Il sogno a occhi aperti sul razzismo

Sulla scalinata del Lincoln Memorial il 28 agosto del 1963 l’allora leader del movimento per i diritti civili pronunciò il suo celebre “I have a dream”. Martin Luther King, che fu poi ucciso a Menphis nel 1968, sognava un’America senza razzismo, pacificata e integrata. Sono passati 57 anni e quel sogno non è mai stato così lontano dalla realtà come in questo periodo e così vivo nel mio animo. Riprendo di seguito le cronache di questi giorni.

Il 28 agosto 2020 a Washington erano migliaia i manifestanti, arrivati da varie parti degli Usa per ricordare quel discorso che ha segnato la lotta per i diritti civili degli afroamericani e per tutte le minoranze negli Usa. La manifestazione è caduta in coincidenza della nuova ondata di proteste per il caso Blake, il giovane afroamericano di Kenosha, in Wisconsin, colpito alle spalle dalla polizia e rimasto paralizzato, ma arriva anche nell’anno della barbara uccisione di George Floyd ad opera della polizia avvenuta a Minneapolis. La Casa Bianca è blindata, con centinaia di poliziotti e uomini del secret service schierati. Gli interventi più’ attesi sono stati quelli del reverendo Al Sharpton e quello del figlio di Martin Luther King.  La manifestazione di quest’anno era intitolata “Marcia dell’impegno, metti giù il ginocchio dal collo”, proprio in memoria di George Floyd, l’afroamericano soffocato dal ginocchio di un poliziotto a Minneapolis, pratica diffusa dalle forze dell’ordine durante gli arresti. “Non vogliamo solo che questa sia un’estate di malcontento”, ha detto il reverendo Al Sharpton, organizzatore della marcia: “Vogliamo fare come 57 anni fa, andare dal Governo nazionale e dire che abbiamo bisogno di una legislazione”. Gli attivisti chiedono l’approvazione di una legge ferma al Senato che consenta di perseguire gli agenti di polizia per cattiva condotta e per abuso di potere. Tra gli speaker della manifestazione anche i familiari di Floyd e di Jacob Blake, l’afroamericano colpito con sette colpi di pistola dalla polizia di Kenosha in Wisconsin. “Aspettiamo l’uguaglianza da trecento anni”, ha sintetizzato Don Carlisle, un cinquantenne arrivato presto con un gruppo di amici. “Tecnicamente, abbiamo costruito questo Paese e siamo ancora trattati in modo ingiusto”.  Per protesta si è fermato anche lo sport.

Donald Trump “non ha nemmeno menzionato il nome di Jacob Blake”, né ha menzionato i manifestanti uccisi a Kenosha, nel discorso alla Casa Bianca che ha dato il via alla sua campagna per le elezioni presidenziali del 3 novembre, ha sottolineato il reverendo. “Dimostra che c’è ancora molto lavoro da fare”.  Ieri sera si sono registrate numerose proteste nei pressi della Casa Bianca dopo il discorso di accettazione della candidatura alla presidenza da parte di Trump che, durante la Convention, ha ripetutamente indicato i recenti casi di saccheggi e distruzioni, durante alcune proteste nelle città’ guidate dai democratici, come prova che il candidato presidenziale democratico Joe Biden sarebbe la scelta sbagliata. Biden ha criticato il modo in cui Trump ha gestito i disordini per l’ingiustizia razziale, affermando di aver gettato benzina sul fuoco.

