Violenza sulle donne e clericaloide antifemminismo

Di femminicidio si parla poco e male: poco, nel senso che l’argomento tiene banco solo ciclicamente, poi passata l’invettiva, gabbata la donna; male, nel senso che il tema viene affrontato molto superficialmente, spesso solo a livello giuridico, processuale e sanzionatorio. Il fenomeno evidenzia dati sconvolgenti e il fatto che il lock down abbia accentuato il ricorso alla violenza contro le donne fino alle estreme conseguenze dimostra come il rapporto con la donna venga vissuto spesso come sfogatoio delle maschili frustrazioni.

Esistono motivazioni culturali, storiche, sociali, economiche, politiche e religiose: su queste cause occorrerebbe ragionare per riuscire a rimuoverle non certo con la bacchetta magica delle pene detentive (anche quelle possono servire, ma purtroppo spesso intervengono a donna morta e sepolta), ma con una complessa ed articolata opera educativa che rimuova nella mentalità dei giovani ogni e qualsiasi aggancio col passato machista, con una precisa e puntuale azione politica che promuova la definitiva parità della donna in tutti i campi e in tutti i sensi, con una insistita, insistente e martellante divulgazione a livello culturale dei valori di cui la donna è portatrice e fautrice. Oserei dire che quello della valorizzazione del ruolo della donna non sia un problema, ma “il problema” della nostra società, l’ancora di salvezza per un futuro di pace ed autentico progresso.

Purtroppo al sadismo maschile si accompagna spesso una sorta di masochismo femminile: intendo dire che la donna è portata a impostare la sua emancipazione come adesione agli pseudo-valori sella società maschilista e adozione degli schemi comportamentali maschili. Amo fotografare questa inquietante “sindrome di Stoccolma” con un’amara constatazione: la donna forse punta più alla parità dei difetti piuttosto che a quella dei diritti. A maggior ragione occorre capovolgere la situazione rendendo la donna protagonista e non semplice comprimaria o addirittura mera spettatrice se non tragica vittima.

Voglio fare però una puntata in campo religioso. Sì, perché le religioni, più o meno tutte, hanno peccato e continuano a peccare di misoginia: la donna tentatrice, la donna essere inferiore (un tempo considerata addirittura senz’anima), la donna relegata non tanto nel ruolo di sposa e madre ma in quello di “macchina riproduttiva”, la donna esaltata a parole ed emarginata nei fatti, la donna discriminata nei ruoli e nelle funzioni.

Mi preme aggiungere qualche ulteriore considerazione oggettiva sul problema della donna nelle religioni, questione indubbiamente centrale e che, nelle prassi secolari, evidenzia una certa analogia di impostazione. Anche la posizione della donna a livello di dottrina dimostra che il cristianesimo parte in quarta con un vangelo spudoratamente femminista per poi ripiegare sul pazzesco maschilismo paolino, da cui ci sono voluti secoli per tentare di uscire e il cammino è tutt’altro che terminato. Con tutto il rispetto per la predicazione di Paolo, un cristiano dovrebbe comunque sempre rifarsi al dettato evangelico, alle parole e agli esempi di Gesù, ma purtroppo il Vangelo spesso è finito in soffitta coperto da una moltitudine di polverose scartoffie teologiche e dottrinali. La vita cristiana, a ben pensarci, è una lotta continua non tanto contro le tentazioni della carne, ma contro il tentativo di svuotare il Vangelo per impastoiarlo in un reticolo di assurde regole: esattamente il percorso inverso rispetto a quello compiuto da Gesù rispetto alla tradizione ebraica.

Volendo concedere all’attuale dottrina cristiana un giudizio obiettivo, mi sentirei di ammettere che sulla questione femminile non siamo ancora tornati a Gesù, ma ci siamo significativamente allontanati dal pensiero paolino.  Purtroppo non è così per l’Islam che rimane saldamente ancorato ad una impostazione coranica scriteriatamente maschilista e antifemminista da cui non riesce a schiodarsi. Mentre il cristianesimo è riuscito gradualmente ad affrancarsi da una tradizione pesante e alienante, l’islamismo ne rimane vittima, anche perché non ha il riferimento evangelico (e non è poca cosa) a fargli da sponda.

Come riporta opportunamente e significativamente il mensile Jesus nel numero di ottobre 2020, “Anne Soupa, teologa e biblista, il 25 maggio scorso ha spiazzato tutti autocandidandosi al ruolo di vescova di Lione, ancora vacante dopo le dimissioni del Cardinale Philippe Barbarin, coinvolto nello scandalo della pedofilia. Gesto che molti hanno interpretato come provocatorio ma che per Soupa è piuttosto una «rivendicazione politica del ruolo delle donne nella Chiesa, ingiustamente marginalizzate dall’istituzione ecclesiastica».

Anne Soupa spara al meglio le sue cartucce: «Le donne nella Chiesa sono arrivate a un tale accumulo di frustrazione e sofferenza da far semplicemente traboccare il vaso. L’idea di avere un altro vescovo come il precedente, nominato secondo la stessa logica clericale che ha portato a coprire le violenze, è per me intollerabile e sono convinta che se ci fossero più donne nella Chiesa ci sarebbero meno abusi. (…) L’esclusione delle donne dal sacerdozio è allo stesso tempo il sintomo e la malattia della Chiesa perché permette di concentrare il potere nelle mani del clero. (…) La risposta che arriva da Roma alle richieste delle donne non è incoraggiante. Papa Francesco non ha osato esprimersi a favore del sacerdozio femminile e il fatto che dia più spazio alle donne in ruoli amministrativi, come nel caso delle sei donne nominate nel Consiglio dell’economia del Vaticano, è un contentino, il segno che non darà loro responsabilità pastorali».

La Chiesa cattolica non è l’ultima ruota del carro dell’emancipazione femminile, ma non è nemmeno la punta di diamante nella battaglia a favore della donna e contro le discriminazioni e le violenze che essa subisce. Mi si dirà che non si bruciano più le streghe, che preti e vescovi non uccidono le donne che non si prestano alle loro eventuali avance, anche se al riguardo qualcuno sostiene che esista la mina vagante delle suore violentate fisicamente e vessate moralmente, che prima o poi esploderà forse ancor più fragorosamente di quella della pedofilia.

La religione deve e può fare molto di più rispetto alle solite mozioni degli affetti, ai pronunciamenti ex cathedra ed ex fenestra, che purtroppo lasciano il tempo che trovano, vale a dire lasciano le donne sole coi loro drammatici e tragici problemi: deve cambiare registro al proprio interno, mettendo in moto un virtuoso volano, che avrà effetti positivi su tutta la società e sull’intera questione femminile.