Un voto contro gli “sborroni” di turno

Come al solito hanno vinto tutti. Il M5S si accontenta di aver dato una sforbiciata al numero dei parlamentari e di avere accarezzato la pancia populista del suo elettorato, che però si è assottigliato in modo clamoroso (giudicati molto bravi a dire dei no, molto bravi a tagliare, piuttosto penosi a governare).

Matteo Salvini si accontenta di aver messo un po’ di strizza al sedere del PD: quando però si passa dalle pagliacciate mediatiche alle urne, le cose cambiano e la Lega di Salvini cade regolarmente sull’asticella posta troppo in alto (vedi Toscana dopo Emilia-Romagna). Il risultato elettorale netto del Veneto non è farina del sacco salviniano, ma del suo principale contendente interno, vale a dire Luca Zaia.

Giorgia Meloni si consola con la conquista del governatore delle Marche e ridimensiona però le sue assurde e sconvolgenti pretese dopo aver prefigurato uno sfracello alluvionale contro il governo e l’attuale maggioranza. Il centro-destra incassa una secchiata sui suoi facili e velleitari entusiasmi.

Il Partito Democratico tiene con una certa disinvoltura le tre regioni chiave, Toscana, Puglia e Campania, di questa tornata elettorale anche senza l’appoggio dei pentastellati: l’elettorato, nonostante tutto riconosce al Pd un ruolo fondamentale nel Paese e sul territorio. Rimane la grossa difficoltà di questo partito che, come sostiene il sindaco di Scandicci, tiene, ma vince solo dove si sta meglio e perde dove c’è malessere e che quindi è da rifondare alla ricerca di una nuova identità non con occhio nostalgico al passato ma con attenzione al mondo che cambia e lascia indietro troppa gente.

Il governo Conte esce rafforzato, si salva bene dal punto di vista politico e tattico, conferma una certa qual strisciante seppure brontolante fiducia dei cittadini, ma deve trovare la forza per trovare equilibri programmatici più convincenti, per governare molto meglio a livello di competenza, di capacità e di coerenza, non accontentandosi della comprovata mancanza di alternative agibili.

Come al solito hanno perso i profeti di sventura che prevedevano un flop organizzativo dei seggi e di affluenza alle urne. I cittadini hanno espresso un voto molto pragmatico e dimostrato più senso democratico e più saggezza di quanto pensassi (anche se hanno accettato populisticamente e tout court un ridimensionamento parlamentare, ma hanno penalizzato le forze politiche populiste che lo sbandieravano), mettendo a tacere gli “sborroni” capaci di tutto e buoni a nulla.

Qualcuno sostiene che sia necessario andare a votare per nominare un nuovo Parlamento ridimensionato dopo l’esito del referendum, ritenendo l’attuale delegittimato a continuare e soprattutto ad eleggere il futuro presidente della Repubblica. Quella che doveva essere una spallata si è trasformata in un solletico strumentale: tutto andrà avanti dal punto di vista istituzionale senza grossi scossoni.

Adesso spostiamo l’attenzione su come governare più seriamente la ripresa, su come utilizzare bene e alla svelta i fondi europei, su come ridare slancio al Paese con occhio a coloro che vivono e rischiano grosse sofferenze. I disfattisti hanno preso la loro botta e me ne compiaccio vivamente. Guai però se tutto finisse con lo scorno salviniano e/o con il ridimensionamento meloniano. La politica è molto di più e merita di più.