Amico del giaguaro e del maiale

Per l’ennesima volta ricordo cosa successe in Scozia durante la campagna elettorale referendaria sulla brexit.  La propensione scozzese – seppure almeno in parte strumentale rispetto alle loro mire indipendentiste – verso l’Unione europea, è sfociata in rabbia ed ha trovato, per ironia del destino, un ulteriore motivo di ribellione nelle parole proferite proprio in Scozia nei giorni del referendum dall’aspirante candidato repubblicano alle presidenziali americane, Donald Trump: «Vedo un reale parallelo fra il voto per Brexit e la mia campagna negli Stati Uniti». Come riferiva Pietro Del Re, inviato di Repubblica, nel pub di John Muir a Edimburgo, quando Trump è apparso in tv, tutti i clienti si sono avvicinati allo schermo. Poi hanno tutti assieme cominciato a urlargli insulti di ogni genere, il cui meno offensivo è stato senz’altro pig, porco. La porcilaia si è storicamente allargata, consolidata e si rischia di non uscirne più.

Trump ha rispettato le premesse e mantenuto le promesse: è stato il più autorevole ed acerrimo nemico dell’unità europea. Anche all’Italia ha mandato parecchi messaggi di incoraggiamento per un’uscita dalla Ue, promettendo in cambio aiuti e appoggi. Non se ne è fatto niente, forse più per diffidenza verso Trump, che per convinzione europeista.

Mentre si sta profilando un respiro di sollievo proveniente dalle cancellerie europee – anche se c’è il controcanto dei populisti e sovranisti che hanno iniziato una sorta di penosa e macchiettistica vedovanza in vista della trumpiana uscita di scena – qualcuno ha tirato in ballo una curiosa e parafrasante versione della teoria del “tanto peggio tanto meglio”. In base a questa pseudo-analisi storica l’Europa sarebbe stata opportunamente costretta a rinserrare le fila sul piano militare, strategico, politico ed economico in conseguenza della chiusura dell’ombrello protettivo americano effettuata apertamente e decisamente da Donald Trump. Una sorta di educazione al nuoto buttando in acqua il bagnante incapace di nuotare. Non ho mai creduto a questi sistemi sbrigativi del si salvi chi può. C’è un fondo di verità nel discorso dei duri rapporti tra Usa e Ue, ma non ci vedo il bicchiere mezzo pieno.

Il Santo Padre ha ricordato la sua personale ‘formula’ per far funzionare un matrimonio, ovvero quelle tre parole utili “perché la famiglia vada sempre avanti e superi le difficoltà”: “Permesso. Grazie. Scusa”. “Permesso – ha spiegato il Papa – perché bisogna sempre chiedere al coniuge, la moglie al marito e il marito alla moglie: ‘Cosa pensi? Facciamo così?’ Mai calpestare: permesso”. Grazie, perché si deve “essere grati”: “Quante volte il marito deve dire alla moglie: ‘Grazie!’. E quante volte la sposa deve dire al marito: ‘Grazie!’. Infine “scusa”: “una parola molto difficile da pronunciare. Nel matrimonio sempre – tra marito e moglie – sempre c’è qualche incomprensione. Sapere riconoscerla e chiedere scusa. Chiedere perdono fa molto bene”, ha sottolineato il Pontefice.  “Sempre nella vita matrimoniale ci sono problemi o discussioni. È normale! E succede che lo sposo e la sposa discutano, alzino la voce, litighino e a volte volano i piatti! Non vi spaventate, però, quando succede”. Il consiglio del Papa è piuttosto a “non terminare mai il giorno, senza fare pace”. “Sapete perché? Perché la guerra fredda il giorno seguente è molto pericolosa.

Strana e azzardata similitudine: evidenzia tuttavia uno stile di comportamento che può avere un senso anche nei rapporti fra Stati alleati. Trump faceva volare i piatti, ha cominciato ancor prima di essere presidente, ma non ha mai chiesto permesso, non ha mai detto grazie e tantomeno si è scusato con gli europei trattati a pesci in faccia.  Al primo incontro alla Casa Bianca con Angela Merkel, mostrò indifferenza e fastidio versa la Cancelliera che timidamente gli porgeva la mano: fossi stato al posto della Merkel me ne sarei venuto via immediatamente, segnando una distanza abissale fra due modi opposti di intendere la politica. La Merkel invece si rassegnò alla prepotenza di questo personaggio e da allora cominciò addirittura a tentare di recuperare il difficile rapporto: la realpolitik vince sempre.

Quindi niente prese di distanza e colpi di reni come teorizzano certi storici in vena di improvvisazioni. Rivendicare la propria autonomia di giudizio e comportamento non vuol dire prescindere da certi rapporti obbligatori e fare i conti con l’oste non significa berla da botte.  L’esperienza trumpiana è quindi stata negativa in tutti i sensi a livello europeo. Non è servita a niente: non ha fatto scattare nessuna reazione d’orgoglio, non ha innescato nessun processo di maturazione, al contrario ha suonato sirene pericolosissime in chi le ha volute ascoltare.  “Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io” dice un vecchio proverbio. Trump era un nemico da cui guardarsi (uso l’imperfetto e faccio politicamente i debiti scongiuri), ma si presentava con l’aspetto dell’amico ed allora il discorso si è assai complicato ed è diventato un bel casino internazionale. Il bicchiere dei rapporti Usa/Ue non si è rivelato mezzo pieno o mezzo vuoto, ma vuoto del tutto dopo aver rovesciato quanto c’era dentro. È pur vero, come sostiene la saggezza popolare, che del maiale non si butta via niente, ma ricollegandomi alle invettive scozzesi di cui sopra e condividendole pienamente, devo sconsolatamente ammettere che la saggezza popolare nel caso di Trump trova un limite: non c’è niente da salvare.