Bugia pietosa e verità vessatrice

Fino a qualche tempo fa vigeva per il medico la regola di tacere la verità in ordine alla gravità della malattia del suo paziente, privilegiando la preoccupazione che il malato potesse prostrarsi psicologicamente e aggravare ulteriormente la situazione o addirittura disperarsi facendola precipitare. Violetta Valery, la protagonista della Traviata di Giuseppe Verdi, si rende conto che la tubercolosi la sta definitivamente divorando, ma accetta di buon grado l’incoraggiamento del medico (“Coraggio, la convalescenza non è lontana…”) al quale dice: «La bugia pietosa ai medici è concessa…». Lo stesso medico risponde schiettamente alla governante, che gli chiede come va, con un drastico: «La tisi non le accorda che poche ore».

Negli ultimi tempi alla bugia pietosa si tende a sostituire la verità enfaticamente penosa, ritenendo che debba comunque prevalere il diritto del malato a conoscere il proprio stato. Un medico mi confidava recentemente che però c’è modo e modo di dire la verità e che soprattutto c’è un limite alla verità: bisognerebbe cioè tenere conto della personalità, del carattere, dello stato psicologico del paziente e della sua capacità di accettare il responso in modo speranzoso, incoraggiandolo nella battaglia contro la malattia, che può e deve sempre essere combattuta fino in fondo nei modi possibili.

L’informazione su covid 19 sta diventando impietosa e spietata oltre che confusa, contraddittoria e squilibrata.   Secondo gli esperti, l’infezione potrebbe lasciare strascichi a lungo termine sulla funzionalità respiratoria e talvolta comprometterla in modo irreversibile, soprattutto nei pazienti usciti dalla terapia intensiva. È il preoccupante scenario che arriva oggi dal convegno della Società Italiana di Pneumologia, durante il quale sono stati messi a confronto i primi dati di follow-up raccolti nel nostro Paese e dai medici cinesi con gli esiti di pazienti colpiti da SARS nel 2003. Da questo confronto emerge chiaramente che l’infezione polmonare da coronavirus può lasciare un’eredità cronica sulla funzionalità respiratoria: si stima che in media in un adulto possano servire da 6 a 12 mesi per il recupero funzionale, che per alcuni però potrebbe non essere completo. Il 30% dei pazienti guariti (?) mostrava segni diffusi di fibrosi polmonare, cioè grosse cicatrici sul polmone con una compromissione respiratoria irreversibile: in pratica potevano sorgere problemi respiratori anche dopo una semplice passeggiata.

Gli esperti temono perciò che la fibrosi polmonare possa rappresentare il pericolo di domani e per questo richiamano l’attenzione alla necessità di specifici ambulatori dedicati al follow-up dei pazienti che sono stati ricoverati, specialmente i più gravi e gli anziani più fragili, che potrebbero necessitare di un trattamento attivo farmacologico e di percorsi riabilitativi dedicati. “Reliquati polmonari purtroppo ci sono per questo avremo una nuova categoria di pazienti con cicatrici fibrotiche a livello polmonare da covid con insufficienza respiratoria, che rappresenterà certamente un nuovo problema sanitario”.

Come prospettiva non c’è male: non solo si rischia una tragica e solitaria morte, ma, se si guarisce, esiste l’alta probabilità di rimanere segnati per sempre. Ai danni psicologici si potrebbero aggiunge quelli agli organi vitali, in primis i polmoni, ma non solo. Si dica quel che si vuole, ma lo ritengo un modo barbaro di esporre i risultati delle ricerche e soprattutto un modo inumano di fare informazione. È inutile che i medici sconsiglino di curiosare su internet in merito ai propri mali per evitare allarmismi inutili e a volte ingiustificati, se poi la scienza medica vomita su internet dati a dir poco angoscianti.

Un po’ di discrezione, di prudenza e di comprensione dovrebbe prevalere sulla smania di comunicare elementi di conoscenza, che non servono ai potenziali pazienti se non a inorridirli e deprimerli prima del tempo.  Questa non è la società che dice tutto senza censura, ma la società che gioca a fare del sadismo e del masochismo. Per cortesia aiutateci non solo a sopravvivere, ma a vivere con un minimo di fiducia e di speranza. Non fateci morire di paura prima del tempo.

A proposito di respirazione, mio zio, che non era da meno in senso battutistico rispetto a mio padre, scommetteva su una lunga vita così giustificandosi: «Al garà un bél dir al dotór: questo paziente sta morendo; mi a continov a tirär al fia…».  Forse non resta altro da fare che sposare la filosofia spicciola di mio zio.