Popolo di poeti e di…laureati in scienze informatiche

La mia ormai lontana esperienza scolastica e universitaria è stata improntata al criterio della rigida selezione. Il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media fu segnato dall’esame di ammissione, l’esame più difficile di tutta la mia vita: un bambino di dieci anni, sottoposto a prove scritte e orali riguardanti italiano, storia, geografia e matematica, interrogato dai potenziali insegnanti della scuola d’accesso. Lo superai con fatica e ne uscii con gli abiti inzuppati di sudore come se fossi caduto in un laghetto. Si trattava della prima selezione a cui si era sottoposti: proseguire il percorso formativo normale o ripiegare sull’istruzione professionale.

Poi arrivò la difficile scelta della scuola media superiore. Per me la selezione avvenne in base alle possibilità economiche della mia famiglia, che non erano tali da consentirmi e garantirmi una lunga carriere scolastica, classica o scientifica che fosse, e allora studiai per diventare ragioniere, non per virtù, ma per necessità. Erano tempi in cui un diploma scolastico aveva un certo valore e dava prospettive occupazionali abbastanza concrete e quindi mio padre mi consigliò (sic!) di “prendere in fretta un pezzo di carta”, che mi desse il più alla svelta la possibilità di lavorare.

Mi diplomai a pieni voti e, siccome l’appetito vien mangiando, ebbi l’ardire di tentare di proseguire gli studi all’università iniziando contemporaneamente a lavorare (le possibilità non mancavano). Per quanto concerne l’università allora esisteva un vero e proprio blocco: ci si poteva iscrivere solo a certe facoltà strettamente in linea col titolo di studio. Per me, ragioniere, la strada era quasi obbligata: economia e commercio a Parma, sociologia a Trento, lingue orientali a Verona. Ho frequentato economia a Parma ed è stato un bene, perché se avessi scelto sociologia a Trento, con la sensibilità sociale che mi ritrovavo, avrei potuto anche diventare un brigatista rosso (fu quella infatti la culla culturale del brigatismo), mentre a quei tempi le lingue orientali erano poco più di un miraggio.

Mi laureai a tempo di record, rinunciando all’abbinamento studio lavoro che mi si rivelò ben presto  impraticabile. Una volta laureato, ho provato la via dell’insegnamento universitario (assistente: ma capii subito che non c’era niente da fare) e valutato la strada dell’insegnamento nelle scuole medie inferiori e superiori (ragioneria, tecnica commerciale, diritto ed economia, matematica), che si rivelò troppo lunga. La mia famiglia non poteva attendere ulteriormente e io dovevo cominciare a lavorare rendendomi autonomo. Mi capitò, quasi per caso e grazie ad alcuni amici, un posto di lavoro nel mondo cooperativo, che allora non conoscevo, e lo accettai (fu decisivo il consiglio di un mio carissimo compagno di studi, che mi orientò, senza giri di parole, ad accettare). Strada facendo, pur tra difficoltà e titubanze, si rivelò, per certi versi, la scelta giusta da tutti i punti di vista: un percorso professionale un po’ distante rispetto alle aspettative di studio, ma interessante e stimolante.

Ho voluto fare questa digressione per il gusto, tipico degli anziani, di parlare del passato, ma anche per sottolineare come i criteri siano radicalmente cambiati, le selezioni totalmente e velleitariamente eliminate e, se non eliminate, introdotte in modo assurdo a livello di settimana enigmistica o poco più. Al di là di tutto bisogna considerare come la vita sia strana e riservi sorprese, che vanno al di là delle nostre pur giuste aspirazioni e convinzioni. Mia sorella condensava questa filosofia in una battuta dialettale: “as fa cme as pol e miga cme as vol” (si fa come si può e non come si vuole). E magari, strada facendo, si scopre, che è stato meglio così…

Quindi, se il mondo del lavoro offre sbocchi occupazionali per i laureati in materie tecnico-scientifiche bisogna pur tenerne conto, rinunciando magari alle prospettive di prima scelta. Stando ai dati statistici, il 23% delle aziende italiane cerca laureati in scienze e ingegneria e non li trova perché gli studenti scelgono altri ambiti. Nelle decisioni di livello universitario si dovrebbe quindi tenere conto dei tassi di occupazione offerti dai diversi indirizzi di studio. Sarebbe teoricamente bello e giusto che ognuno potesse scegliere la propria strada senza condizionamenti di carattere socio-economico, ma bisogna stare coi piedi in terra, fare bagni di sano realismo, iscriversi alle facoltà che possono offrire maggiori possibilità a livello professionale.

È inutile inflazionare gli studi classici, quando il mondo del lavoro chiede ingegneri e tecnici informatici. Non ho idea di come si possa perseguire concretamente la tendenza all’incontro fra opzioni studentesche, programmi universitari ed esigenze dell’economia. Si parla di piani mirati…Forse il primo e più importante piano mirato ognuno se lo deve elaborare personalmente, abbinando la voglia di studiare con quella di lavorare, senza raffreddare i sacrosanti entusiasmi giovanili, ma coniugandoli col realismo della necessità di lavorare.   Questo discorso vale per i singoli, per le famiglie, per le aziende, per l’intera società che non può assistere imperterrita alla pericolosissima fiera della disoccupazione.

Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori, o meglio: popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori. È la parte rimasta più famosa di un discorso che Benito Mussolini pronunciò il 2 ottobre 1935 contro la condanna all’Italia, da parte delle Nazioni Unite, per l’aggressione all’Abissinia. Questa stessa citazione campeggia sulle quattro facciate del Palazzo della Civiltà Italiana, o della Civiltà del Lavoro, uno splendido edificio che si trova a Roma nel quartiere dell’EUR. Lungi dalla vomitevole  retorica di stampo fascista, non sia mai che ci si trasformi in un popolo di ingegneri e di esperti informatici, ma trovare una giusta via di mezzo sarà più necessario che opportuno.