La rassicurante trasgressione in divisa

Non sono un tipo facile a scandalizzarsi: il tempo e la conseguente esperienza mi hanno insegnato a non stupirmi di niente, anche se questo atteggiamento piuttosto disincantato non significa indifferenza e insensibilità verso quanto succede intorno a me. In questi giorni emergono tuttavia realtà piuttosto sconvolgenti: dopo le torture in carcere su cui ho già scritto le mie riflessioni, dopo il carcere degli orrori è infatti la volta della caserma degli orrori.

Non si deve generalizzare, ma stupisce naturalmente il fatto che protagonisti di queste squallide vicende siano guardie carcerarie e carabinieri, che, evidentemente, si sentono al coperto per il fatto di indossare una divisa e legittimati ad approdare nel mondo della violenza, della droga, dei soldi sporchi, del sesso sfrenato, etc. etc. Rimane poi il dubbio che queste realtà siano direttamente o indirettamente tollerate dai loro superiori, che forse fanno finta di non vedere per carità (?) di arma. Ma probabilmente l’aspetto più grave riguarda i rapporti con la criminalità organizzata, la stretta interconnessione fra “guardie e ladri”.

Ne esce un quadro inquietante, una sorta di ordine pubblico abbandonato a se stesso, che rischia di avvalorare ulteriormente l’andazzo generale dell’inosservanza delle regole, del menefreghismo sociale, del “tana libera tutti”. Se l’ultimo giocatore nascosto riesce a raggiungere e a toccare la “tana”, potrà esclamare “tana libera-tutti”! o semplicemente “liberi tutti” (o “salvi tutti”), liberando così tutti i giocatori già catturati.

Non è più questione di mele bacate, ma dell’orto malato e fuori controllo. Ho la netta sensazione che la nostra società stia precipitando in una brutta china, dove non c’è limite al peggio. Non diamo tutta la colpa alla politica, anche se naturalmente essa ha le sue colpe. È la società che va alla deriva, spinta dalla mancanza di valori, dal venir meno del senso del dovere e della responsabilità. Non voglio esagerare, ma la situazione è questa e le caserme degli orrori non sono che la punta dell’iceberg, la istituzionalizzazione in divisa della trasgressione.

Scrive Roberto Saviano su La repubblica: “È una delle vicende più gravi della storia della Repubblica quella che riguarda la caserma “Levante” di via Caccialupo a Piacenza. Guardo le foto di questi carabinieri coinvolti nell’inchiesta, si atteggiano come rapper con cartamoneta in mano, vedo le immagini dei torturati. Leggo le accuse gravissime, le violenze e i pestaggi che hanno perpetrato certi dell’impunità (momentanea) data dalla divisa; leggo dei ricatti, delle estorsioni, dello spaccio di hashish ed erba. Leggendo in fila le carte delle inchieste degli ultimi anni l’Italia ne esce come un Narco-Stato”.

Nel mio piccolo sono d’accordo con Saviano, ma mi permetto di essere ancora più catastrofico e mi chiedo: se succede il finimondo in una caserma dei carabinieri, cosa potrà succedere e cosa sta succedendo nella società? Non so se la caserma “Levante” sia lo specchio deformato di una deriva etica in atto da tempo o sia una delle scintille che provocano o possono provocare l’etica dei “cazzi miei”. Certo che quando le guardie si confondono coi ladri vuol dire che il mondo è grigio e non è affatto blu, che stiamo vivendo una lunga progressiva notte in cui “ tutti i gatti sono bigi… È come se la notte, considerata solo come sottrazione (della luce), mancanza (del sole), sospensione (tra due giorni) si appropriasse di tutti i colori e stendesse un velo di uniformità anonima, livellante su tutto”.

Voglio però in conclusione fare un tuffo politico, non per rimangiarmi quanto sopra detto, ma per cercare una via d’uscita. Il nostro Paese sta vivendo, e non è la prima volta, un periodo difficilissimo, e i Partiti e la Politica hanno perso quel ruolo e quella credibilità che furono affidati loro dai fondatori della democrazia e della nostra Costituzione: una crisi che sembra senza ritorno. “Sl’è nota us farà dé” ripeteva spesso Benigno Zaccagnini in dialetto romagnolo, negli anni del terrorismo, ricordando un motto della Resistenza. Impegnarsi perché “si faccia presto giorno” è il modo migliore per reagire positivamente ad un andazzo clamorosamente devastante. Il settimanale Parmasette, con cui ho l’orgoglio di avere collaborato, nel buio degli anni settanta del secolo scorso, uscì con un editoriale dal titolo “Il male c’è ma Benigno”, alludendo alla innovativa e progressista segreteria democristiana di Benigno Zaccagnini. Purtroppo di Zaccagnini in giro non ne vedo, anche se mi ostino a cercarli. Resta il fatto che il male c’è e qualcosa bisogna pur fare.