Le pentole del post-comunismo

Riporto di seguito quanto scrive Giuseppe Agliastro, corrispondente de La Stampa. “Sono state elezioni all’insegna della paura e della più turpe repressione politica le presidenziali che si sono concluse ieri in Bielorussia. In questi mesi, gli oppositori sono stati sbattuti in galera, scherniti, costretti a fuggire o a nascondersi. Ma questo non ha fermato le proteste contro il regime di Aleksandr Lukashenko e nella tarda serata di ieri – dopo che le autorità hanno annunciato la vittoria schiacciante dell’«ultimo dittatore d’Europa» – si sono registrati scontri e nuovi arresti in diverse città del Paese, tra cui la capitale Minsk, blindata con polizia, esercito e mezzi militari.

I media danno notizia di alcuni feriti e dell’uso di granate stordenti e lacrimogeni da parte degli agenti e il timore è che il governo ricorra a un uso sproporzionato della forza contro i dimostranti che da mesi scendono in piazza a decine di migliaia sfidando colui che stringe in pugno il Paese da oltre un quarto di secolo. La candidata di spicco dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, ha chiesto di evitare in ogni modo la violenza, ma ha anche messo in discussione i controversi risultati elettorali. «Credo ai miei occhi e vedo che la maggioranza è con noi».

La popolarità di Lukashenko è in caduta libera, gli exit poll governativi indicano però il satrapo bielorusso come il vincitore delle elezioni con l’80% dei voti, la solita maggioranza bulgara a suo favore. Molto distante Tikhanovskaya, data al 6,8%. Ma è dal 1995 che l’Osce boccia le elezioni in Bielorussia perché non rispettano gli standard democratici. Incalzato dalle proteste, Lukashenko ha fatto arrestare gli oppositori più scomodi e li ha accusati di essere in combutta coi 33 presunti mercenari russi arrestati a Minsk con l’accusa di voler destabilizzare il Paese. «Lukashenko ha chiarito di voler mantenere il potere a ogni costo», ha spiegato alla Reuters il politologo Aleksandr Klaskovsky. «La domanda è a che prezzo».

C’è poco da fare, la democrazia non si conquista dall’oggi al domani: è caduto il muro di Berlino, si è sfaldato l’impero sovietico, alcuni Paesi dell’est-europeo hanno aderito all’Ue, la storia ha camminato, ma la democrazia è stata rinviata a data da destinarsi, perché ha bisogno di maturare nelle coscienze delle persone prima e più che negli assetti istituzionali.

Aveva ragione Gorbaciov quando teorizzava un percorso progressivo di cambiamento e ristrutturazione; avevano ragione gli amici di Ceausescu quando definivano un semplice colpo di stato la caduta del regime rumeno; ha ragione chi sostiene che è stato troppo rapido e sbrigativo il percorso europeo di alcuni stati post-comunisti dell’Est.

Scoperchiare le pentole senza abbassare il livello del gas ottiene solo il risultato di avere una tracimazione devastante: è successo nella ex Iugloslavia, è successo in Russia e Paesi collegati, succede in Polonia e Ungheria. Le macerie del comunismo non sono state rimosse ma riciclate e dalla padella in parecchi casi si è finiti nella brace. Il caso della Bielorussia è emblematico. A noi non rimane che fare il tifo per gli oppositori a questi regimi: hanno davanti una vita molto difficile, una strada in salita. D’altra parte è sempre stato così: in democrazia non ci si va in carrozza. I regimi autoritari trovano il modo di sopravvivere con le mance generalizzate di regime: meglio un piatto di minestra garantito che un cenone promesso.

Tempo fa mi raccontava un amico di avere ascoltato gli sfoghi di un ex carcerato: li traduco in italiano, anche se in dialetto avevano ben altra forza espressiva. “In galera, tutto sommato, non si sta male, nessuno ti rompe le scatole, si mangia a sbaffo, si guarda la televisione…”. È tutta questione di sensibilità e di mentalità. Non è un caso se molti finiscono col ritornare in carcere. Il carcere educa al carcere. La dittatura educa alla dittatura. Deve intervenire una “cruenta” rottura di schemi, altrimenti anche le migliori intenzioni dei pochi finiscono nel dimenticatoio dei molti. È pur vero che sono le minoranze che fanno la storia, ma non sempre sono minoranze positive e costruttive.

In questi giorni ho rivisto la stupenda inchiesta di Sergio Zavoli “Nascita di una dittatura”. Quanti errori da parte dei partiti democratici, quante divisioni tra i socialisti, quante titubanze nei popolari, quante miopie sul nascente fascismo. Ci vollero anni di battaglie, ci volle una resistenza di popolo, ci volle una nuova classe dirigente purificata nel sangue per avviare una democrazia. E il percorso è ancora in atto. Il discorso vale anche per la Bielorussia e per i Paesi di quella collocazione geo-politica. Cosa possiamo fare noi? In gioventù scendevo in piazza assieme a tanta gente. Oggi le uniche piazze riempite in modo ficcante sono state quelle delle “sardine”. Ma parliamoci chiaro: chi si preoccupa dello strapotere di Lukascenko? Sbagliamo a fregarcene, perché l’autoritarismo è una brutta pandemia, che si combatte solo con il vaccino democratico in costante e continua sperimentazione.