco” sciorinava un incredibile e buffo termine: “balotàg”. Ebbene, la storia le sta dando ragione: il ballottaggio per le recenti elezioni amministrative parmensi ha creato agli elettori un disagio tale da essere curato con robuste applicazioni di gazzettiero borotalco. Ogni e qualsiasi prurito del nuovo è stato arginato con massicce dosi di talco profumato alla menta della finta polemica.
Davanti alla città di Parma, sazia e disperata nella sua insana difesa ducale, ci si è esercitati in un’affannosa ricerca della pagliuzza nell’occhio del “ballottaggiante” avversario piuttosto che prendere atto della trave del proprio occhio ripiegato sul nulla programmatico (voler fare di tutto un po’ significa non fare niente). Da una parte si vuole dimostrare, imbastendo una masochistica arringa autodifensiva fuori tempo e fuori storia, che l’amministrazione Vignali morì per il freddo dei piedi causato da una pur precipitosa invadenza giudiziaria e per una errata, opinionistica e bussolottistica lettura dei bilanci del Comune; dall’altra si vuole nascondere la contraddittorietà e pochezza della più recente esperienza amministrativa, presentandosi agli elettori con un fregoliano, scombinato, raffazzonato e riciclato centro-sinistra, che di sinistra non riesce a spiaccicare nemmeno una mezza-parola.
E io dovrei attenzionare le scorribande parlamentari di personaggi in cerca d’autore e le polemiche di candidati-sindaco in cerca del nulla? Ma fatemi il piacere…Non so se abbia ragione il mio primo interlocutore di cui sopra a consigliarmi la resa culturale o il secondo a incoraggiarmi a vivere comunque il mio tempo. Hanno ragione entrambi, mentre purtroppo hanno torto marcio, solo per stare ai due esempi proposti, i Di Maio, i Conte, i Vignali, i Guerra etc. etc.