E se la smettessimo di giocare a soldatini?

Mio padre era estraneo alla mentalità militare, ne rifiutava la rigida disciplina, era allergico a tutte le divise, non sopportava le sfilate, le parate etc., era visceralmente contrario ai conflitti armati.  Quando gli capitava di ascoltare qualche notizia riguardante provocazioni fra nazioni, incidenti diplomatici, contrasti internazionali era solito commentare: “S’ag fis  Mussolini, al faris n’a guera subita. Al cominciaris subit a bombardar”.  Era una lezione di politica estera (sempre molto valida, più che mai in clima di unilateralismo, di guerra preventiva, etc.) e di antifascismo (bollando il regime per quello che era e non revisionandolo strumentalmente). Ogni volta che sentiva notizie sullo scoppio di qualche focolaio di guerra reagiva auspicando una obiezione di coscienza totalizzante: “Mo s’ pól där ch’a gh’sia ancòrra quälchidón ch’a pärla äd fär dil guèri?”.

Ricordo i rari colloqui tra i miei genitori in materia politica: tra mio padre, antifascista a livello culturale prima e più che a livello politico, e mia madre, donna pragmatica, generosa all’inverosimile, tollerante con tutti. «Al Duce, diceva mia madre con una certa simpatica superficialità, l’à fat anca dil cozi giusti…». «Lasemma stär, rispondeva mio padre dall’alto del suo antifascismo, quand la pianta l’é maläda in-t-il ravizi a ghé pòch da fär…». Poi si lasciava andare a sintetizzare la parabola storica di Benito Mussolini, usando questa colorita immagine: «L’ à pisè cóntra vént…».

Non so perché, ma quando rifletto sul fascismo, mi viene spontaneo “almanaccarlo” con l’aiuto degli insegnamenti paterni. Ed è così anche nell’ottantesimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940. Vengo preso dallo sconcerto di fronte a quella piazza stracolma di gente osannante e mi chiedo: possibile che fossero tutti impazziti? che non capissero il dramma a cui comunque si stava andando incontro? che non si rendessero conto di cosa voleva dire fare una guerra? che le donne non pensassero alla prospettiva tragica che toccava ai loro figli?

Il regime evidentemente aveva funzionato molto bene, anche se la storia insegna come sia comodo, per allontanare la gente dai problemi reali, solleticare ed esasperare lo spirito nazionalistico, prospettando guerre, che distraggono ed illudono tragicamente.  È un meccanismo che purtroppo funziona anche nei sistemi democratici portati a chiudersi nel guscio nazionalistico e a coltivare populisticamente le pulsioni irrazionali dei cittadini.

Non funziona forse così l’anti europeismo, che tende a scaricare sull’Unione europea la colpa di tanti mali economici e sociali? Non è forse così per il sovranismo, che vuole illudere la popolazione sulla possibilità di risolvere i problemi del proprio orticello a prescindere da quelli del mondo intero? Non operano forse secondo questa logica le tre superpotenze attuali, vale a dire Usa, Russia e Cina?

Papa Francesco ha idee molto chiare al riguardo, quando sostiene che «Respingere i migranti è un atto di guerra»; quando afferma che «Noi stiamo vivendo la tragedia più grande dopo la seconda Guerra mondiale. C’è gente buona, ci sono cose buone, ma il mondo è in guerra. Mi sono vergognato del nome di una bomba: “la madre di tutte le bombe”. Ma guarda, la mamma dà vita! E questa dà morte!” E diciamo “mamma” a quell’apparecchio. Che cosa sta succedendo?».

Il duro monito del Papa contro la guerra è il seguente: “Oggi si può parlare di una terza guerra mondiale combattuta a pezzi, con crimini, massacri e distruzioni”. Queste le parole forti di Bergoglio pronunciate nell’omelia della messa a Redipuglia, dove si trova il più grande sacrario militare italiano. «La guerra è folle, ha aggiunto il Papa, il suo piano è solo la distruzione”. La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione del potere, sono i motivi che spingono la guerra, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto». «L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia – ha specificato papa Francesco – c’è la risposta di Caino: ‘A me che importa? Sono forse io il custode di mio fratello?’».

Ho aperto con mio padre e chiudo con lui: di ritorno dalla toccante visita al sacrario di Redipuglia, si illudeva di convertire tutti al pacifismo, portando in quel luogo soprattutto quanti osavano scherzare con nuovi impulsi bellicosi. «A chi gh’à vója ‘d fär dil guéri, bizògnariss portärol a Redipuglia: agh va via la vója sùbbit…». Pensava che ne sarebbero usciti purificati per sempre.