Non è eutanasia, è (quasi) razzismo

In quasi completa segretezza, il governo del Quebec ha distribuito a medici e ospedali un protocollo per l’accesso alle terapie intensive che permette, in caso di carenza di letti, di negare un respiratore a una persona affetta da sindrome di Down, Parkinson, Sla o grave disturbo autistico.  Il documento risale al primo aprile, ma l’Amministrazione di centro-destra della provincia francofona canadese – che ha già fatto da apripista sul suicidio assistito – ne ha finora messo a disposizione del pubblico solo una parte, rifiutandosi di pubblicare i criteri di esclusione stabiliti nelle appendici. “Avvenire” ne ha preso visione grazie alla Société Québécoise de la déficience intellectuelle, Sqdi, che ha di recente lanciato una petizione per chiedere al primo ministro François Legault di rivedere il documento. Solo più di due mesi dopo l’entrata in vigore del protocollo, infatti, l’opposizione liberale del Quebec e le associazioni per i diritti dei disabili hanno preso conoscenza dei parametri che permettono a un medico di scegliere a chi dare la precedenza in caso di scarsità di risorse.

Immaginavo che di fatto esistessero e fossero applicate simili procedure selettive, peraltro diventate di estrema attualità con l’emergenza coronavirus, ma vedersele spiattellate in faccia fa una certa impressione. Non entro nel merito dei criteri selettivi e sono perfettamente d’accordo con Anik Larose, direttore esecutivo della Sqdi, che sottolinea come qualsiasi criterio basato sulla valutazione dell’autonomia funzionale di un individuo, come la sua capacità di vestirsi e mangiare da solo, pone importanti questioni etiche e legali. «Indipendentemente dal fatto che si sia o meno in un’emergenza sanitaria, le decisioni cliniche non dovrebbero mai essere prese sulla base di giudizi di valore sull’utilità sociale di un individuo o su pregiudizi sulla sua scarsa qualità della vita», continua. Larose fa notare che una persona con sindrome di Down che ha difficoltà ad articolare le parole o ha limiti motori otterrà un punteggio di fragilità elevato e sarà immediatamente esclusa dalle cure intensive. «Le capacità funzionali delle persone con un disturbo dello spettro autistico sono compromesse, senza ridurre la loro speranza di vita», aggiunge il direttore esecutivo della Federazione dell’autismo del Quebec, Luc Chulak.

Negli Stati Uniti, le organizzazioni per la difesa dei disabili hanno sfidato con successo il protocollo dell’Alabama che negava i respiratori alle persone con ritardo mentale o demenza da moderata a grave. Ma negli Usa restano almeno dieci gli Stati che, in caso di carenza di letti o respiratori, fanno passare «in fondo alla fila» chi necessita di «una maggiore quantità di risorse», o ha ricevuto diagnosi specifiche, fra le quali la demenza.

Il problema purtroppo si pone in conseguenza della inadeguatezza delle risorse rispetto ai bisogni di cura delle persone: una paradossale e inumana quadratura del cerchio. Ma siamo proprio sicuri che le risorse non si possano allargare? Ci rassegniamo a questa macabra contabilità? Rinunciamo in partenza a fare sacrifici a livello sociale e individuale, ad allargare i cordoni di questa tragica borsa?

Molti, soprattutto a livello religioso, si pongono un problema di principio per quanto concerne aborto, eutanasia, procreazione assistita, controllo delle nascite, etc. Niente in confronto della selezione di cui sopra! Tutti i problemi accennati, più o meno, coinvolgono la volontà degli interessati o di persone assai vicine a loro. Nel caso della chiusura dell’assistenza sanitaria invece è la società che determina i criteri in base ai quali una persona deve morire.

Resta poi il problema se sia meglio adottare certe procedure ai limiti della legalità o se sia meglio regolamentarle espressamente. Si dice: è meglio accettare supinamente l’aborto clandestino o tentare di porre precise regole all’aborto? È meglio voltarsi dall’altra parte per non vedere staccare i tubi dell’ossigeno ad un soggetto irreversibilmente vocato ad una sofferenza senza sbocchi oppure prendere la morte per le corna e stabilire quali siano i casi in cui si può morire per decisione del morituro? E così si può discutere con questo approccio su diversi altri problemi: dalla tossicodipendenza agli anticoncezionali del giorno dopo.

C’è però una differenza di fondo tra questi ultimi casi citati e la selezione per l’accesso a certe terapie. Nell’eutanasia e nei casi suddetti si sceglie il minore tra due mali a livello personale e si lascia la scelta prevalentemente al soggetto interessato. Nella negazione delle cure in base a criteri selettivi si sceglie invece di stare sempre e comunque dalla parte del manico, vale a dire di difendere gli equilibri e i meccanismi di un sistema socio-economico, accettandolo come un assoluto intoccabile, capovolgendo la scala dei valori che dovrebbe vedere al primo posto il diritto di vivere.  Non mi si dica che questo discorso dovrebbe valere allo stesso modo per aborto ed eutanasia. Nossignori, sono problematiche assai diverse. Certo, la società deve fare di tutto per evitare il ricorso all’aborto e all’eutanasia, ma, di fronte all’impossibilità di intervenire positivamente ci si può rassegnare a “perdere la battaglia” assieme ai protagonisti del dramma.

Qui invece la battaglia si dà persa in partenza e ci si rassegna nel trovare un modus vivendi che sacrifica certi soggetti deboli sull’altare della continuità sistemica. Non inorridisco, ma mi pongo un serio problema di coscienza. Non mi nascondo cioè dietro i principi, ma accetto di affrontare i problemi a fin di bene e non per difendere il disordine costituito. Termino ricordando di seguito quanto diceva don Andrea Gallo in ordine alle sue condivisibilissime trasgressioni (?).

ABORTO: «Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?».

MALATI TERMINALI: «Sulla base di una scelta chiara e consapevole della persona interessata, bisogna rispettare il suo diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita. Ogni caso ha una sua trama e una valutazione diversa».

Penso che don Gallo, non credo di strumentalizzarlo a posteriori, farebbe invece un grosso passo indietro rispetto ai protocolli del Quebec! Peccato che non ce lo possa dire, ma lo lasciano intendere il suo pensiero e la sua vita.