La prigione dell’evasione

Riprendo una, banalmente tragica, notizia di cronaca da La Stampa. “Le statue e le strutture in cemento che richiamano i fasti dell’antica Roma devono essere stati un richiamo troppo forte e così una coppia di turisti a passeggio nella piazza principale di Tirrenia, sul litorale pisano, è entrata in quel giardino privato, di pertinenza dello stabilimento balneare Imperiale, e lei si è aggrappata con le braccia a una trave per farsi scattare una foto dal compagno. La struttura però ha ceduto di schianto colpendola alla testa e al collo. La donna, 43 anni, è morta quasi subito, prima ancora che arrivasse l’ambulanza. Ora saranno gli accertamenti disposti dal pm di Pisa Giovanni Porpora, che coordina le indagini dei carabinieri, a stabilire se sia stata una terribile fatalità o se la tragedia si poteva evitare”.

Alcuni giorni or sono ero in forte ansia per un diluvio temporalesco che si stava abbattendo sulla città. La strada in cui abito era diventata un fiume in piena, causa anche le bocchette intasate dalle foglie, che non ricevevano più: c’era il rischio di allagare cantine e garage. Osservavo con apprensione la situazione di quasi emergenza, dopo essermi precipitato a sgombrare ed aprire al massimo gli scarichi cortilizi per prevenire il peggio. Ebbene, una persona esce in strada e si reca sul punto di massimo ingolfamento acquatico. Pensavo tentasse di agevolare il tiraggio di una bocchetta, invece si è fatta un selfie, è uscita dall’acqua ed è rientrata precipitosamente in casa.

Siamo diventati tutti cronisti della nostra vita, senza scrupoli e senza etica. Prima viene la forma dell’evento col suo clamore d’immagine e poi la sostanza del dramma. A costo di rimetterci persino la vita. Mia madre si chiederebbe: “Podral andär bén al mónd?”.  Sembrano sintomi trascurabili e inevitabili della leggerezza umana. Certamente, ma sono anche chiari indizi della perdita del senso e del significato della vita. Anche il Papa si piega a questo andazzo e si sottopone alla tortura dei selfie scattati dai suoi visitatori.

Tutti sono in vena di autocelebrazione, ognuno vuole sentirsi protagonista di se stesso, tutti in prima pagina ed effettivamente qualcuno ci arriva, magari lasciandoci le penne. Intendiamoci bene: sono molto dispiaciuto della morte di questa giovane e bella donna, mi immedesimo nel dramma del suo compagno, che le ha fatto da sponda in questo paradossale e sciocco gioco, la ritengo vittima di un andazzo stupido e perverso da cui dovremmo uscire. Le vacanze estive, quest’anno più che mai, non sono state una meritata occasione di relax e divertimento, ma un ossessivo e controproducente sfogo sbattuto in faccia ai problemi. Tutto sempre sopra le righe, alla ricerca della trasgressione, dell’avventura. La disgrazia capitata a Tirrenia è solo una piccolissima, ma non trascurabile, punta dell’iceberg.

Di fronte alla frenetica impostazione delle vacanze e dell’evasione in genere (che rischia di essere una prigione peggiore della monotonia quotidiana) con bagni di folla nelle discoteche, nelle movide, etc. etc., mi viene spontaneo ricordare l’asciutta e pur simpatica verve di mio padre.  Si alzava molto presto al mattino per andare a curiosare tra i pescatori al porto e per godere il clima mattutino. Nuotava alla marinara, detestava gli scherzi in acqua (lui così scherzoso sulla terra ferma), non riusciva a leggere il giornale (un punto irrinunciabile della sua giornata) in spiaggia per effetto della brezza, che glielo spiegazzava continuamente, amava il sole e si esponeva molto volentieri senza preoccuparsi nei primi giorni, quando si notava l’impronta della canottiera (aveva lavorato al sole), e senza temere scottature o arrossamenti. Una giornata incrociò una bella bagnante che gli disse con fare materno: “Che scottatura, lei stanotte non dorme!” E mio padre di rimando: “Bene, così penserò a lei”. Era un bagnante sui generis, stava volentieri in compagnia con noi ragazzi, adolescenti, ma non era invadente e ci lasciava vivere in pace: ricordo ancora le risate che ci procurava con la sua tipica nonchalance. Era un uomo distensivo anche se qualche volta era tenuto al guinzaglio, si fa per dire, da mia madre. Sopportava con fatica il camminare sulla sabbia bollente e ripeteva al riguardo un vecchio adagio: “Magnär sensa bévor, fär l’amór sensa tocär, caminär int al sabión, j én tre cozi da cojón”. Aveva un suo specifico modo di godere la vacanza, piuttosto contagioso, ma semplice, liberale ed aperto agli altri. E se provassimo a fare così???