Lo sciopero tafazzista

É stato indetto uno sciopero dai sindacati di base per le giornate del 24 e del 25 settembre e riguarda tutto il mondo della scuola e dell’università: personale dirigente, docente, Ata, Ricerca. Le sigle interessate – Unicobas Scuola e Università, Usb P.I., Cobas Scuola Sardegna e Cub Scuola Università e Ricerca – non raccoglieranno forse un’adesione massiccia, ma potrebbero provocare comunque disagi notevoli, facendo incrociare le braccia a docenti, personata Ata, ausiliari, tecnici e amministrativi delle scuole e delle università. «Non potrà essere garantita la didattica», la formula che adotteranno i dirigenti di elementari, medie e superiori. «Non si può sapere per tempo la portata dell’adesione allo sciopero, il preside non può infatti sapere prima quali e quanti docenti aderiranno alla protesta; ci sono rischi di nuove interruzioni», ha confermato il presidente dell’Associazione nazionale dei presidi, Antonello Giannelli.

La piattaforma delle rivendicazioni è ampia: si sciopera per chiedere investimenti veri nella scuola pubblica statale, classi con 15 alunni al massimo e un piano pluriennale serio per porre in sicurezza l’edilizia scolastica, l’assunzione di 240mila insegnanti, la stabilizzazione dei 150 mila precari con tre anni di servizio attraverso un concorso accessibile a tutti, l’aumento degli organici della Scuola dell’Infanzia, stabilizzazione diretta degli specializzati di sostegno e percorsi di specializzazione per chi ha esperienza pregressa. Oltre all’assunzione di almeno 50mila collaboratori scolastici «per ricoprire i paurosi vuoti in organico per la vigilanza» e l’incremento di 20mila fra assistenti amministrativi ed assistenti tecnici. Le risorse, fanno il conto i sindacati, nel Ricovery Fund ci sono.

Allo sciopero si aggiungerà il giorno successivo sabato 26 una manifestazione nazionale del Comitato «Priorità alla scuola» alla quale hanno dato il loro sostegno anche i sindacati rappresentativi del comparto scuola, da Cobas a Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola e Snals.

Non sono un esperto di politica scolastica, vedo chiaramente le insufficienze del sistema, ho notato benissimo come il governo abbia affrontato e stia affrontando in modo insufficiente e tardivo l’emergenza in questo importantissimo e fondamentale campo, ma proclamare uno sciopero in questo momento e in questa situazione, è semplicemente demenziale. Uno sciopero tafazzista!

Si sapeva che alla ripresa autunnale avremmo avuto un clima socialmente difficile, ma non pensavo si arrivasse a simili manifestazioni di irresponsabilità. Sì, perché la protesta è una cosa, la cagnara è altra cosa.

In questi giorni ho letto che il covid potrebbe avere conseguenze assai gravi anche sul cervello: non so se rientri nelle ormai solite sparate terroristiche o se il discorso abbia un certo fondamento scientifico.  Stiamo comunque attenti: il covid è un virus molto pericoloso in quanto può portare all’impazzimento anche sul piano dei rapporti sociali. Siamo tutti esasperati e frustrati dal clima di incertezza e di precarietà nella nostra vita. Se trasferiamo e scarichiamo queste tensioni nella società, siamo fritti in padella. Non è il momento di aggiungere benzina sul fuoco.

Prevengo ogni e qualsiasi accusa di anti-sindacalismo. Al riguardo so di avere le carte in regola. Nella partecipazione attiva alla vita politica ho aderito alla corrente democristiana sindacal-aclista, quella di Giulio Pastore prima e di Carlo Donat Cattin dopo. Ho sempre espresso una commossa e viscerale adesione alle battaglie sindacali.

Mi concedo anche una piccola digressione autobiografica. Mi è tornato infatti alla mente un piccolo episodio della mia vita in concomitanza con l’indizione dello sciopero di cui sopra. Eravamo nei primi mesi del 1969, avevo in tasca un fresco e brillante diploma di ragioniere, avevo appena incominciato a lavorare al centro elaborazione dati della Barilla, ero stato assunto in prova, c’era lo sciopero generale di solidarietà per i dipendenti della Salamini, azienda che stava per fallire. Ricordo con emozione il caso di coscienza che mi si poneva: aderire allo sciopero comportava qualche rischio non essendo ancora dipendente a titolo definitivo, gli stessi sindacalisti interni mi avevano concesso di comportarmi liberamente, i colleghi anziani facevano strani discorsi sull’opportunità di uno sciopero a loro avviso inutile, gli impiegati più scettici temevano di danneggiare ingiustamente la Barilla per colpa della Salamini. Credevo nel sindacato, nella solidarietà tra lavoratori, nello sciopero come diritto e come strumento di lotta, mi importava dei lavoratori della Salamini i quali stavano rischiando il loro posto e non mi preoccupava il fatto di creare problemi al mio datore di lavoro. Alla fine andai a lavorare col “magone” dribblando il cordone sindacale posto all’ingresso della fabbrica. In un certo senso aveva vinto l’egoismo anche se gli stessi sindacalisti non avevano preteso da me un atto di coraggio.

Concludo: lo sciopero è un diritto sacrosanto, uno strumento politico fondamentale, un modo serio per protestare: la storia è piena di lotte e di conquiste sindacali meravigliose.  Non sciupiamolo, non sprechiamolo, non abusiamone. Ce ne potremmo pentire amaramente.