Intanto oggi la Cnn divulga la notizia che Blake è ammanettato al suo letto d’ospedale: lo ha denunciato la sua famiglia. Lo zio di Blake, Justin Blake, ha detto all’emittente usa che il padre del 29enne è andato a trovare il figlio nell’ospedale di Wauwatosa (Wisconsin), dove è ricoverato, e gli si è “spezzato il cuore” quando lo ha visto ammanettato. “Questo vuol dire aggiungere la beffa al danno”, ha commentato Justin Blake. Il giovane, ha proseguito, “è paralizzato e non può camminare e loro lo tengono ammanettato al letto. Perché?”. Come è noto, Blake è stato colpito alla schiena domenica scorsa da sette proiettili sparati da un poliziotto di Kenosha mentre cercava di entrare nella sua auto dove lo aspettavano i suoi tre figli piccoli. Il video del fatto ha fatto il giro del web infuocando di nuovo le proteste antirazziali e creando scene da guerra civile.  “Non ho alcuna comprensione personale del motivo perché sarebbe necessario tenerlo ammanettato”, ha detto il governatore del Wisconsin, Tony Evers, ai giornalisti. “Spero che potremo trovare un modo migliore e fare di più’ per aiutarlo a riprendersi”, si è augurato. Nel frattempo però né l’ospedale né la procura riescono a fornire ragioni della decisione. E la rabbia tra i cittadini afroamericani cresce, alla luce anche del trattamento indulgente che gli agenti avrebbero riservato al 17enne bianco responsabile dell’uccisione di due afroamericani nella notte di guerriglia a Kenosha.

La Casa Bianca ha contattato per la prima volta la famiglia di Jacob Blake. A parlare con sua madre però non è stato il tycoon ma il suo chief of staff Mark Meadows, che ha riferito di aver espresso il sostegno del presidente e di aver apprezzato l’appello alla pace da parte della donna, sullo sfondo delle proteste razziali. Sì, perché Donald Trump sta impostando la sua campagna elettorale sulla “difesa dei cittadini onesti contro le frange radicali che scatenano proteste violente”. Economia e ordine sono i suoi temi chiave e non a caso accusa il campo democratico di estremismo e socialismo. È estremismo protestare contro vomitevoli rigurgiti razzisti sostanzialmente coperti se non fomentati dalla Casa Bianca? Reagire alla violenza non è violenza, anche se la reazione a volte può sconfinare in episodi di rivalsa e di vendetta. Martin Luther King era fautore di un movimento non violento ed è molto opportuno il richiamo alla sua predicazione, al suo sogno che rimane vivo. È ordine reprimere con la forza gli scontri innescati da episodi di chiaro stampo razzista? Il razzismo è tuttora presente nel dna della società americana e Trump fa finta di niente, fa il pesce in barile. Accettando la nomination repubblicana ha sostenuto: «L’America non è soffocata dalle tenebre, è una fiaccola che illumina il mondo».

Il figlio maggiore di Martin Luther King grida: «Non ne possiamo più. C’è un ginocchio sul collo della democrazia e la nazione non potrà sopravvivere a lungo senza l’ossigeno della libertà. Ma la speranza non è ancora svanita, il cambiamento è ancora possibile e si ottiene con qualcosa di più delle marce e dei discorsi retorici. Si ottiene quando è data a tutti la possibilità di votare…». L’accesso al voto per i neri resta ancora difficile, ma essi non si devono stancare di lottare e di votare senza ricorrere alla violenza. Donald Trump fa finta di temere i brogli e quasi certamente butterà in rissa l’esito elettorale qualora fosse a lui sfavorevole. Tanto per cominciare pone ostacoli al voto dei neri, poi si vedrà… Chiediamoci il perché a distanza di oltre mezzo secolo siamo ancora incatenati alle discriminazioni razziali e, sia chiaro, non nell’ultimo dei Paesi africani, ma nel primo dei cosiddetti Paesi civili e democratici. Una stupenda canzone di Bruno Martino diceva: “E la chiamano estate questa estate senza te, ma non sanno che vivo ricordando sempre te…”. Oso parafrasarla nel seguente modo in ricordo di Luther King e della mia giovinezza da lui illuminata: “E la chiamano democrazia questa democrazia senza te, ma non sanno che vivo ricordando sempre te…”. E sia chiaro che chi pensa di squalificarmi definendomi un inguaribile sognatore, sappia che mi fa il più bello dei complimenti.