I nervi scoperti della gioventù

In questi giorni mi va di toccare, senza troppi riguardi e con linguaggio forse poco corretto, argomenti delicati, mi va di effettuare impietose analisi della realtà. Oggi è la volta dei giovani. Li osservo con relativa invidia, ma con molta pena. Li vedo così evanescenti, così stralunati, così persi dietro cose che non contano niente. E mi chiedo: cosa potrà risvegliarli da questo torpore valoriale ed esistenziale. Non certo gli anziani, che ne hanno fatto una sorta di brutta copia per i loro sogni inconfessabili. Non certo la famiglia che li vezzeggia e li foraggia in modo scriteriato. Non certo la scuola che li trascina su percorsi approssimativi e superficiali. Non certo la politica che li considera carne morta da cannoni disoccupazionali e deresponsabilizzanti. Dopo tutte queste risposte negative, mi convinco che solo le dure prove della vita potranno maturarli e costringerli a tornare coi piedi per terra e con la testa in avanti.

Una battuta che ho sentito ripetere da mio padre in occasione di rimproveri martellanti rivolti da madri o padri, un po’ isterici e troppo esigenti, ai loro figli bambini, magari per farli smettere certe abitudini (succhiarsi il dito pollice) o certi vizietti infantili (attaccarsi alle gonne della mamma) è la seguente: “A t’ vedrè che quand al se spóza al ne la fa miga pu”. Della serie diamo tempo al tempo. Oppure di fronte a certi comportamenti adolescenziali piuttosto caparbi per non dire testardi era solito commentare: “S’al fa tant a catäros la moroza a cambia tutt”. Certo mio padre non aveva a che fare con il problema droga, con le stragi del sabato sera, con la violenza gratuita dei giovani d’oggi, ma anche ai suoi tempi i problemi esistevano e lui adottava le sue ricette. La vita sentimentale e quella sessuale erano per lui due riferimenti importantissimi. Oggi purtroppo non è più così: tutto viene rapidamente consumato e non c’è il tempo per digerire e assimilare queste esperienze di vita. In fin dei conti però riteneva, come penso anch’io, che la vita, in un certo senso, ti costringa a maturare.

Può essere un grave lutto, una grave malattia, una sconfitta clamorosa, una delusione cocente a scuoterti e a costringerti a ripensare l’esistenza: vale per tutti, a maggior ragione per i giovani. Non vorrei, ma purtroppo credo sarà così e che fra questi eventi sconvolgenti ci sia il covid. Finora i giovani (non) l’hanno affrontato con noncuranza, pensando da una parte che non li riguardasse per motivi anagrafici, ritenendo, dall’altra parte, che la vita, intesa come libero sfogo nel divertimento a tutti i costi, non potesse essere condizionata da fattori esterni di carattere sanitario.

Cosa sta succedendo? I giovani si stanno ammalando, l’età media dei soggetti colpiti dal coronavirus si sta abbassando precipitosamente, i loro comportanti disinvolti al limite dell’irresponsabile li stanno buttando in pasto alla pandemia. Il covid, per tutti, ma anche per le recalcitranti giovani generazioni, si sta rivelando un fattore di sconvolgimento esistenziale: una gravissima e pericolosissima malattia, che sta diventando paradossalmente una terapia maturante.

Quando, durante la mia ormai lunga vita, ho vissuto esperienze di sofferenza in campo sentimentale, famigliare, umano in generale, mi sono rifugiato e mi sono consolato in e con un ragionamento: se ne uscirò, non potrò dire che sia andato tutto bene, ma avrò esperienza e maturità per affrontare le nuove prove della vita. Una sorta di allenamento, di preparazione, di rincorsa. Sento qualcuno che dice: “la sperànsa di malvestìi ca faga un bón invèron”. No, “la forsa ‘d prepareros al pés”. Per risalire occorre spesso toccare il fondo e noi lo stiamo toccando. I giovani se ne facciano una ragione. Si diano, come tutti, una mossa psicologica, si destino dal torpore delle movide, degli apericena e delle nottate in discoteca. Sarà dura, ma potrebbe essere anche un bene.  Tutto il mal non vien per nuocere. Masochismo bello e buono? Può darsi, ma…