Burattini alla base e marionette al vertice

“Quello che ho visto ieri in alcune vie a Torino è qualcosa che mi riporta con la mente in estate e non possiamo permettercelo”. Il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, commenta così le immagini della folla che ieri hanno accompagnato la riapertura dei negozi. “Quello che è successo ieri a Torino è qualcosa di inaccettabile”, sottolinea ai microfoni di Radio Veronica One. “Questa mattina parteciperò al Comitato per l’Ordine pubblico e chiederò al prefetto interventi rigorosissimi – aggiunge – So che le forze dell’ordine hanno fatto tanto ma evidentemente non basta. I piemontesi si stanno comportando in modo serio, ma laddove ci sono situazioni che scappano di mano bisogna intervenire subito in maniera netta”. A Torino è bastato che i negozi rialzassero le serrande per vedere le vie del centro cittadino piene di gente, con lunghe code ma ordinate sui marciapiedi in attesa di entrare.

Non ci capisco più niente: non erano i governatori di Piemonte, Lombardia e Liguria a spingere sul governo per il passaggio da zona rossa a zona arancione? E non lo facevano per andare incontro alle esigenze dei commercianti costretti alla chiusura di negozi, bar, ristoranti, etc. etc.? E non potevano immaginare che la riapertura avrebbe comportato un immediato contraccolpo a livello di assembramenti? E come pensavano di affrontare queste assurde situazioni? Scaricando il barile sui prefetti? Sulle forze dell’ordine dopo aver creato i presupposti del disordine? Ma fatemi il piacere…

Mio padre scherzava con i modi di dire e li aggiustava a suo uso e consumo. “Chi è causa del suo mal pianga me stesso” sogghignava. Ed è proprio così: il male derivante dallo scriteriato comportamento della gente e dei loro governanti non procura lutti e pianti solo a chi trasgredisce in modo vergognoso, ma anche a chi cerca di fare il proprio dovere ed è costretto a subire le conseguenze delle enormi cazzate altrui.

Governatori de ché? Dei miei stivali! Sanno solo rincorrere gli umori delle categorie che a loro più interessano elettoralmente e se ne fanno condizionare, salvo poi piangere sul latte versato. È successo in estate con le discoteche, sta succedendo e succederà in periodo natalizio per gli impianti sciistici e per negozi e pubblici esercizi.

Tutto per consentire lo sfogo della celebrazione laica dell’ultimo dell’anno. Ebbene vorrà dire che andremo a brindare nei cimiteri, nei reparti ospedalieri, nelle terapie intensive. Al cenone e alle feste di capodanno non si può rinunciare, meglio morire, con l’illusione che muoiano solo gli altri. Questa è la società di merda che abbiamo costruito!

Abbiamo cifre pazzesche di morti e ammalati e non abbiamo il buongusto di chinare il capo: vogliamo fare shopping, vogliamo festeggiare, vogliamo brindare, vogliamo consumare. E chi governa balbetta, non ha il coraggio di chiedere e, se del caso, imporre regole rigidissime a salvaguardia della vita e della salute dei cittadini. Quando ho visto in televisione le immagini delle città uscita dalle zone rosse piene di gente scatenata che dava l’assalto ai negozi, ho pensato che fosse la vittoria di Pirro dei loro sedicenti governatori e dei governanti centrali del tira e molla.

Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati è uno sport sempre di moda. A proposito di stalle, mia nonna raccontava spesso la gag del “Méstor mi e méstor vu e la zana d’indò vala su?”: due ingegneri che si scambiavano complimenti, ma che si erano dimenticati di prevedere l’uscio nella porcilaia. I governi regionali e periferici se la danno l’uno con l’altro, scaricano le colpe, sono maestri di incoerenza e contraddizione. In questa gara devo ammettere che i governatori regionali, con i loro apparati burocratici tali da fare invidia ai tanto bistrattati ministeri romani, vincono la medaglia d’oro dell’inadeguatezza. Non bisognerebbe generalizzare, io invece sono talmente stanco che mi sento di generalizzare e di mandare tutti al diavolo. Le Regioni stanno perdendo quel briciolo di credibilità che rimaneva loro. Stanno dando pessima prova dell’(in)capacità di gestire la cosa pubblica: e pensare che hanno poteri enormi e ne vorrebbero ancora di più. In dialetto parmigiano si dice “avérgh un bècch äd fér”. Gilberto Govi, in dialetto genovese, li chiamava “marionéti”.