Perdono non è perdonismo

Liliana Segre ha parlato agli studenti nelle campagne di Arezzo, a Rondine, cittadella della Pace, raccontando ancora una volta quando bambina, a 13 anni, vide negli occhi l’orrore, diventò un “essere senza nome e senza sesso, senza dignità e insensibile, quello che volevano i miei aguzzini”.

“No, non ho perdonato, non è possibile, e non ho mai dimenticato, ma ho imparato a non odiare”, ha ripetuto spiegando che questa è una delle domande che le viene fatta più spesso dagli studenti. “Ma quando ebbi la possibilità di prendere la pistola e sparare all’ufficiale tedesco non lo feci. E quello è stato il momento in cui ho capito che non ero come i miei assassini ed è stato lì che sono diventata la donna libera e di pace con cui ho convissuto fino ad oggi”.

Ho letto l’enciclica papale “Fratelli tutti”, mi riservo di rileggerla ed approfondirla: è notevole per ampiezza e completezza. Mi aspettavo qualcosa di più sul piano teologico, spirituale, ecclesiale e pastorale: è una summa etico-sociologica in cui nuotare. Rimette in discussione tutto l’assetto mondiale e indica i presupposti culturali e sociali su cui impostare un’esistenza diversa. Evidentemente papa Francesco ha inteso chiarire ancora una volta e forse definitivamente che il fondamento della fede cristiana è il Vangelo e da lì devono partire tutti gli impulsi rivoluzionari o riformatori per la Chiesa e per il mondo. Penso quindi valga la pena di leggere questa enciclica in filigrana rispetto a quanto avviene giorno per giorno, considerandola una sorta di vademecum per rispondere agli interrogativi drammatici ed inquietanti del nostro vivere.

Oggi quindi la cito di seguito letteralmente sul tema del perdono, evocato dall’emozionante, umanissimo e profondissimo intervento della senatrice a vita Liliana Segre che ho sopra richiamato con tanta commozione. Scrive papa Francesco:

“Da chi ha sofferto molto in modo ingiusto e crudele, non si deve esigere una specie di “perdono sociale”. La riconciliazione è un fatto personale, e nessuno può imporla all’insieme di una società, anche quando abbia il compito di promuoverla. Nell’ambito strettamente personale, con una decisione libera e generosa, qualcuno può rinunciare ad esigere un castigo (cfr Mt 5,44-46), benché la società e la sua giustizia legittimamente tendano ad esso. Tuttavia non è possibile decretare una “riconciliazione generale”, pretendendo di chiudere le ferite per decreto o di coprire le ingiustizie con un manto di oblio. Chi può arrogarsi il diritto di perdonare in nome degli altri? È commovente vedere la capacità di perdono di alcune persone che hanno saputo andare al di là del danno patito, ma è pure umano comprendere coloro che non possono farlo. In ogni caso, quello che mai si deve proporre è il dimenticare.

La Shoah non va dimenticata. È il «simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa». Nel ricordarla, non posso fare a meno di ripetere questa preghiera: «Ricordati di noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita. Mai più, Signore, mai più!»”.