Donne, donne eterni aiuti

La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese ha riferito in Parlamento, al question time, sulla vicenda che ha visto coinvolta Olivia Paladino, la compagna del premier Giuseppe Conte e la sua scorta. La titolare del Viminale parlando in Aula ha spiegato che «Olivia Paladino appariva turbata e – dopo essere uscita dal supermercato in seguito alla segnalazione dello stesso titolare che ha chiesto l’intervento di un operatore della scorta – è stata riaccompagnata da quest’ultimo a poche decine di metri verso la sua abitazione, dove in quel momento c’era il premier e, per questo, la scorta era all’esterno». È quanto ha precisato la titolare dell’Interno sulla vicenda accaduta lo scorso 26 ottobre in presenza di una troupe de Le Iene e che vede indagato proprio il presidente del Consiglio. La ministra Luciana Lamorgese ha anche aggiunto che «la persona alla quale la signora Paladino prima di lasciare il negozio ha consegnato una borsa non era un operatore del servizio di tutela del presidente Conte bensì uno dei titolari dell’esercizio commerciale».

Eugenio Gaudio, nominato dal governo Conte il giorno prima commissario alla sanità in Calabria si è dimesso il giorno dopo con una giustificazione che ai più (non al sottoscritto) è sembrata surreale: “Mia moglie – ha spiegato a “la Repubblica” – non ha intenzione di trasferirsi a Catanzaro. Un lavoro del genere va affrontato con il massimo impegno e non ho intenzione di aprire una crisi familiare”.

Innanzitutto non vedo nulla di strano se una moglie, una compagna, una fidanzata, condivide le scelte politiche del suo uomo, soffrendone le conseguenze. Chi assume incarichi politici non deve essere un robot insensibile e impenetrabile, ma una persona totale che vive tutte le realtà a cominciare da quella famigliare.

Non c’è niente da speculare sul fatto che la fidanzata di Giuseppe Conte possa essere turbata da qualche situazione strana e possa essere soccorsa da un uomo della scorta del presidente del consiglio. Se le cose sono andate così, la signora Olivia Paladino ha tutta la mia comprensione e la mia solidarietà. Chi ha posto la questione in Parlamento voleva solo vomitevolmente strumentalizzare una normalissima vicenda, che non ha niente di legalmente scorretto e tutto di umanamente comprensibile.

Diversa, ma per certi versi simile, è il fatto della moglie pentita del neo-commissario alla sanità calabrese. Certo, il professor Gaudio poteva pensarci meglio prima di accettare l’incarico e soprattutto poteva parlarne prima e diffusamente con la moglie, dal momento che quella scelta, poco o tanto, avrebbe scombussolato la sua vita famigliare. Meglio tardi che mai. È ammissibile un ripensamento: quante volte mi è capitato di assumere una decisione per poi ritornarvi sopra nel giro di poche ore… È persino apprezzabile che la moglie gli abbia fatto presente tutte le conseguenze che avrebbe comportato questa delicata e impegnativa funzione pubblica: le donne hanno un senso pratico che non significa viltà, ma convinta e ragionata partecipazione.

Arrivo persino ad ammettere che la signora Gaudio possa avere valutato in coscienza un “certo tipo” di rischi facilmente immaginabile in una società come quella calabrese: non tutti possono avere il coraggio del generale Dalla Chiesa e soprattutto di sua moglie Emanuela Setti Carraro. Anche perché noi tutti siamo molto bravi a pretendere coraggio da chi è investito di autorità, ma poi siamo sempre pronti a lavarci le mani da ogni e qualsiasi situazione difficile. Dalla Chiesa fu lasciato solo. Mio padre quando sentiva parlare della sua coraggiosa azione contro la mafia, capiva la sua solitudine e non lesinava funeste profezie: «Col Chiesa (céza in dialetto) lì…al va a fnir mäl…». E quando successe il fattaccio, mormorò fra sé: «Al sèva c’la sarìss andäda a fnir acsì…». Forse ho lavorato di fantasia facendo arbitrariamente un parallelismo, ma non mi stupirei se sul repentino ripensamento di Gaudio avesse influito anche una coniugale riflessione su “certi” rischi e certi colpevoli isolamenti.

Durante il rapimento di Aldo Moro, la moglie tenne un comportamento drammaticamente partecipe: qualcuno ebbe il cattivo gusto di giudicarlo eccessivo. Nossignori, era la giusta espressione del dolore di una donna che assiste impotente al martirio di suo marito e ai tentennamenti dei colleghi del marito stesso, tristemente sballottati fra la ragion di stato e le ragioni umanitarie. Quanta sofferenza!

In una straziante lettera alla moglie Noretta, Aldo Moro, dopo avere sconsolatamente e desolatamente passato in rassegna l’inerzia degli uomini politici di fronte al suo dramma, scrive: «Ma non è di questo che voglio parlare; ma di voi che amo ed amerò sempre, della gratitudine che vi debbo, della gioia indicibile che mi avete dato nella vita, del piccolo che amavo guardare e cercherò di guardare fino all’ultimo. Avessi almeno le vostre mani, le vostre foto, i vostri baci. I democristiani mi tolgono anche questo. Che male può venire da tutto questo male?».

Non facciamo quindi i furbi, non scherziamo sui legami sentimentali e famigliari degli uomini investiti di pubbliche autorità, non consideriamo le loro donne delle intruse, delle invadenti e fastidiose compagne. Cerchiamo di capire le loro difficoltà e le loro tensioni, sapendo che dipende anche da esse il migliore svolgimento delle funzioni pubbliche. Discrezione sì, irrisione o derisione no, nel modo più assoluto. Esibizionismo no, partecipazione privata sì.