Le donne portano i pesi e subiscono le misure

In un momento storico in cui la società dovrebbe cambiare (il condizionale è d’obbligo), affinché questo anelito non resti la versione parolaia del dopo-covid, occorre cercare, come ci consiglia Archimede, un punto d’appoggio per mutare il mondo. Pochi giorni or sono “Donna”, il supplemento settimanale de La Repubblica, ha individuato le 100 donne che cambiano il mondo: attiviste, scienziate, economiste, politiche, artiste, ambientaliste, scrittrici, sportive. Se il futuro sarà migliore per tutti lo dovremo (anche) a loro. Personalmente vorrei togliere “anche” e sostituirlo con “soprattutto”. Passo ad esporre brevemente (?) i miei dubbi, le mie perplessità e le mie speranze al riguardo.

Tra la televisione e i social che presentano e sfruttano la donna oggetto, la sociologia che la individua come motore del mondo che cambia, la psicologia che la analizza come oggetto della maschile violenza estrema e la politica che si riempie la bocca di pari opportunità ma finisce col relegarla al ruolo di moglie e compagna da soma non so se trovare un perfetto legame o una drastica discontinuità. Se sono le donne a determinare in gran parte i consumi, esse stesse diventano almeno complici della macchina consumistica per eccellenza, vale a dire dei media che (a dir poco) le propongono in scosciamento, sculettamento e stettamento continuo. I media sono infatti sorgente e foce del consumismo, centro e culmine del sistema, strumento e scopo del capitalismo spendaccione. E perché le donne non reagiscono a chi le vuole turlupinare con la parità in materia pensionistica senza tener conto di un’intollerabile disparità di diritti (stipendi, carriere, precariato etc.)? Le discutibili analisi sociologiche cui ho fatto riferimento ritagliano alla donna un ruolo di primo piano: possono aiutare a capire l’influsso della galassia femminile sulla politica e sulle scelte elettorali ai vari livelli.

Già dal punto di vista quantitativo l’elettorato femminile italiano (e non solo italiano) è in netta prevalenza, se aggiungiamo il dato qualitativo, arriviamo, in teoria, ad una sorta di democrazia a misura di donna. Allora perché sono così scarsamente rappresentate nei diversi consessi, dal parlamento ai consigli di circoscrizione? Perché spesso ricoprono il ruolo di battitrici libere in senso deteriore, di mero supporto al potere, di compiacenti comparse di regime?  Perché subiscono imperterrite un super-lavoro fatto di pulizie della casa, di preparazione dei cibi, di effettuazione della spesa, di cura dei figli, di assistenza agli anziani, supplemento quantificato dall’Istat in due ore medie giornaliere? Forse la peggiore delle risposte viene dal fatto che proporzionalmente alla conquista femminile di spazi culturali di autonomia sale la violenza maschile che “uccide” le donne, nel senso di tarpare loro le ali, di strumentalizzarne le doti, ma anche nel senso della concreta e fisica “eliminazione per amore”. Mi chiedo soprattutto il motivo per cui molto spesso le donne restano imprigionate nella loro vis polemica, consumata in superficiali conflitti con le persone, a scapito di una sacrosanta battaglia contro il sistema che finisce col ghermirle irrimediabilmente dal punto di vista psicologico, sociale, economico e politico. Ho profonda stima e grande ammirazione per l’universo femminile e quindi vorrei capire.

Gli scatenati sociologi sostengono che la rivoluzione rosa nei consumi si basi sulle scelte delle donne dettate da autonomia economica, sano pragmatismo e maggiore informazione: teoria assai discutibile. Provo a ribaltarla, se possibile, sul campo politico. La maggiore disponibilità reddituale dovrebbe comportare una notevole resistenza ai messaggi fasulli della propaganda elettorale continua. La concretezza di scelta dovrebbe smascherare le promesse puramente demagogiche di cui la politica è zeppa. L’abbondante informazione posseduta (quale poi?) dovrebbe scoprire la realtà delle proposte programmatiche nella loro superficialità di dibattito e di scontro.

