L’Italia degli ossimori

Palazzo Chigi, attraverso l’Avvocatura dello Stato, ha fatto ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar del Lazio, che aveva accolto l’istanza della Fondazione Einaudi per ottenere l’accesso agli atti del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile in base ai quali sono stati adottati i dpcm per far fronte all’emergenza covid 19. I giudici amministrativi hanno sospeso in via cautelare l’effetto della sentenza del Tar.

La Lega non perde l’occasione per attaccare il governo sulla secretazione degli atti del Comitato tecnico scientifico: Il gruppo del Carroccio al Senato ha scritto alla presidente Elisabetta Casellati perché metta in campo “tutte le iniziative istituzionali necessarie per permettere ai parlamentari di accedere agli atti, ai pareri e a ogni documento del comitato scientifico della Protezione Civile e utilizzati dal presidente Giuseppe Conte per emanare i dpcm”.

Il governo è contrario alla desecretazione. L’avvocatura parla di “danno concreto all’ordine pubblico e la sicurezza che la conoscenza dei verbali del Cts, nella presente fase dell’emergenza, comporterebbe sia in relazione alle valutazioni tecniche che agli indirizzi generali dell’organo tecnico”. Nella memoria si richiama poi, a titolo esemplificativo, “quanto avvenuto nel recente passato nel corso dell’emergenza epidemiologica in atto, in riferimento all’allarme sociale ingenerato dall’allora paventata chiusura delle scuole e previsione di limiti ai trasferimenti nel territorio nazionale ed alle problematiche, in alcuni casi anche di ordine pubblico, verificatesi nell’imminenza della decisione di creare una “zona rossa” in alcune regioni del nord Italia, a seguito della diffusione di notizie in ordine alle valutazioni effettuate dal Comitato Tecnico Scientifico”. Per questo secondo il governo “appare evidente che anche sotto il profilo dell’opportunità (…) sia legittimo confermare quanto meno il differimento dell’ostensione dei verbali in parola, al termine dell’emergenza in atto, vale a dire ad un momento nel quale possibili implicazioni derivanti dai medesimi verbali in parola, consentano una lettura più oggettiva rispetto all’attuale fase storica di emergenza e di allarme”. L’esecutivo quindi chiede di attendere almeno il 15 ottobre, quando scadrà la proroga dello stato di emergenza.

L’avvocatura inoltre ricorda che i Dpcm “sono atti amministrativi generali, frutto di attività ampiamente discrezionale ed espressione di scelte politiche da parte del governo che trovano la propria fonte giuridica nella delega espressamente conferita dal Legislatore all’esecutivo e rinvengono la propria ragione nell’esigenza temporanea ed urgente di contenere e superare l’emergenza epidemiologica causata dal Covid-19″. Per questo l’amministrazione ha ritenuto “che gli atti istruttori prodromici alla loro emanazione fossero sottratti ex lege all’accesso generalizzato”. Quanti spingono per rendere pubblici gli atti di cui sopra accusano il governo di “non fare sapere agli italiani quali sono le reali ragioni alla base degli innumerevoli decreti del Presidente del Consiglio”.

Staremo a vedere come finirà la diatriba giuridica. Non capisco quale possa essere lo scopo di conoscere i contenuti di questi documenti riservati se non quello di creare ulteriore confusione nel quadro delle opinioni scientifiche sulla base delle quali continuiamo a brancolare nel buio e di portare acqua al mulino dei negazionisti più o meno striscianti e ruspanti. La prudenza governativa inocula però ulteriormente nei cittadini il dubbio, peraltro già esistente, di essere stati tenuti all’oscuro della realtà. È un po’ come la questione del malato e del suo diritto a conoscere la verità sulla sua malattia: chi vuole rivelarla tutta senza pietà e cautela, chi ritiene sia meglio oscurarla e chi la vuole centellinare con estrema cautela a seconda delle prevedibili reazioni dell’interessato.

Non mi addentro pertanto nel merito della questione e mi limito a lapidarie, ironiche ed indirette riflessioni. Quando un mio simpatico zio invitava qualche persona a casa sua, tra il serio e il faceto, era solito dire: «S’at vol gnir a ca mèja, sta a ca tòvva…». In fin dei conti è l’atteggiamento paradossale che adottiamo davanti a tanti problemi. Adottiamo cioè l’etica degli ossimori, tendiamo a pensare e a comportarci in modo contraddittorio. Guglielmo Zucconi, giornalista, scrittore e parlamentare, con una stupenda battuta sosteneva simpaticamente che gli Italiani vorrebbero “i servizi segreti pubblici”. Ora siamo alle relazioni scientifiche riservate ma accessibili a tutti.

Nel nostro paese oltre i servizi segreti pubblici vorremmo i pentiti santi, i giudici perfetti e via discorrendo. Questo è un modo per lasciare le cose come stanno, salvo riprendere le lamentazioni alla prima occasione nel girone infernale del qualunquismo e della sfiducia rappresentanti il brodo di coltura ideale per tutte le minchiate politiche. Vorremmo sapere la verità fino in fondo per poi correre dietro ai mistificatori di turno. Il mondo è bello perché è vario: non c’è detto più popolare, ma non c’è nemmeno detto contro cui si scagliano maggiormente le animosità e i pregiudizi.