Il topolino nel messale e la talpa in messalina

“Cherchez la femme”: nella Chiesa cattolica, maschilista a tutto spiano, non è facile trovarla nei posti di rilievo e di potere, eppure in questi giorni ne è spuntata una che sembra fare, una pur negativa, eccezione alla regola. Cecilia Marogna, 39 anni, cagliaritana, ufficialmente imprenditrice e consulente, è stata arrestata e trasferita a San Vittore. La donna, ribattezzata dai giornali «la dama del cardinale», appena verrà convalidato il suo arresto dalla corte d’Appello di Milano, dovrà chiarire davanti a un giudice della Santa Sede il suo ruolo nella vicenda di spoliazione delle finanze vaticane costate la porpora al cardinale Angelo Becciu, considerato il suo «sponsor». E a lei, le manette. Non intendo mettere nessuno alla gogna, mi limito a riprendere dal quotidiano La Stampa le notizie emergenti relativamente agli affari vaticani, che sembrano addirittura tingersi di rosa.

Secondo le scarne informazioni trapelate sui motivi del suo arresto, le accuse sarebbero due: peculato e distrazione di beni. Si tratta di reati contemplati dal codice penale vaticano che recepisce però in buona parte il codice italiano. La vicenda è quella nota, relativa a una somma di 500 mila euro che la donna, auto accreditatasi come «007» della Santa Sede per gli affari esteri, avrebbe ricevuto al fine di missioni di beneficenza. Soldi che invece, secondo le accuse, sarebbero stati spesi in abiti di marca e arredamento di lusso. Lo stesso cardinale Becciu aveva sostenuto nei giorni scorsi di essere stato truffato da Marogna. Non si capisce però come un porporato del suo calibro, già Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e soprattutto nominato nel 2011 da papa Benedetto XVI Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato vaticana, tra le cariche più importanti che riguardano l’attività politica e diplomatica della Santa Sede, abbia potuto fidarsi di una donna che lo avrebbe indotto a consegnare una somma del genere.

La vicenda, peraltro ancora tutta da chiarire e giudicare nelle sedi competenti, suona quale provocatoria risposta al recente appello di papa Francesco sulla preghiera per la valorizzazione del ruolo femminile all’interno della Chiesa. Spontaneo e facile fare dell’ironia: su due questioni serissime, vale a dire l’affarismo della Curia vaticana e la misoginia clericale, si profilano addirittura strane combinazioni tra soldi e donne, il modo peggiore per sdoganare il sesso femminile e portarlo alla ribalta nella vita ecclesiale. Qualcuno dirà: di affaristi ce n’è a sufficienza senza bisogno di andarli a cercare nelle donne. Quindi, si perpetuerà, in un certo senso la demonizzazione della donna e la volontà di tenerla lontana dai sacri recinti dove gli uomini ne combinano già di tutti i colori.

Cambiamo capitolo per dire che la montagna della sacrosanta riforma liturgica ha partorito il topolino del nuovo messale, il volume che serve a celebrare l’Eucaristia.  La revisione italiana del Messale scaturito dal Concilio arriva a diciotto anni dalla terza edizione tipica latina varata dalla Santa Sede nel 2002. La lunga e complessa operazione coordinata dalla Cei ha visto numerosi esperti collaborare con la Commissione episcopale per la liturgia fino a giungere nel novembre 2018 all’approvazione del testo definitivo da parte dell’Assemblea generale dei vescovi italiani. Poi, dopo il “via libera” di papa Francesco, il cardinale presidente Gualtiero Bassetti ha promulgato il libro l’8 settembre 2019. E lo scorso 29 agosto la prima copia è stata donata al Pontefice.

Apprendo dal quotidiano Avvenire che la maggior parte delle variazioni riguarda le formule proprie del sacerdote. I ritocchi sono pochi e generalmente piuttosto insignificanti. Già nei riti di introduzione dovremo abituarci a un verbo al plurale: «siano». Non sentiremo più «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi», ma «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi». È stato rivisto anche l’atto penitenziale con un’aggiunta “inclusiva”: accanto al vocabolo «fratelli» ci sarà «sorelle». Ecco che diremo: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle…». Poi: «E supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle…». Inoltre il nuovo Messale privilegerà le invocazioni in greco «Kýrie, eléison» e «Christe, eléison» sull’italiano «Signore, pietà» e «Cristo, pietà». Si arriva al Gloria che avrà la nuova formulazione «pace in terra agli uomini, amati dal Signore». Una revisione che sostituisce gli «uomini di buona volontà» e che vuole essere più fedele all’originale greco del Vangelo.

Dopo l’orazione sulle offerte, il sacerdote, mentre si lava le mani, non sussurrerà più sottovoce «Lavami, Signore, da ogni colpa, purificami da ogni peccato» ma «Lavami, o Signore, dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro». Poi inviterà a pregare dicendo (anche in questo caso con piccole revisioni): «Pregate, fratelli e sorelle, perché questa nostra famiglia, radunata dallo Spirito Santo nel nome di Cristo, possa offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente». Dopo il Santo, il prete dirà: «Veramente santo sei tu, o Padre…». E proseguirà: «Santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito».
Nella consacrazione si avrà «Consegnandosi volontariamente alla passione». E nell’intercessione per la Chiesa l’unione con «tutto l’ordine sacerdotale» diventa con «i presbiteri e i diaconi».

I riti di Comunione si aprono con il Padre Nostro. Nella preghiera insegnata da Cristo è previsto l’inserimento di un «anche» («Come anche noi li rimettiamo»). Quindi il cambiamento caro a papa Francesco: non ci sarà più «E non ci indurre in tentazione», ma «Non abbandonarci alla tentazione». Il rito della pace conterrà la nuova enunciazione «Scambiatevi il dono della pace» che subentra a «Scambiatevi un segno di pace». E, quando il sacerdote mostrerà il pane e il vino consacrati, dirà: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello». Una rimodulazione perché nel nuovo Messale «Beati gli invitati» non apre ma chiude la formula e si parla di «cena dell’Agnello», non più di «cena del Signore». Al termine ci sarà la formula: «Andate e annunciate il Vangelo del Signore». Ma i vescovi danno la possibilità di congedare la gente anche con le tradizionali parole latine: Ite, missa est.

Ho volutamente passato in rapida rassegna le novità per dimostrare, a contrariis, che purtroppo non serviranno a sgessare o sgelare le assemblee liturgiche: più che di revisione di frasi, parole e formule ci sarebbe bisogno di fare spazio alla spontaneità, alla fantasia, al coraggio di fondere il sacro con la vita. Quel coraggio e quella fantasia che non mancano a certa parte della gerarchia quando si parla di manovre economiche e di servire “mammona”: tutto è ammissibile, forse anche togliere le donne dal focolare domestico per ammetterle nel giro affaristico, tutto per fare soldi o per farseli mangiare da personaggi senza scrupoli. “Andate e mettete in discussione le messe ingessate e soprattutto i riti dell’affarismo vaticano”: così termina la mia personale liturgia.