Un sindaco ai Raggi x

Scrivo questo commento al buio, vale a dire senza conoscere l’esito della burlesca consultazione referendaria grillina sulla ricandidatura di Virginia Raggi a sindaco di Roma. Un tempo quando si voleva lasciare le cose come stavano si faceva una commissione, oggi i pentastellati, quando sono in difficoltà e non sanno che pesci pigliare, promuovono un referendum sulla piattaforma Rousseau dall’esito (quasi) scontato, dando l’impressione di essere democratici e lasciare decidere (?) ai loro sostenitori.

Anche solo per provare a giudicare l’operato di un sindaco bisognerebbe vivere per molto tempo nella città da esso amministrata. Personalmente ho bazzicato Roma molti anni fa con escursioni mordi e fuggi dovute a impegni di carattere professionale: ne ho sempre tratto l’impressione che nella nostra capitale anche il più piccolo dei problemi rischi di diventare insormontabile. Da allora in Campidoglio si sono succeduti diversi personaggi espressione di cangianti coalizioni politiche:  senza voler fare ingiustamente d’ogni erba un fascio, i romani, in un certo senso, le hanno provate tutte con risultati a volte discutibili, talora  insoddisfacenti, spesso addirittura sconfortanti. Stando ai dati emergenti dai monitoraggi mediatici, la città vive in un’emergenza continua ed articolata, dai rifiuti ai trasporti, alla viabilità.

Quando le cose vanno male, sembrerebbe relativamente facile decidere per il cambiamento: peggio di così, si dice, non potrà andare. Invece Roma dimostra che non c’è alcun limite al peggio, sembra che la politica si sia accanita contro la capitale promuovendola a “vituperio delle genti”. Il problema che però sta a monte del giudicare gli amministratori pubblici dovrebbe consistere nell’individuare se ed in quale misura le cause del male siano remote o recenti. Gli ultimi anni, quelli della sindacatura raggiana, hanno migliorato o peggiorato la situazione proveniente dalle amministrazioni precedenti? A questo problema se ne aggiunge un altro: Virginia Raggi ha avuto il tempo sufficiente per almeno avviare un processo di cambiamento, lasciando magari intendere di avere delle idee bisognose però di un certo lasso di tempo per ottenere qualche benefico effetto?

Ai suddetti interrogativi dovrà rispondere l’elettorato romano, e prima ancora, la base degli iscritti pentastellati chiamata frettolosamente a pronunciarsi. Mi sembra che il discorso possa così ridursi ai minimi termini: Virginia Raggi merita una prova d’appello o deve fare le valige e togliere il disturbo? La politica ormai, a tutti i livelli, ci propina personaggi inadeguati al ruolo, che dovrebbero ricoprire, per impreparazione, inesperienza, incapacità, inettitudine. Più il compito è arduo più l’inadeguatezza diventa dannosa e clamorosa. Fare il sindaco di una grande città come Roma è un’impresa estremamente difficile: nessuno ha la bacchetta magica, ma qualche qualità dovrebbe pur credibilmente presentarla.

Temo che l’esperienza dell’amministrazione Raggi, per come si è formata, per come si è concretizzata e per come si è logorata, non dia sufficienti garanzie. L’interessata se ne dovrebbe rendere conto, ma purtroppo, con i tempi che corrono, nessuno osa farsi da parte: non lascia, ma vuole raddoppiare. Chi ha o può trovare qualcosa di meglio si dia da fare: vale per i grillini, vale per tutti. Nessuno si può presentare esibendo un passato virgineo; i pentastellati ci hanno provato ma non ci sono riusciti.

La città di Parma con l’allora grillino Federico Pizzarotti tentò di giocare la carta del nuovismo a tutti i costi, che, strada facendo, si è trasformata – rendendosi vieppiù autonoma rispetto “all’ideologia pentastellata” – nel continuismo a basso costo, vale a dire in un’ordinaria amministrazione di tipo condominiale,  che punta a mettere un po’ d’ordine nei conti, a sistemare qualcosa, ma soprattutto a non fare ulteriori buchi ed errori. Parma ha segnato l’inizio del pretenzioso grillismo governante e, seppure a livello periferico, ne ha comportato la fine. La Raggi non ha avuto la freddezza e la serietà di sottoporsi ad un simile bagno di umiltà e rischia quindi di essere la coda in cui sta il veleno del fallimento dei cinque stelle. La Raggi si ripropone goffamente come una sorta di amministratore di sostegno per una città in cui la politica non è in grado di svolgere la sua funzione: troppo tardi per una simile auto-retrocessione, troppo presto per rinunciare alla sfida politica di alto livello. Meglio la Raggi di un salto nel buio? Proverei prima a dissipare le tenebre accendendo una piccola fiamma. Lo dico non per dare un dispiacere ai grillini, non per fare un assist al partito democratico, non per sfidare la destra a misurarsi nel concreto, ma per il bene dei Romani, di Roma e dell’Italia.