Proviamo a ragionare sull’aspetto superficiale delle donne: sono spesso belle, eleganti, affascinanti (se non è ancora chiaro, le donne mi piacciono molto: di uomo ci sono anche troppo io), emancipate, indipendenti; soprattutto lavorano, spendono, fanno vacanze, leggono, vanno al cinema ed a teatro, escono con le amiche. Dell’improvvisato campione dovrebbero far parte anche le persone sole, maltrattate, sfruttate, disoccupate, immigrate. I dati regionali sull’immigrazione attestano che a Parma le donne immigrate sono quantitativamente prevalenti rispetto agli uomini e costituiscono una percentuale ragguardevole ed in costante aumento sul totale della popolazione femminile. E allora perché le une e le altre non comprendono l’imbroglio di una società fumosa, virtuale e vanagloriosa? Le prime magari si illudono di vivere nell’alta società, le seconde non contano niente.

Perché concedono fiducia ad una classe politica vuota? Perché si lasciano incantare ed incartare dalla politica dell’immagine? Perché? Non ho la risposta facile. Ne azzardo una. Non c’è donna o uomo che tenga. Se manca un forte ancoraggio ai valori, se non esiste memoria storica, se trionfa l’egoismo, se vale più l’apparire dell’essere, se l’altro è visto come un competitore, se il lavoro è vissuto in funzione della carriera, l’eventuale rivoluzione rosa cambierà il colore ma non la sostanza della nostra società. Mi permetto pertanto di suggerire alle donne tre piste di contestazione al regime.

Quella della concretezza. Vogliamo smascherare o quantomeno verificare la società modello, quella dei servizi alla persona? Facciamo la prova finestra dei bisogni concreti, quelli di cui le donne sono inevitabilmente subissate: gli asili nido, le scuole materne, le case di riposo, l’assistenza domiciliare agli anziani, i trasporti pubblici, l’assistenza sociale alle famiglie in crisi, l’alloggio a canone accessibile e via discorrendo. Lungi da me relegare la donna nel forzoso ruolo di casalinga operatrice sociale, ma è innegabile come sia il soggetto portante il peso maggiore di certi problemi e sarebbe opportuno riuscisse a sottoporre ad un esame spietatamente critico la nostra fumosa perfezione.

Quella della correttezza. Proviamo a scovare l’affarismo che ci attanaglia? Chissà perché penso sia più un vizio maschile che femminile. Consegnerei volentieri alle donne una virtuale scopa per una spietata pulizia da tutti i legami sporchi tra potere politico e potere economico: impegnate nella battaglia contro la corruzione, ben lontane dalla facile “puttaneria di regime”.

Quella della semplicità. Basta con le sceneggiate, finiamola con le chiacchiere, andiamo al sodo, usiamo la cartina di tornasole della solidarietà: a chi può rivolgersi una donna emarginata, con problemi esistenziali insormontabili, vittima di violenza, imprigionata nella sua debolezza economica e sociale? Anche su questo piano ho maggior fiducia nelle donne. Se vogliono, sanno essere attente agli altri, senza demagogia ma con tanta disponibilità.

Sia chiaro! Non auspico una spersonalizzazione della donna, al contrario vedrei bene una femminilizzazione giocata in chiave contestatrice del sistema e non avida nel divorare le sue briciole. Impegnata in una battaglia per l’effettiva parità dei diritti e possibilmente non dei difetti.

Si nota qualche significativa presenza femminile nella classe dirigente, a livello politico (ministri, parlamentari, assessori, consiglieri), sociale (sindacalisti), economico (dirigenti aziendali), burocratico (pubblici funzionari), mediatico (giornalisti e persino direttori di giornali), ma ho l’impressione che tutto resti bloccato dalla storica mancanza di fiducia della donna verso le sue simili e da una sorta di “complesso” frenante, fasullamente superato con l’esibizionismo. Alla fine sostanzialmente ne viene opacizzato l’apporto culturale e ne viene marginalizzata la verve. Resta solo la solita equivoca corsa all’immagine. Coraggio!  Per determinare qualche cambiamento bisogna “lavorare di gomito”, senza pietà e senza paura di sbagliare. Tanto, peggio di così… Forse mi illudo, ma a qualcuno bisogna pur attaccarsi. Proviamo convintamente con le donne. Chissà!