Sfida statunitense e sfiga mondiale

Durante una campagna elettorale in cui si contrapponevano Berlusconi e Prodi, Roberto Benigni, con la sua impareggiabile verve ironica, disse nel pieno di una trasmissione televisiva della Rai, fregandosene altamente della par-condicio: «Io non sono di parte, ma Berlusconi non mi piace…».  Non ho l’autorevolezza del grande Benigni, ma provo ad imitarlo: «Seguo la campagna elettorale americana con molto scetticismo, ma detesto Trump…».

Un tempo non avrei esitato ad alzarmi da letto in piena notte per seguire la diretta televisiva del dibattito Trump-Biden. L’altra notte me ne sono stato a letto e mi sono accontentato di leggiucchiare i commenti del giorno dopo. Perché? Due i motivi. Uno di carattere anagrafico riconducibile alla mia anzianità, che mi toglie vigoria fisica (per il momento, ringraziando il cielo, non mentale).  L’altro di ordine politico: si intuisce chiaramente che lo scontro, in vista delle presidenziali Usa, è di infimo livello e quindi scappa la voglia di interessarsene e di “tifare” per uno dei due candidati.

Il dibattito presidenziale a tratti è stata una rissa verbale: i due candidati si interrompevano a vicenda e parlavano uno sopra l’altro. Volavano anche insulti. Biden: “Sei un bugiardo e un clown”. Trump: “Non c’è nulla di intelligente in te”. Temo che avessero entrambi ragione da vendere e che i “complimenti” scambiati siano le reciproche nitide loro fotografie.

L’immagine di Trump sta venendo fuori in tutte le sue possibili e immaginabili sfaccettature negative: ultima e non ultima la patente di evasore fiscale.  Biden è scialbo, sembra capitato lì per caso, non è all’altezza del compito. Possibile che uno stato democratico con storia e tradizione, seppure contraddittorie, come gli Usa non riesca a mettere in campo niente di meglio? La pochezza statunitense la dice lunga sulla vacanza (irreversibile?) della politica. Stiamo assistendo allo scontro fra l’affarismo fatto politica e la politica fatta mantenimento dello status quo. Il resto è patetica scena mediatica.

Corte Suprema, gestione dell’emergenza Covid-19, economia, rivolte razziali, integrità delle elezioni, rispettive carriere politiche: per novanta fittissimi minuti i due hanno litigato intorno ai sei grandi temi scelti dal conduttore di Fox News Chris Wallace. Stando ai sondaggi sembra che “il duello” non abbia spostato nemmeno un voto. Forse Biden ha vinto la battaglia sul piano della decenza, ma è tutto da dimostrare che gli serva di fronte ad un elettorato alla ricerca dell’indecenza.

Problemi enormi a fronte dei quali si evidenzia una clamorosa inadeguatezza dei candidati alla presidenza. Non ripetiamo l’errore di quattro anni or sono, quando in molti alzavano le spalle e ributtavano la merda oltreoceano, illudendosi di poter prescindere dalla (non) guida politica statunitense.  Quella merda ce l’abbiamo addosso e non riusciamo a scrollarcela di dosso.  Ce ne sta arrivando addirittura una seconda ondata.

Ho l’impressione di assistere ad una sceneggiata, per la quale, come succede in certe fiction, sono previsti due finali uguali e contrari, con l’imprevisto dello stallo post-elettorale con tanto di coda di ricorsi e riconteggi, degni di una finta democrazia. Infatti durante il dibattito, quando si è passati a un tema serissimo come il voto postale, erano tutti esausti. L’ex vicepresidente invitava a votare ormai spompato. L’altro ripeteva meccanicamente “è una vergona, una frode”. “Finirà male”, diceva Trump. “Hai solo paura”, concludeva Biden. Mio padre diceva con molta gustosa acutezza: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón».

Sono contento di non avere la cittadinanza statunitense perché sarei in serio imbarazzo. Alla fine, seguendo il consiglio montanelliano, mi turerei il naso e voterei Joe Biden. “Putost che nient (Trump) è mej putost (Biden). Anzi, piuttosto che “un capace di tutto” è meglio “un capace di niente”.