Capitalismo, la luna, il coronavirus e tu

La gara per la conquista dello spazio rappresentò “l’aspetto sportivo” della guerra fredda tra l’Urss e gli Usa: la prima tappa fu vinta dall’Unione Sovietica col lancio del primo uomo,  Jurij Gagarin, che portò a termine con successo la propria missione il 12 aprile 1961 a bordo della Vostok 1 ed ebbe una carriera politica tale da incarnare l’estrema politicizzazione della navigazione nello spazio .

In seguito a questo storico volo, che segnò una pietra miliare nella corsa allo spazio, Gagarin divenne infatti una celebrità internazionale e ricevette numerosi riconoscimenti e medaglie, tra cui quella di Eroe dell’Unione Sovietica, la più alta onorificenza del suo paese. La missione sulla Vostok 1 fu il suo unico volo spaziale, anche se in seguito venne nominato come cosmonauta di riserva nella missione Sojuz 1, conclusasi in tragedia al momento del rientro con la morte del suo amico Vladimir Komarov. Successivamente Gagarin fu vice direttore del centro per l’addestramento cosmonauti, che in seguito prese il suo nome. Nel 1962 venne eletto membro del Soviet dell’Unione e poi nel Soviet delle Nazionalità, rispettivamente la camera bassa e la camera alta del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica. Per ironia della sorte Gagarin morì nel 1968 a seguito dello schianto del MiG-15 su cui si trovava a bordo in occasione di un volo di addestramento.

La seconda tappa vide il trionfo americano con lo sbarco sulla luna. Apollo 11 fu la missione spaziale che portò i primi uomini sulla Luna, gli astronauti statunitensi Neil Armstrong e Buzz Aldrin, il 20 luglio 1969. La prima passeggiata lunare fu trasmessa in diretta televisiva per un pubblico mondiale. Nel mettere il primo piede sulla superficie della Luna Armstrong commentò l’evento come “un piccolo passo per [un] uomo, un grande balzo per l’umanità”. Apollo 11 concluse la corsa allo spazio intrapresa dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica nello scenario più ampio della guerra fredda, realizzando l’obiettivo nazionale che il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy aveva definito il 25 maggio 1961 in occasione di un discorso davanti al Congresso degli Stati Uniti: “prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra”.

Questa stratosferica gara fu in gran parte fine a se stessa e venne infatti seguita dalle tifoserie nazionali e internazionali al di là di quelle che potevano essere le conseguenze socio-economiche per il progresso mondiale. La guerra fredda è finita (?) o meglio ha preso altre pieghe, altre dimensioni e altri protagonisti anche se il discorso ritorna continuamente d’attualità assumendo, con la fine delle ideologie, sempre più spudoratamente connotazioni meramente economiche. La corsa al vaccino anti-covid ha scatenato immediatamente gli appetiti delle grandi potenze e dei loro inqualificabili leader.

Moderna, un’azienda statunitense di biotecnologie, ha annunciato che il governo degli Stati Uniti si è assicurato una fornitura per 100 milioni di dosi di mRNA-1273 (vaccino anti-Covid) per una cifra pari a 1,5 miliardi di dollari. È inoltre prevista l’opzione per gli Stati Uniti di acquistare ulteriori 400 milioni di dosi. “Apprezziamo la fiducia del governo americano nella nostra piattaforma di vaccini mRNA e il costante supporto”, ha affermato Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna. “Stiamo portando avanti lo sviluppo clinico di mRNA-1273, con lo studio di Fase 3 in corso condotto in collaborazione con NIAID e BARDA. Parallelamente, stiamo aumentando la nostra capacità di produzione con i nostri partner strategici, Lonza, Catalent e Rovi, per affrontare questa emergenza sanitaria globale con un vaccino sicuro ed efficace”.

Gli Usa battono e la Russia risponde. “Stamattina per la prima volta al mondo è stato registrato un vaccino contro la nuova infezione da coronavirus”. Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato così il via libera del ministero della Sanità al primo farmaco contro il Covid, che a sua figlia è già stato somministrato. Si chiamerà Sputnik V per analogia con il lancio del primo satellite artificiale terrestre nel 1957. “Lo Sputnik-1 – si legge sul sito dedicato al vaccino – ha intensificato la ricerca spaziale in tutto il mondo. Il nuovo vaccino russo contro il Covid-19 ha creato un ‘momento Sputnik’ per la comunità mondiale. Dunque il vaccino è stato chiamato Sputnik V”. Sviluppato dall’Istituto Gamaleya di Mosca, ha iniziato la fase 3 dei test clinici – che normalmente dura mesi e coinvolgono migliaia di persone – soltanto la scorsa settimana, motivo per cui suscita molto scetticismo all’interno della comunità scientifica, perplessa dalla volontà di Mosca di volerlo registrare prima della fine della sperimentazione.

A questi signori non interessa niente della vita di milioni di persone, interessa il business miliardario della commercializzazione del vaccino. C’è da tremare perché la scienza si dovrà piegare ai tempi ed ai modi di questa corsa affaristica planetaria con i conseguenti dubbi sull’efficacia e sulla innocuità del vaccino e perché la sua somministrazione avverrà probabilmente secondo criteri aberranti.

Giorgio Ruffolo ha scritto un libro dal titolo invitante e, almeno per me, inquietante: “Il capitalismo ha i secoli contati”.  La descrizione del libro è così sintetizzata: “Alcuni sostengono che il capitalismo avrebbe imboccato una strada di autodistruzione di cui si può prevedere il necessario percorso e la sua inevitabile fine. Per Giorgio Ruffolo non è vero. Non c’era niente, nel passato del capitalismo, che fosse necessario e inevitabile. E non c’è niente di simile nel suo futuro. Perché le origini del capitalismo possono essere rintracciate ben prima della nostra epoca, prima dell’emersione del volto potente e inquietante dell’impresa contemporanea. Perché già l’antichità dell’Occidente, tra Grecia e Roma, conteneva in sé i segni di quella attrazione verso il denaro e verso la produzione di valore che costituisce l’essenza della produzione e dello scambio capitalistico. Il passato del capitalismo gode quindi una durata straordinariamente lunga, e questo spinge Ruffolo a guardare al futuro nella certezza che il capitalismo non avrà vita troppo breve. Perché esso ha dentro di sé la capacità di adattarsi ai tempi più diversi, l’elasticità necessaria a catturare l’immaginazione degli uomini di qualsiasi epoca, gli strumenti indispensabili per continuare a essere lo scenario economico del futuro”.

Molti si rallegreranno, ormai pochi si schiferanno, tutto il mondo è capitalistico, la gara a chi lo è di più è aperta e sicuramente il covid 19 è l’occasione che fa il capitalismo ancora più ingiusto e vorace. E pensare che si continua a dire che “col coronavirus niente sarà più come prima”. C’era una importante canzone degli anni cinquanta del secolo scorso intitolata “Come prima più di prima”: la possiamo intonare ad amaro commento degli sviluppi capitalistici nella lotta al coronavirus.