Gli orrori del tragico tran-tran carcerario

Riporto la notizia prendendola da La stampa: “Torture in carcere, choc a Torino: “Detenuti picchiati tra le risate”. L’inchiesta della procura: 21 agenti accusati dei pestaggi. Indagato anche il direttore: «Sapeva ma nascose tutto». L’inchiesta scuote il carcere «Lo Russo e Cutugno» di Torino e racconta gli orrori che tra marzo 2017 e settembre 2019 si sarebbero consumati nei corridoi, nelle celle e negli spazi comuni dell’istituto. Con 21 agenti della polizia penitenziaria indagati per il reato di tortura. Con un direttore (anche lui indagato) che aveva ricevuto le denunce e avrebbe taciuto, consapevolmente. E – infine – con un comandante del personale che avrebbe addirittura fabbricato dossier falsi per «coprire» le condotte inumane dei suoi sottoposti.

Questa inchiesta scuote il travagliato mondo carcerario, ma dovrebbe scuotere anche la politica e soprattutto le coscienze dei cittadini. La vicenda si inquadra nel triste, paradossale e drammatico tran-tran delle nostre prigioni, dove si muore in continuazione e si soffre ben al di là della pena subita, con più o meno equa sentenza, e in barba al dettato costituzionale che, all’articolo 27, fissa il principio che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

La Costituzione ha cambiato il volto e la finalità della pena, ma non ha cambiato il carcere. Tutti lo sanno e, se escludiamo il partito radicale, la politica si volta dall’altra parte anche perché l’argomento non attira simpatie e voti elettorali. La cosa oltre modo grave emergente dall’inchiesta di cui sopra è che un’intera scala gerarchica avrebbe cercato di tacitare le precise segnalazioni che Monica Gallo, il garante dei diritti dei detenuti di Torino, aveva fatto dopo aver visitato i carcerati. «Numerose volte», scrive il pm Francesco Pelosi, titolare dell’inchiesta, si era rivolta al direttore per chiedere un intervento. Quest’ultimo invece «aiutava gli agenti a eludere le indagini dell’autorità omettendo di denunciare i fatti di cui era venuto a conoscenza». Che per i magistrati rappresentano «trattamenti inumani e degradanti». Torture. Gli investigatori hanno ricostruito più di venti episodi di violenze inaudite e inaccettabili.

Una lista nera che mi sento in dovere di riportare pari pari da quanto scrive il quotidiano La stampa, omettendo i nomi dei protagonisti. «Picchiavano e ridevano” scrive la procura nel capo di imputazione di alcuni agenti. Calci, pugni sputi. Come nel caso di un detenuto, pestato dentro la cella da tre agenti mentre due secondini facevano il palo sull’uscio per accertarsi che nessuno vedesse. Ad un altro detenuto «cagionavano acute sofferenze fisiche e un trauma psichico». Lo hanno costretto a rimanere in piedi nel corridoio della sezione a cui era assegnato per 40 lunghissimi minuti. Insultato e costretto a ripetere: «Sono un pezzo di merda». Sono entrati diverse volte nella sua cella «eseguendo perquisizioni arbitrarie, gettandogli i vestiti per terra, strappandogli le mensole dal muro, spruzzando detersivo per piatti sul suo materasso». Poi di nuovo pugni sulla schiena e schiaffi «indossando rigorosamente i guanti» annota il pm. Altri agenti, dopo aver accompagnato un detenuto in infermeria, gli urlavano: «Figlio di puttana, ti devi impiccare». Gli hanno rotto il naso, rischiato di sfondare l’orbita di un occhio, spezzato di netto un incisivo superiore. È capitato che dopo un pestaggio due secondini abbiano avvicinato la vittima minacciandola: «Se ti visiteranno per le lesioni – questo il senso del messaggio – devi dire che ti ha picchiato un altro detenuto». Altrimenti – chiosa la procura – «avrebbero usato nuovamente violenza su di lui di fatto costringendolo, il giorno dopo, a rendere dichiarazioni false ai sanitari». Ad un altro detenuto è andata peggio: «dopo averlo ammanettato e bloccato a terra in attesa che venisse eseguito nei suoi confronti un Tso, lo colpivano ripetutamente con violenti pugni al costato e, mentre lui urlava per il dolore, loro ridevano». Due sindacalisti dell’Osapp sono indagati per rivelazione di segreto d’ufficio. Grazie alle loro «soffiate» il comandante della polizia penitenziaria del carcere, aveva saputo di avere il cellulare sotto controllo nell’ambito di un’inchiesta sui pestaggi in carcere. Lui stesso «aiutava gli agenti ad eludere le investigazioni dell’Autorità, omettendo di denunciare i pestaggi e le altre vessazioni e conducendo un’istruttoria interna dolosamente volta a smentire quanto accaduto».

Si tratta di una inchiesta e non di una sentenza, ma comunque ce n’è abbastanza per inorridire e per rendersi conto, se mai ce ne fosse ancora bisogno, del clima esistente all’interno delle carceri. “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”. Le parole di Voltaire oggi suonano come condanna senz’appello della “civiltà” italiana: detenuti ben oltre il numero massimo ospitabile; agenti di custodia sotto il livello minimo; medici, psicologi e operatori sanitari che sono un miraggio dietro le sbarre. I Radicali con Rita Bernardini propongono con la nonviolenza di affrontare una realtà che sempre più si trasforma in tragedia. L’enorme quantità di suicidi e varie inchieste provano inequivocabilmente l’insostenibilità della situazione carceraria: un vero e proprio museo degli orrori. Mi si dirà che esistono problemi più gravi, non credo proprio… anche perché rifiuto una simile graduatoria di inciviltà.